Come costruire istituzioni di pace

A fronte dei gravi problemi che si stanno tragicamente manifestando oggi – basti pensare alla guerra in Ucraina – non basta per i credenti sostenere un pacifismo di testimonianza, che da solo non sarebbe in grado di far avanzare la causa della pace. Il pacifismo di semplice testimonianza rischia di coltivare il sogno di eliminare la guerra dal mondo senza distruggere il mondo della guerra. Occorre, invece, decisamente impegnarsi sulla via di una non violenza pacifica, attiva e creatrice. Ossia una via che non solo condanna la guerra, ma che costruisce alacremente la pace. È la via di un nuovo pacifismo, il cui slogan potrebbe essere espresso così: se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace. Detto in altro modo ancora: “si vis pacem, para civitatem”.

La guerra va sconfitta predisponendo, a livello spirituale, sociale, economico, politico ed istituzionale, tutto ciò che la previene o la rimuove. Cosa più in particolare? La Dottrina sociale della Chiesa, specie con le encicliche dei pontefici, ma anche con i loro Messaggi per la giornata mondiale della Pace, ha indicato da tempo le vie da percorrere, quali: il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti,  mediante la predisposizione di strumenti efficaci di difesa dell’aggredito; la radicale revisione delle regole del mercato globale delle armi (la Russia è il secondo esportatore al mondo di armamenti, dopo gli USA; il trattato sul commercio di armi convenzionali, mentre è stato ratificato dalla UE, non è stato firmato da USA, Russia e Cina); dare vita ad una Agenzia Internazionale per la Gestione degli Aiuti (AIGA), in cui far affluire, ad es., anche solo il 10% della spesa militare globale che in un decennio potrebbe sanare le attuali diseguaglianze strutturali; la revisione del trattato di non proliferazione nucleare; uno sviluppo integrale, sostenibile ed inclusivo; la creazione di istituzioni di pace, implicante la riforma dell’attuale ONU in senso più democratico, la revisione trasformazionale dell’assetto delle istituzioni politico-giuridiche nate a Bretton Woods nel 1944 (FMI, OMS, Banca Mondiale, WTO) e divenute obsolete; la creazione di nuove istituzioni – dotate di poteri mondiali – relative alle migrazioni (OMM), all’ambiente (OMA), all’acqua; l’universalizzazione di una democrazia partecipativa, rappresentativa, inclusiva, deliberativa.

Su questo si era già espresso lo stesso papa Francesco nel Messaggio per la Celebrazione della Giornata Mondiale per la Pace del 1° gennaio 2017, ove ha iniziato a delineare gli elementi costitutivi di una non violenza attiva e creativa, quale unica via efficace di costruzione della pace. Come ha scritto Norberto Bobbio, le radici più profonde del pacifismo etico, che si incarna nell’impegno di tutti gli uomini a costruire istituzioni di pace, mediante una collaborazione universale, «debbono essere cercate nell’ideale dell’“uomo nuovo”, un ideale che è entrato imperiosamente nella storia dell’Occidente col cristianesimo».  Fondamentale, in vista della costruzione di istituzioni di pace, è peraltro il dialogo interreligioso ed ecumenico, come anche l’impegno sinergico delle molteplici associazioni e dei movimenti pacifisti sorti un po’ ovunque, quali espressione della società civile mondiale, prima responsabile della pace.

Non si dimentichi che, a livello internazionale e sovranazionale, l’instaurazione e il mantenimento della pace esige, sempre più, la partecipazione di tutti alla costruzione di una vera e propria società politica mondiale, caratterizzata da una corrispondente autorità, costituita mediante un processo democratico universale, dal basso. A livello internazionale e sovranazionale, quali espressioni di una comunità e di istituzioni sovranazionali che sempre più si rendono concretamente responsabili della realizzazione della pace mondiale, vanno segnalate, come modalità e vie non violente, le operazioni, compiute da vari eserciti attrezzati ad hoc, normalmente sotto l’egida dell’ONU, di peacekeeping, peace building, peace enforcing. L’amore per la pace, per ogni uomo e popolo, si fa concreto quando, a fronte di fenomeni transnazionali, ossia richiedenti risposte non semplicemente nazionali, si rafforzano e si riformano urgentemente le attuali istituzioni in modo che in esse siano equamente rappresentati gli interessi della grande famiglia umana.

Occorre che esse sappiano contrastare i nuovi totalitarismi, compresi quelli finanziari, che mettono a repentaglio il destino dei popoli, la loro libertà, escludendoli o emarginandoli dal mercato internazionale, da uno sviluppo integrale ed inclusivo. Ai popoli più deboli, non si tratta di dare il superfluo, ma di aiutarli ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano, di un’ecologia integrale. Se non si combatteranno le attuali povertà e diseguaglianze, rimuovendo le cause profonde di una crescente dominazione da parte di una ricchezza egoista e amata per se stessa, non è da escludere che, come prevedeva la Populorum progressio, i popoli poveri si ribellino nei confronti dei popoli dell’opulenza. L’ingiustizia che si aggrava, non solo aumenta gli squilibri tra i popoli, e grida verso il cielo, ma partorisce tensioni e conflitti. La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia.