La centralità dei migranti, dei poveri e degli indifesi per la Chiesa

Dare priorità alla nostra risposta ai lavoratori che si trovano ai margini del mondo del lavoro e che si vedono ancora colpiti dalla pandemia di Covid-19; i lavoratori poco qualificati, i lavoratori a giornata, quelli del settore informale, i lavoratori migranti e rifugiati, quanti svolgono quello che si è soliti denominare ‘il lavoro delle tre dimensioni’: pericoloso, sporco e degradante, e l’elenco potrebbe andare avanti”. È l’imperativo del Papa, nel videomessaggio – in spagnolo – inviato in occasione della 109esima Conferenza internazionale del lavoro. “Molti migranti e lavoratori vulnerabili, insieme alle loro famiglie – fa notare Francesco -, generalmente restano esclusi dall’accesso a programmi nazionali di promozione della salute, prevenzione delle malattie, cure e assistenza, come pure dai piani di protezione finanziaria e dai servizi psicosociali”.

“La mancanza di misure di tutela sociale di fronte all’impatto del Covid-19 ha provocato un aumento della povertà, la disoccupazione, la sottoccupazione, l’incremento della informalità del lavoro, il ritardo nell’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, il che è molto grave, l’aumento del lavoro infantile, il che è ancora più grave, la vulnerabilità al traffico di persone, l’insicurezza alimentare e una maggiore esposizione all’infezione tra popolazioni come i malati e gli anziani”, la denuncia del Papa, secondo il quale “i più vulnerabili – i giovani, i migranti, le comunità indigene, i poveri – non possono essere lasciati da parte in un dialogo che dovrebbe riunire anche governi, imprenditori e lavoratori. È altresì essenziale che tutte le confessioni e le comunità religiose s’impegnino insieme”.

La Chiesa continua a interrogarsi sulla preoccupante questione dell’immigrazione, a fronte dei nuovi sbarchi e dei drammi provocati dalla pandemia. Papa Francesco e i membri della presidenza della Comece, la commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea, si sono incontrati nei giorni scorsi in Vaticano proprio per discutere di questi temi. Già nelle settimane precedenti le foto dei bambini morti in un naufragio di migranti nel Mediterraneo e lasciati senza neppure una sepoltura sulla spiaggia libica di Zuwara avevano provocato un’ondata di sdegno nell’opinione pubblica mondiale.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi aveva definito quelle immagini “inaccettabili” e, sulla tematica dell’immigrazione, ha richiamato il Consiglio europeo di Bruxelles ad un “atteggiamento efficace, ma soprattutto umano”. Dietro quegli scatti sconvolgenti c’è un generale deterioramento di una civiltà che globalizza l’indifferenza e non concede neppure un gesto di “pietas” alle proprie vittime innocenti. Sempre più persone soffrono, a vari livelli, in una situazione di grave degrado individuale e sociale. Ma se anche l’uomo è capace di grandi malvagità e di errori, il Vangelo ci insegna a restare aperti a grandi speranze, a importanti obiettivi.

È la ricerca di infinito, di trascendenza che ci induce a ritrovare la dimensione costitutiva del nostro stesso essere. Da qui possiamo ripartire come credenti e uomini e donne di buona volontà per riaffermare la verità sull’uomo, sulla sua singolarità unica di persona, in possesso di diritti inalienabili. Con la sua incarnazione Cristo è entrato in contatto con ciascuno di noi e ne deriva un rapporto profondo tra il mistero della Redenzione e la dignità dell’individuo. Perciò alla disumanità di una mentalità imperante che calpesta i più deboli, Papa Francesco oppone incessantemente la centralità dei poveri, dei fragili, degli indifesi. Qui sta lo spartiacque di civiltà.

L’esercizio della misericordia diventa il criterio di verità della fedeltà al Vangelo, nella comunità primitiva come nella Chiesa di oggi. Ad esempio, difendere la vita dal concepimento al suo termine naturale non può essere materia di negoziato. La categoria della “non negoziabilità” è emersa per la prima volta nel Magistero della Chiesa nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, emanata il 24 novembre del 2002 dalla Congregazione per la dottrina della fede. La Nota era firmata dal cardinale Joseph Ratzinger, nella qualità di prefetto della Congregazione e venne approvata da Giovanni Paolo II.

Il cristiano è chiamato “a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili”. Le esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, nelle quali è in gioco l’essenza dell’ordine morale (cioè il bene integrale della persona) sono anche quelle che tengono conto di un’economia che sia al servizio dell’individuo e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale e del principio di solidarietà umana. Una sollecitudine che ha radici salde.

Sono trascorsi 56 anni da quando 42 vescovi e padri conciliari firmarono a Santa Domitilla, a Roma, il “Patto delle catacombe”, sottoscritto poi da altri 500 Pastori, per sancire l’impegno di realizzare una Chiesa povera per i poveri. Papa Bergoglio ripropone il tema di una Chiesa vicina alle fasce sociali più emarginate, ai diseredati, agli indigenti, a chi subisce soprusi e ingiustizie. Riconoscendo Cristo in queste persone, il Pontefice testimonia l’opzione per i poveri e per uno stile di vita solidale e sobrio, secondo la linea pastorale di apostoli della carità come l’arcivescovo brasiliano don Helder Câmara e don Tonino Bello. Nell’Evangelii Gaudium si evidenzia che “i poveri hanno molto da insegnarci. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro”. A partire da chi vede infrangersi tra le onde il sogno di una vita dignitosa e libera.