Editoriale

Ecco quale cammino devono riprendere i sindacati

Sembra passato un secolo dal 16 dicembre scorso, giorno dello sciopero proclamato da Cgil e Uil sotto Natale, annunciato con tanti rumori pirotecnici, ma che dopo già qualche ora nessuno ne ha più parlato, compresi gli organizzatori. Infatti non ha colto nessuno degli obiettivi solennemente annunciati in piazza, seppur con tante promesse di infuocare la scena sociale ed economica. Si può dire tranquillamente che il risultato ottenuto, è stato quello di mettere fuori gioco il prezioso ruolo del Sindacato come soggetto di rappresentanza generale nella società italiana, e delle stesse parti sociali in genere. In definitiva, la improvvida smisurata protesta annunciata solennemente come sciopero generale solo da una parte del Sindacato confederale, ha favorito solo coloro che non hanno mai amato il Sindacato.

Nella storia degli ultimi 50 anni, lobbies, ambienti politici ed affaristici vari, hanno sempre ostacolato l’interlocuzione delle istituzioni e della politica con le organizzazioni sociali, per  evitare potenzialmente che decisioni e gestioni degli affari pubblici si operassero troppo alla luce del sole. Insomma un auto goal insperato per coloro che erano palesemente infastiditi dalla disponibilità pubblicamente data dal Presidente del Consiglio Mario Draghi nei primi giorni di dicembre passato, circa l’apertura di interlocuzioni stabili e continue sui temi del fisco, della previdenza, ed ancora più intensamente sui programmi del PNRR con le parti sociali. Lo sciopero generale è apparso una incomprensibile decisione anche se valutata alla luce del clima politico che già da qualche tempo mostrava che alcune forze carsiche, erano palesemente interessate ad indebolire sotto sotto la leadership di Mario Draghi per ridimensionarne la grande autorevolezza e prefigurare casomai nuovi assetti di potere. Dunque troppi errori in una sola mossa, che ha visto decisamente contraria la Cisl, dopo una lunga bonaccia unitaria, che pone ancor più interrogativi da chiarire.

Alcuni commentatori maliziosi hanno persino fatto balenare che lo sciopero generale si è voluto a tutti costi per dare man forte a qualcuno nella magmatica situazione politica italiana, ma penso che la verità sia di tutt’altro genere. Ritengo che la ragione principale di questi errori, risieda dalla permanenza, mai scomparsa nel Sindacato, di componenti movimentiste. Costoro sono deboli ma rumorosi, e sono solitamente non interessati a ponderare su quale terreno occorra porre vertenze a favore dei lavoratori, per poi chiuderle con un risultato possibile. No! Costoro ritengono di agitare le acque aldilà di calcoli e circostanze: vogliono solo segnare platealmente la loro presenza nel terreno sociale e politico. Delle singole questioni concrete, casomai si deve occupare la politica alla quale si offre un appoggio palese o nascosto.

Ed invece il sindacato deve riprendere un suo cammino che lo riporti a prendersi proprie responsabilità insieme agli altri soggetti istituzionali e politici operanti nella Repubblica, per sostenere il lavoro italiano, la possibilità che l’Italia ritorni su un cammino di sviluppo che poggi sulla sensatezza, sulla responsabilità sulla concretezza. Ci sono già troppi soggetti in Italia che in ogni occasione buttano il cappello in aria. Se lo fa anche una parte del Sindacato, unendosi sostanzialmente al grumo grande italiano del populismo, “siamo morti e sotterrati”.

Raffaele Bonanni

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