L’appello della Chiesa alla conversione dei mafiosi

La Chiesa come comunità inserita nella storia che esercita una responsabilità verso l’intera società non può non fare i conti con il fenomeno della mafia per esercitare un suo “servizio” in nome del messaggio di cui è portatrice. È compito della Chiesa sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’humus, dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell’apporto responsabile di tutti e di ciascuno.
Alla comunità cristiana si richiedono dei gesti originali che portino a una prevenzione dei reati collegati col fenomeno mafioso impegnandosi per la diffusione di una cultura della legalità e all’educazione a non fare del denaro e della ricerca smodata del potere gli idoli cui sacrificare tutto dalla vita delle persone. La Chiesa, particolarmente nella predicazione e negli interventi autorevoli, non può limitarsi alla denuncia del fenomeno mafioso, per la prevalente preoccupazione di parlare all’opinione pubblica, ma deve rivolgere il pressante appello e dare un vero aiuto alla conversione, facendo prevalere la preoccupazione di parlare alle coscienze.
La Chiesa, in forza della sua stessa missione, rivolge ai mafiosi l’appello alla conversione, “che deve essere effettiva e concreta: non solo dichiarata a parole, ma anche vissuta con i fatti”. Tuttavia essa deve vigilare affinché l’esercizio del ministero di annuncio della misericordia di Dio non sia strumentalizzato dal mafioso, ad esempio durante la sua latitanza, e non si configuri, di fatto, come copertura o favoreggiamento di quanti hanno violato e talvolta continuano a violare la legge di Dio e quella degli uomini. Nel caso del mafioso, la conversione comporta un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia.
Nel suo appello alla conversione la Chiesa non può non fare presenti le esigenze proprie della conversione cristiana e quindi non ricordare, anche ai mafiosi, che la conversione non può essere ridotta a fatto intimistico, ma ha sempre una proiezione pubblica ed esige comunque la riparazione. La conversione di un mafioso non potrà certo ridare la vita agli uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia, fonte costante d’ingiustizie e violenza; anche con l’indicazione all’autorità giudiziaria di situazioni e uomini, che se non fermati in tempo, potrebbero continuare a provocare ingiustizie.
La mancanza di una tale indicazione da parte del mafioso convertito, oltre a configurarsi come atto di omertà, sembra ignorare il dovere della riparazione. C’è un nesso tra peccato di cui ci si pente e pena da assumere in espiazione del peccato. Nel caso di peccati legati all’appartenenza mafiosa, la “soddisfazione” del peccato sia da vedere anche nelle pene sancite dalla condanna detentiva della magistratura, alle quali perciò il mafioso convertito potrebbe cercare di non sottrarsi.