Cercasi Schindler per i corridoi umanitari

Quando la vita ti da un’opportunità, sei tenuto a darla anche tu a qualcun’altro. Sui corridoi umanitari si misura la differenza tra lo statista e il politico. Il primo ha come orizzonte temporale e valoriale il destino delle future generazioni, il secondo il tornaconto elettorale immediato. Chi per investitura popolare ha ricevuto responsabilità di governo non può ignorare il grido di aiuto che arriva dall’indigenza. I momenti di crisi sono possibilità di crescita anche per coloro che la sorte ha incaricato di sovrintendere al bene comune. L’attuale classe dirigente italiana può fornire una storica testimonianza di affidabilità internazionale ad un’Europa che sta ripensando il suo ruolo nel mondo. Significativamente sui social rimbalzano poco gli sforzi di queste ore per risolvere emergenze legate ai profughi. Può essere un segno a doppia lettura. Una negativa: da un lato ci si vergogna di quanto si fa in concreto per gli ultimi, dall’altro non si vuole riconoscere ciò che di buono e costruttivo viene fatto nel fronte avversario. Una positiva: abbassati i toni propagandistici da urne in vista, si prende coscienza che questioni di vita o di morte necessitano di soluzioni immediate. Nessuno può giocare sulla pelle di donne e bambini innocenti. Ricordo i primi migranti accolti. Le persone non sono mai numeri ma storie, dolori, speranze e, come insegnava don Oreste Benzi, condivisioni. Nei momenti tragici emerge la statura degli uomini. L’industriale tedesco Oscar Schindler seppe opporre la lungimiranza della carità alla miopia del collaborazionismo nei tempi oscuri nei quali il “quieto vivere” induceva a ingraziarsi il mostro nazista. In ogni contesto di tenebra c’è un desiderio di luce. Il crocifisso di cui si torna a parlare nell’arena pubblica dimostra che la testimonianza è l’unico antidoto all’asservimento del male.

Oggi in una società apparentemente tutta “connessa” e dichiaratamente “iper moderna”, c’è il rischio di voltarsi stoltamente dall’altra parte di fronte alle traversate della sofferenza che avvengono a pochi chilometri dalle nostre coste. La storia attesta che a grandi responsabilità corrispondono irrevocabili potenzialità di crescita.  Adesso sono chiamati ad un esame di maturità i vincitori di oggi e quelli che si preparano a salire i gradini di un’autorità che finalmente unisca invece di dividere rendendosi autentici servitori. Chi da leader di una sola parte aspiri a rappresentare l’interezza della comunità nazionale ha una chance irripetibile: farsi trovare pronto da una stagione imminente che vedrà l’Italia al centro di dinamiche migratorie e geopolitiche globali. Con la Libia sempre più in via di disfacimento, i responsabili civili e religiosi del nostro Paese dovranno necessariamente cooperare e interagire proficuamente per minimizzare l’impatto umanitario di situazioni non altrimenti gestibili. La chiesa cattolica ha dimostrato di voler fare la sua parte e l’auspicio di tutti gli uomini di buona volontà è che vengano superati reciproci muri di incomunicabilità. Nessuno può chiamarsi fuori dal recinto del dialogo e chi lo fa offre una contro-testimonianza evangelica. Papa Francesco, ancora una volta, insegna con il suo viaggio in Romania che non esistono periferie geografiche ed esistenziali aliene al confronto e alla collaborazione. Trincerarsi dietro le condanne preventive alimenta la diabolica tentazione di ragionare per pregiudizi. Diceva il pragmatico Deng Xiaoping “non importa se un gatto è bianco o nero purché catturi i topi”. Le persone vanno valutate per ciò che compiono, non per gli slogan e le etichette alle quali è fin troppo facile inchiodare le diverse identità.