Afghanistan. Non diamo all’umanità una data di scadenza

La tragedia in Afghanistan interpella le coscienze di noi europei. Nel continente in cui sono divampate le due guerre mondiali, la storia insegna la disumana inutilità dei muri.

Eppure dalla Grecia all’Europa orientale sorgono nuove “barriere difensive” che lacerano il tessuto comunitario. I mass media riferiscono incessantemente di liste di cittadini afghani da evacuare, in una cruda contabilità che separa chi salvare e chi no. Come accadeva nelle pagine più ingiuste di ottant’anni fa quando l’Europa, tra lager e gulag, era dilaniata dai totalitarismi. Ed è triste vedere come oggi tra coloro che più si oppongono alla redistribuzione dei profughi ci siano coloro che nel dopoguerra sono stati accolti e aiutati nel momento del bisogno.

Una mancanza di reciprocità che deriva da una memoria rimossa. La Costituzione italiana, al pari di quelle degli altri paesi europei, riconosce il diritto di asilo a ogni straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche.

Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” riassume l’impegno nei confronti dei migranti in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di condividere un cammino e di aprirsi alle differenze, valorizzandole nel segno della fratellanza umana. Ciò vale in via prioritaria per quanti, come gli afghani, fuggono da gravi crisi umanitarie.

Al drammatico momento dell’evacuazione d’emergenza, devono seguire misure strutturali che il Pontefice indica con precisione. E cioè incrementare e semplificare la concessione di visti. Adottare programmi di patrocinio privato e comunitario. Aprire corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili. Offrire un alloggio adeguato e decoroso. Assicurare il diritto ad avere sempre con sé i documenti personali di identità. Garantire il necessario per la sussistenza vitale. Favorire il ricongiungimento familiare e preparare le comunità locali ai processi di integrazione. E qui la realtà diverge dolorosamente dalle intenzioni.

Non sono integrati coloro che arrivano perché noi che li accogliamo manchiamo di politiche autenticamente capaci di far convivere esigenze basilari come l’insegnamento della lingua italiana e l’armonica collocazione in piccole unità abitative che scongiurino il pericolo di ghetti ed ambienti di emarginazione. Anche la legge, se resta sulla carta, crea iniquità.

Come si può chiedere a chi si aggrappa agli aerei o affida i figli all’incognito pur di salvarli l’obbligo formale di certificare il proprio stato di pericolo? Madre Teresa diceva che la mancanza del pane uccide tante persone, ma molte di più ne muoiono per l’assenza di amore.

L’Afghanistan ha circa quaranta milioni di abitanti e si sapeva che Kabul sarebbe caduta. Possibile che il mondo intero abbia accettato di sottomettersi a quella mentalità crudele che già nell’estate 2014 trasformò Mosul e la Valle di Ninive in un inferno in terra? L’Isis, al-Qaeda, Talebani trovano alleati nell’indifferenza dell’Occidente. Legittimare il dominio dell’oscurantismo e della violenza equivale a condannare le future generazioni afghane ad un balzo indietro di decenni.

Un’ultima domanda: perché tanta fretta nello smobilitare tutto entro il 31 agosto? Il senso di umanità non può avere una scadenza. La solidarietà non è negoziabile.

Da Avvenire del 28 Agosto 2021