Quelle domeniche ecologiche usate in modo strumentale

Correva l’anno 1973 e l’Italia del post boom economico, di cui si erano già persi i benefici, scopriva i devastanti effetti del lato oscuro dell’economia. Il governo di allora prese la decisione di fermare le auto, la domenica, dopo averle fatte correre su e giù per la penisola, senza sosta. Con grande artifizio verbale definì quella scelta austerity, come piaceva tanto ai ministri democristiani. E così da quel momento scattarono, per effetto della grande crisi petrolifera generata dall’embargo decretato dall’Opec in seguito alla guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur, le domeniche a piedi. Il settore dell’auto venne messo in crisi in soli cinque giorni.

Tra il 16 e il 20 ottobre, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Abu Dhabi, Kuwait e Qatar, assieme alla Libia decisero, come risposta alle forniture militari Usa agli israeliani durante la guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur, un aumento unilaterale del 70 per cento del prezzo del barile di petrolio seguito dal taglio della produzione e dall’embargo contro gli Stati Uniti e le nazioni alleate che sostenevano Israele. Immediatamente il costo del petrolio schizzò da 3 a 12 dollari al barile, costringendo molti Paesi a varare drastiche misure di riduzione dei consumi, inclusi quelli per la produzione di energia elettrica.

In Italia, il governo Rumor impose rincari per i carburanti e per il gasolio da riscaldamento, decise di abbassare a 120 km/h del limite di velocità in autostrada oltre a varare un vero e proprio “coprifuoco” per limitare i consumi di energia (taglio dell’illuminazione pubblica, riduzione degli orari dei negozi, chiusura anticipata per cinema, bar e ristoranti, sospensione alle 23 dei programmi televisivi). Il 2 dicembre del 1973 arrivò anche la prima domenica di stop alle auto private e agli altri veicoli a motore non autorizzati. Una domenica a piedi, per molti in bicicletta, che fece risparmiare 50 milioni di litri di carburante.

Ecco, a rievocarla così, come annessi connessi, sembra quasi una favoletta, corredata da una foto in bianco e nero, seppiata dal tempo. Invece è storia. Anzi, la cronaca di quella storia. E chi l’ha vissuta ricorda ancora il sapore di quelle domeniche. Che non erano affatto ecologiche, come vengono definite quelle di oggi, ma necessarie. Soprattutto per i conti del Paese. Oggi, invece, vengono usate in modo del tutto strumentale, funzionali a logiche politiche. Ma, soprattutto, vengono apparecchiate laddove non servono a migliorare l’ambiente, semmai l’umore, come a Roma. Mentre dove sarebbero davvero strategiche, come a Milano, non se ne parla nemmeno. Le prove fatte negli anni passati, diciamo pre Covid, dal sindaco, Beppe Sala, hanno indotto l’amministrazione comunale a rifuggire dall’idea, temendo una vera sommossa popolare. In particolare quella delle periferie, abituate ad andare in centro, la domenica, con l’auto per fare shopping, salvo poi non trovare un posto per parcheggiare e tornare a casa avendo fatto solo dei lunghi giri. E poi sale lo smog.

A Milano, quindi, non solo sarebbero necessarie, ma fondamentali per la salute pubblica. Eppure il sindaco verde e la giunta votata all’ambiente, dalle piste ciclabili alla guerra al mattone, se ne guardano bene dal varare le domeniche a piedi. L’ecologico, a volte, fa davvero rima con demagogico. E la funzione di certe scelte è chiaramente elettorale. Fermare le auto, come fanno a Roma, a Milano avrebbe anche una funzione educativa, pedagogica, in realtà. Ma le stranezze del Belpaese non finiscono mai di stupire. Perché le domeniche romane, con tanto di fascia di garanzia, servono a colorare la città con le famiglie, rendendola meno frastornate dei giorni feriali. Gode il turista e il romano si adegua, scappando al mare. Ecco, potremmo invocare una nuova austerity, una nuova crisi petrolifera, un nuovo 1973, per vedere nel 2022 un cielo meno grigio. Ma in fondo la politica, gli occhi al cielo, li alza solo per i risultati elettorali, mica per lo smog. Altrimenti Milano farebbe quello che fa Roma e non viceversa.