Quell’amore profondo che sconfigge la morte

La Pasqua del Signore è l’evento più determinante dell’intera storia umana e, celebrarla ogni anno, per i cristiani, è un appuntamento col parto di un mondo nuovo, di una nuova primavera della storia e di una Risurrezione che assume il contorno del giorno prodigioso della vittoria, come scriveva San Paolo. Le doglie dell’umanità diventano le ferite del costato di Gesù Cristo che nell’ora del dolore più profondo si affida al Padre, che gli dice: “Tu non morirai”.  Le viscere di un amore smisurato che abitano tutta la passione di Gesù, si donano agli uomini ed in quelle stesse viscere, in quel costato dilaniato dalle ferite, giacciono gli occhi nuovi della sofferenza che riconoscono il disegno di Dio nella croce e la matita di Dio “trasfigura” la morte di suo Figlio nella decisione suprema della libertà.

I Cristiani, nell’incontro con il Risorto, sperimentano il valore dell’amore asimmetrico, libero e incondizionato, colto nel suo valore etimologico più alto che è a-mors, senza morte. Oggi che il mondo intero tocca con mano la paura a causa del Covid-19, mi sento di dire che stiamo toccando il costato di Gesù Cristo e non con l’iniziale incredulità di Tommaso, ma con la verità della ferita che sanguina e che consuma, che dilania ma ci permette di accedere ad una vita oltre, la vita nuova. La carne ferita è il corpo di chi ha deciso di farsi prossimo, di testimoniare che l’ultima parola non è mai la sofferenza o la morte ma sempre e solo l’amore.

Da questi tempi di passione che tutti noi stiamo sperimentando per via della pandemia, possiamo trarre grandissimi insegnamenti perché, come ha scritto Papa Francesco (…) “da una crisi non si può uscire uguali, o usciamo migliori o usciamo peggiori. Questa è la nostra opzione. Possano le comunità cristiane del ventunesimo secolo recuperare questa realtà – la cura del creato e la giustizia sociale – dando così testimonianza della Risurrezione del Signore.”[1]

Dovremmo provare a non sprecare questa opportunità direi didattica che il Covid-19 in qualche modo ci ha consegnato mostrandoci tutti uguali di fronte alla sofferenza, di fronte alla morte, di fronte alla paura ed alla fragilità. Ma saremo disposti a “kenotizzare” il nostro ego per curare le sofferenze dell’altro? Di quell’altro che ora osserviamo sospettosi e diffidenti, quello stesso altro che prima abitava un barcone ed ora vive nei nostri palazzi, nei nostri condomini e nelle nostre strade? Riusciremo ad interiorizzare la morte di Gesù come la scelta di chi consegna la sua carne viva per salvare un’umanità che non conosce e che spesso lo disconosce ma che ama a priori?

Mi auguro che la testimonianza della vita di Gesù, che è esempio di vita anche nella morte, ci spinga ad essere nella quotidianità come il Cireneo che abbraccia la croce dell’altro, ci spinga a diventare mani che sorreggono, ci faccia toccare il “costato sanguinante di chi soffre”. Penso ai tanti malati che vivono, in queste ore, la duplice sofferenza della malattia e della solitudine e forse la paura dell’oblio, della dimenticanza, di lasciare i propri affetti senza averli salutati un’ultima volta. Il coronavirus ci ha tolto anche l’emozione dell’ultimo saluto a chi amiamo, quell’ultimo commovente abbraccio che àncora il cielo alla terra e che ci fa sentire parte di un disegno più grande che fatichiamo ad accettare, che viviamo con una spinta di ribellione, che ci ricorda quella “incertezza” nella corsa di Maria Maddalena che, nelle timide ore dell’alba, le fa dire che la pietra dell’ingresso del sepolcro era già stata fatta rotolare, benchè fosse molto grande.

Non abbiate paura, il Risorto, nel tempo che passa inesorabilmente, dirà a ciascuno di noi: “Tu non morirai!” perché il compimento del progetto di Dio continuerà nella certezza della vita Eterna. Buona Pasqua!

[1] Udienza Generale, 26 Agosto 2020, Biblioteca del Palazzo Apostolico.

Monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio