Il Crocifisso: l’atto dell’estremo dolore e il dono sommo dell’amore

La Parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32), che Gesù ci ha raccontato, è veramente stupenda, è la manifestazione dell’amore di questo Padre che rappresenta Dio, il Padre Celeste, davanti al quale ci sono due tipi di figli, uno un po’ scapestrato e libertino che fa esperienze non buone ma si pente e percepisce l’amore dolcissimo del Padre. Invece l’altro figlio maggiore, il quale è sempre obbediente, appare come un servo, chiuso in sé stesso, non accetta un Padre così buono e lo giudica perché ha un figlio così disastrato. Quindi lo condanna, un Padre debole, incapace di genitorialità, dall’altra parte lo vede anche avaro. Allora – e qui vorrei fare la riflessione – di fronte all’amore del Padre Celeste, ci siamo noi figli suoi, o apparteniamo al figlio minore che, pur essendo peccatore, ha percepito il battito amorevole del Padre, ha sciolto il suo cuore al perdono ed ha ritrovato l’Amore, oppure c’è il figlio maggiore che, per Gesù, sono i Farisei, induriti nel proprio cuore, non accettano un padre così, si arrabbiano e infatti crocifiggono il Figlio che il Padre ha mandato per la salvezza del mondo.

Noi possiamo scoprire l’amore grande che il Padre ha avuto per noi sulla Croce. Adesso rivolgo il pensiero a Gesù crocifisso perché è proprio li che il Padre Celeste ha donato il suo unico Figlio, il suo Verbo Eterno. Lo ha sacrificato per noi poveri peccatori, disobbedienti e ingrati nei suoi confronti, ma che Lui ha voluto risanare e rendere figli suoi. Questa è la verità fondamentale, noi siamo cristiani perché figli amati, perdonati e rigenerati dal Padre, ma a costo del sacrificio del Figlio. Ciò è il dono più grande del quale non ci può essere; infatti, è il Figlio che si offre su una croce liberamente e dice: “Nessuno mi toglie la vita, io la dono per amore di mio Padre e di tutti voi peccatori perché possiate sentire il suo amore e possiate convertirvi a Lui, il Padre dolcissimo e amabilissimo”. Purtroppo, sappiamo che, né loro – ossia i crocifissori di Gesù, i suoi accusatori – ma neanche gli uomini di tutti i tempi, come oggi, amano e accettano questo dono del Padre. Gesù dice che non c’è amore più grande di colui che dà la propria vita per la persona amata. Il Figlio ha dato la sua vita umana, sacrificata fino alla Passione e morte in croce per le persone amate che siamo tutte noi povere creature. È il Padre che lo ha mandato, allora mi chiedo: chi ci ha amati di più? Il Padre che ha mandato a noi Figlio sulla terra e lo ha immolato sulla Croce, fino al martirio, il suo unico Figlio l’Unigenito che ha dato la sua vita per noi? Qual è l’amore più grande? Tutti e due sono l’eterno sommo amore divino. Quando contempliamo il Crocifisso non possiamo dimenticarci del Padre che ce lo ha donato perché noi diventassimo figli suoi. Perché non ricordiamo questo Padre amorevolissimo, santissimo e generosissimo?

Tale è il Mistero di questo è Amore, è l’eterno Amore che genera il Figlio, e lo stringe tra le braccia del Padre nell’amore dello Spirito Santo. Quindi, sulla Croce, c’è anche lo Spirito Santo, perché questo amore che unisce il Padre e il Figlio, lì si è rivelato. Ecco quanto ci ha amato Dio! Ha dato il suo unico Figlio, la gioia eterna del suo cuore paterno e il Figlio ha dato sé stesso in quanto si è incarnato con il proprio essere umano e si è donato nella forza dello Spirito Santo, che è il loro eterno dono d’amore che li unisce in questo abbraccio infinito di comunione.

La Croce, dunque, è la massima e unica rivelazione dell’amore infinito di Dio. Quando Paolo dice nella Lettera ai Romani (8,32) che il Padre Celeste non ha risparmiato il proprio Figlio – l’unico che aveva – pensa ad Abramo, a cui Dio ha chiesto di sacrificare il suo unico figlio Isacco ed egli ha obbedito, portando il figliolo sul monte dove doveva essere immolato, però – alla fine – l’Angelo l’ha fermato e ha detto: “Non ucciderlo, Dio ha accolto la tua disponibilità generosa”. Invece, il Padre Celeste, non si è fermato nel suo desiderio d’amore per noi, nel progetto di offrire il Figlio in riscatto per i nostri peccati, fino alla Croce. Non si è arrestato nemmeno al grido che il Figlio suo incarnato ha rivolto al Padre: “Passi da me questo calice. Tuttavia, sia fatta la Tua e non la mia volontà, io mi offro ugualmente come Tu vuoi perché vuoi la salvezza degli uomini ed io mi unisco alla Tua santa volontà”. Quindi, il Padre conduce il Figlio fino al compimento di questo progetto d’amore sconfinato per noi, fino al dono supremo del Figlio.

A questo punto non possiamo restare indifferenti, non possiamo vedere il Crocifisso senza sentire un palpito profondo d’amore e gratitudine verso di Lui, verso il Padre e lo Spirito Santo, che li ha spinti a questo dono d’amore per noi piccole e misere creature peccatrici e ingrate. Oggi purtroppo anche Gesù è emarginato, in questa pandemia e in questa guerra non se ne parla più ed anche il Padre è bestemmiato e oltraggiato. Allora, davanti a questo amore sconfinato, noi dobbiamo sentirne tutta l’effusione perché – quel gesto di offerta d’amore del Padre dell’unico Figlio per amore nei nostri confronti e quel gesto di amore del Figlio che dona se stesso fino all’ultima goccia di sangue per noi – affinché noi potessimo diventare Figli di Dio, non solo creature a sua immagine e somiglianza, ma creature trasformate nello stato dello stesso Figlio incarnato e questa generazione di Figli avviene nel giorno del nostro Battesimo. È lì che lo Spirito Santo imprime in noi l’immagine di Gesù, affinché il Padre guardando noi, vede il Figlio che ha dato la vita per noi e ci ama totalmente e incondizionatamente; purché riconosciamo i nostri peccati e ci abbandoniamo all’abbraccio del Cristo crocifisso.

Quel quadro dei pittori del Rinascimento Italiano, in cui è raffigurato Gesù crocifisso ed il Padre sopra che con le mani regge i bracci della croce del Figlio, in mezzo vi è lo Spirito Santo. Quelle braccia allargate del Figlio e sorrette dall’amore paterno, nella potenza dello Spirito Santo stringono noi perché diventiamo figli e possiamo gridare: “Papà mio come mi hai amato, ma voglio amarti anche io, voglio che Tu sia il primo amore della mia persona e possa occupare – insieme al Figlio e allo Spirito Santo – il primo posto nel mio cuore, nella mia mente, nella mia vita, nelle mie scelte, nel mio comportamento, nel mio essere, vivere e agire, amare e morire”.

La Pasqua diventa il momento della nostra nascita di figli e quindi si rivela il misterium amoris del Padre che sulla Croce, offendo il Figlio fino alla morte, diventa generatore di migliaia di figli, di tutta la storia della salvezza e – sulla Croce –  Gesù da Unigenito diventa primogenito di una moltitudine di figli, i quali siamo tutti noi che il Padre ha voluto abbracciare insieme al Figlio per dirci: “Vi voglio bene, lasciatevi avvolgere dal mio amore, lasciatevi condurre dalla mia grazia, siate figli miei, perché non mi amate? Perché mi emarginate? Perché mi invocate con paura, se mi invocate? Io ho dato mio Figlio per voi e mio Figlio ha dato sé stesso per voi”. Ci rendiamo conto di questo amore infinito di cui Gesù ci parla? Noi siamo povere creature ma per il suo amore infinito, la sua bontà, la sua grazia e per l’atto di generosità che il Padre ha compiuto nell’inviare il Figlio e donarlo a noi sulla Croce, siamo stati rigenerati, rinnovati, nobilitati, trasfigurati, resi figli suoi. Il Padre dice a noi come a suo Figlio: “Tu sei mio figlio, io ti ho generato sulla Croce quando ho sacrificato il Figlio mio” e noi possiamo dire: “Papà mio dolcissimo nelle tue braccia affido la mia vita”.