Cosa ci lascia di buono la pandemia

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L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha decretato la fine della pandemia. Il Covid–19 non rappresenta più un’emergenza sanitaria internazionale. Secondo il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus l’infezione ha causato venti milioni di morti nel mondo. Ci siamo lasciati alle spalle anni drammatici, ma non bisogna abbassare la guardia per evitare che altre pandemie possano nuovamente aggredire la tranquillità del quotidiano. La lezione della pandemia è chiara: il diritto alla salute è il presupposto per la piena realizzazione della persona umana. La Costituzione repubblicana lo consacra come “fondamentale”, aggettivo utilizzato con esclusivo riferimento al diritto alla salute. Da ciò discende l’obbligo gravante sulle istituzioni di rendere effettivo il diritto alle cure, predisponendo le misure più idonee per il pieno soddisfacimento anche nei confronti degli indigenti, declinando in concreto il principio di universalità della cura.

La salute, interesse primario ed assoluto della collettività, esige un importante impiego di risorse pubbliche da utilizzare per accorciare i divari territoriali nell’erogazione dei servizi sanitari. L’esigenza di fronteggiare la pandemia ha attenuato i vincoli finanziari che negli anni precedenti avevano pesantemente condizionato il settore sanitario. In particolare, da quando, nel 2012, è stato introdotto il vincolo dell’equilibrio di bilancio in Costituzione. Contrariamente a quanto avveniva nei decenni precedenti, le politiche pubbliche attuali si caratterizzano per la volontà di potenziare il sistema sanitario nazionale, dopo anni di tagli drastici alla spesa sanitaria. In altri termini, uno dei riflessi positivi della pandemia è stato il recupero della fondamentalità del diritto alla salute rispetto agli altri diritti inviolabili. La pandemia ha confermato il valore universale della salute, la sua natura di bene pubblico primario e diritto sociale di prestazione strettamente collegato con il principio di solidarietà. Ma la spesa sanitaria in Italia risulta ancora inferiore rispetto alla media degli Stati dell’UE.

La Commissione sui Livelli essenziali delle prestazioni, di recente istituita presso il Ministero degli affari regionali, ha il compito, fra l’altro, di elaborare un documento per l’aggiornamento dei LEA, cioè di tutte le prestazioni e le attività che il Servizi Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini (in forma gratuita o dietro pagamento di una quota di partecipazione) con le risorse pubbliche derivanti dalla fiscalità generale. I Lea servono proprio a garantire, in condizioni di uniformità sull’intero territorio nazionale, prestazioni e servizi medico – assistenziali ritenuti così importanti da dover essere assicurati a tutti i cittadini. Tra gli aspetti più critici della sanità in Italia vi è certamente quello della disparità territoriale nell’erogazione dei servizi sia con riferimento a prevenzione e assistenza sul territorio, sia per una poco adeguata integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali, sia per i tempi di attesa di alcune prestazioni.

L’emergenza da Covid–19 ha reso plateale il problema della disponibilità limitata delle terapie intensive e semi-intensive ponendo l’operatore sanitario di fronte alle scelte tragiche, molto conosciute nella “medicina delle catastrofi”, per la quale la riflessione bioetica ha elaborato nel tempo concrete indicazioni per il personale medico e paramedico. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza segue una precisa strategia volta ad affrontare tali aspetti problematici con il potenziamento di dotazioni strutturali e tecnologiche e sviluppare competenze digitali e manageriali del personale.

In particolare, la missione sei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza contiene una serie di misure volte al miglioramento delle strutture ospedaliere, adeguandole contro gli eventi sismici, a rendere l’assistenza di prossimità più diffusa su tutto il territorio nazionale, a digitalizzare le strutture sanitarie. I progetti contenuti nel PNRR si fondano sulla riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria territoriale, rafforzando l’assistenza territoriale fino ad oggi lasciata indietro rispetto a quella ospedaliera. Il Piano si prefigge di implementare la domiciliarità per ridurre l’ospedalizzazione delle persone più fragili, di rafforzare le strutture di prossimità, per realizzare forme di assistenza vicine alle persone, di sviluppare la telemedicina e una più efficace integrazione con tutti i servizi sociosanitari.

Il tema della concreta realizzazione del diritto alla salute è strettamente correlato con quello della responsabilità del medico e della struttura sanitaria. La normativa più recente, la legge 8 marzo 2017, n. 24, reca “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. La legge “Gelli” è stata predisposta con l’obiettivo di pervenire ad un punto di equilibrio nell’ambito del rapporto medico – paziente. Nell’ottica di garantire al professionista di svolgere la propria attività nelle migliori condizioni per poter individuare la migliore terapia per il paziente. Senza che il medico sia costretto a ricorrere al fenomeno della c.d. medicina difensiva, con la prescrizione di test procedure e visite sovrabbondanti, per ridurre il rischio di dover affrontare un contenzioso giudiziario. La medicina difensiva incide spesso inutilmente sulla sostenibilità economica del sistema sanitario con gravi ripercussioni sul diritto alla salute come diritto sociale, con un allungamento delle liste d’attesa. Il consenso libero e consapevole alle cure da parte del paziente, che il medico ha l’obbligo di descrivere in maniera puntuale, costituisce un ulteriore tassello della relazione di fiducia e di alleanza terapeutica.

Ancora è presto per comprendere cosa sia davvero rimasto di buono nella nostra società della terribile esperienza del Covid. Ma bisogna partire dalla consapevolezza del valore inestimabile della ricerca e delle professioni sanitarie. Il lavoro che si occupa delle persone, nel momento di maggiore vulnerabilità e debolezza di ciascuno di fronte alla malattia e alla sofferenza è di ineguagliabile importanza. Tale semplice considerazione dovrebbe essere alla base della buona politica per rendere effettivo per tutti e su tutto il territorio nazionale il diritto alla salute.