La disciplina del fine vita e la tutela delle fragilità

Il ricorso al referendum sul delicatissimo tema dell’eutanasia attiva si interseca con il forte ritardo della decisione legislativa in merito a questioni avvertite come fondamentali da parte della pubblica opinione. Il quesito avanzato dall’associazione “Luca Coscioni” chiede di abrogare il reato dell’omicidio del consenziente, previsto nell’art. 579 del Codice penale.

L’iniziativa referendaria si concentra su una fattispecie criminosa differente e più grave di quella dell’aiuto al suicidio. Tale ultima ipotesi di reato è stata dichiarata dalla Corte costituzionale, in presenza di determinate e concomitanti condizioni, in contrasto con la Costituzione. In particolare, i presupposti di non punibilità, individuate con la sentenza n. 242 del 2019, per le condotte di aiuto al suicidio sussistono se il paziente “sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili”, sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ed esprima un valido consenso rispetto al proposito di suicido. Sempre che tali condizioni e modalità di esecuzione – aggiunge la Corte – siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico competente. In tal modo, la decisione ha aperto un varco al riconoscimento della volontà coscientemente manifestata da quei soggetti, gravemente malati e sofferenti, che non intendono avvalersi di strumenti di sostegno esterno per essere mantenuti in vita. In una prospettiva personalistica, lo spazio riservato al principio di autodeterminazione individuale deve rispondere ad effettività anche nelle fasi finali dell’esistenza con riferimento a persone che versino in una situazione di eccezionale malattia.

La decisione meno recente della Corte di Cassazione sul caso di Eluana Englaro e successivamente la legge n. 219 del 2017 (recante norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) vanno nella direzione di valorizzare il consenso informato e il diritto del paziente di rifiutare l’accanimento terapeutico.

Tuttavia, la Corte chiarisce bene la questione. La Consulta si sofferma sulle previsioni costituzionali, segnatamente artt. 2 e 13, dalle quali non può farsi derivare il diritto di rinunciare a vivere e dunque un vero e proprio diritto a morire. La previsione contenuta nell’art. 2 Cost. sancisce il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni persona e non quello di riconoscere la possibilità di ottenere dall’ordinamento o da un terzo l’aiuto a morire. Del resto, tale posizione risulta in linea con i principi della Convenzione Edu. Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’art.2 della Convenzione deve essere interpretato nel senso che esso contempla il diritto alla vita e non il suo opposto.

Anzi, l’orientamento della CEDU ritiene il divieto di aiuto al suicidio compatibile con la previsione contenuta nell’art. 8 della Convenzione, che prevede il rispetto “della vita privata e familiare”. La liberalizzazione del suicidio assistito deve essere, dunque, bilanciata con la necessità di evitare rischi di abuso a danno di personalità fragili e indifese.

La proposta referendaria sull’eutanasia verte su una specifica norma del Codice penale, differente da quella su cui la Corte è stata chiamata a decidere. In quanto l’omicidio del consenziente non coincide con il reato di aiuto al suicidio e si caratterizza per un maggiore disvalore sociale.

Tale fattispecie criminosa prescinde dalle condizioni di salute, basandosi esclusivamente sull’espressione del consenso della persona che chiede di interrompere la propria vita.

Potrebbe prevalere una concezione contraria al principio personalistico sulla base di una discutibilissima classificazione delle vite umane, lasciando alla discrezionalità del giudice la valutazione del caso concreto. Un’evenienza da non sottovalutare per proteggere da possibili abusi gli anziani e le persone più deboli. Le intenzioni referendarie di colmare il vuoto lasciato dall’assenza di una legge che regolamenti il fine vita, potrebbero, risolversi in un pericolo per i più vulnerabili.