Le conseguenze del ritorno al potere dei talebani

Una giocatrice della nazionale giovanile di pallavolo dell’Afghanistan è stata decapitata dai talebani a Kabul: Mahjubin Hakimi sarebbe l’ennesima vittima della violenza integralista. La notizia, datata mercoledì 20 ottobre e che non ha potuto trovare conferma ufficiale, è giunta ai media occidentali tramite rimbalzi tra media iraniani e indiani; la fonte sarebbe un’allenatrice della ragazza; il fatto risalirebbe all’inizio del mese, ma la famiglia non l’avrebbe reso pubblico temendo rappresaglie.

Se vera, la vicenda di Mahjubin è un atto di estrema ferocia ascrivibile ai talebani. Ma le cronache dell’Afghanistan delle ultime settimane, dopo l’abbandono del Paese da parte delle forze Usa e occidentali, sono continuamente segnate da episodi di intolleranza sanguinosi e da atti di terrorismo: i primi sono in genere attribuiti ai talebani, i secondi alla costola afghana del sedicente Stato islamico, l’Isis – Khorasan.

L’attacco terroristico più letale finora condotto è stato quello del 15 ottobre contro una moschea nella roccaforte dei talebani, a Kandahar – oltre 40 le vittime e olte 70 i feriti -. L’Isis-K non è, infatti, alleato dei talebani, ma li combatte perché li considera troppo accondiscendenti verso l’Occidente, colpevoli, tra l’altro, di avere negoziato e concluso accordi con gli Stati Uniti a Doha, nel Qatar.

Una delle conseguenze più temute del crollo del regime afghano e del ritorno al potere dei talebani era la recrudescenza del terrorismo di matrice islamica, che, negli Anni Novanta, aveva trovato accoglienza e protezione presso gli ‘studenti’ al potere a Kabul – erano in Afghanistan i ‘santuari’ di al-Qaida e i covi di Osama bin Laden, obiettivo dell’offensiva americana dopo l’11 Settembre 2001 -.

In realtà, i talebani, in questa fase, subiscono gli attacchi dell’Isis-K sul territorio afghano e s’impegnano, con gli interlocutori internazionali, a non proteggere i terroristi integralisti: lo chiedono, come pre-condizione al dialogo. Le Nazioni Unite e i Paesi occidentali, ma lo chiedono pure Cina e Russia.

E’ però innegabile che la vittoria dei talebani in Afghanistan possa rivitalizzare, altrove nel Mondo, cellule terroriste o anche solo ‘risvegliare’ individui radicalizzati, ravvivando una minaccia che pareva sopita. La scorsa settimana, in Europa, vi sono stati almeno due episodi riconducibili non tanto a una rete organizzativa dell’Isis, o di al Qaida, che probabilmente non esiste o, almeno, non è attualmente efficace, ma a sussulti di esaltazione da parte di ‘lupi solitari’ – o ‘cani sciolti’ che dir si vogliano – della galassia integralista.

Il 13 ottobre, un danese armato di arco e frecce ha ucciso cinque persone a Kongsberg, in Norvegia, in quello che i servizi di sicurezza hanno subito classificato come “atto di terrorismo”, pur senza alzare il livello di allerta nel Paese. L’arciere, Espen Andersen Brathen, avrebbe colpito a caso, facendo irruzione in un super-mercato e in alcune abitazioni private.

Il 15 ottobre, nell’Essex, nel Sud dell’Inghilterra, un deputato conservatore, David Amess, 69 anni, è stato ucciso a coltellate da un giovane di origine somala, cittadino britannico, che lo ha aggredito mentre incontrava i suoi elettori in una chiesa metodista. Ames, cattolico, godeva di ampia stima, ma il suo aggressore, radicalizzato e noto ai servizi di sicurezza, gli rimproverava – lui integralista – il rigore religioso.

C’è il rischio che gli episodi norvegese e inglese non restino casi isolati. I servizi d’intelligence occidentali sono sul chi vive: intercettare piani terroristici complessi è difficile, ma possibile; prevenire azioni individuali, con strumenti rudimentali, armi bianche o veicoli lanciati sulla gente, è praticamente impossibile. E il contagio afghano può innescare altri drammi.