Monreale-Mosca, l'ecumenismo della cultura

Russia

la Russia come luogo-simbolo della riconciliazione tra cristiani. L’arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, e il parroco del duomo, don Nicola Gaglio, in viaggio da ieri a Mosca, su invito di monsignor Paolo Pezzi, amministratore apostolico della Russia europea dei latini, per una serie di impegni ecumenici e culturali. Ad accoglierli ieri, Jean Francois Thiry, direttore del Centro culturale, e Giovanna Parravicini di Russia Cristiana. Oggi, la celebrazione al mattino della messa nella cappella dell’arcivescovo, cui seguirà la visita alle chiese del Cremlino. Nel pomeriggio, invece, al monastero ortodosso Vysokopetrovskij l’incontro-lezione sui mosaici del duomo di Monreale con un gruppo di iconografi; il superiore del monastero, padre Petr Eremeev, farà poi visitare il monastero. A seguire, l’incontro-lezione e la presentazione del libro-calendario sul duomo di Monreale in russo “Domus Aurea” al Centro Culturale. Sarà presente anche padre Aleksej Uminskij, in passato ospite del Laboratorio di arti sacre a Monreale. Il 12 dicembre, in mattinata, la visita al Museo Rublev, con la sua collezione di icone. Alle 19, la messa in cattedrale nel XX anniversario della riconsacrazione della cattedrale metropolitana cattolica dell’Immacolata Concezione. Infine, il 13 dicembre, al mattino, la messa nella cappella dell’arcivescovo e la visita della Galleria Tret’jakov, cui seguirà l’udienza e l’incontro ecumenico con il metropolita Hilarion Alfev, presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Concluderà il viaggio, riferisce il Sir, la lezione sui mosaici di Monreale, con particolare attenzione ai problemi di storia e conservazione, al Centro di Restauro scientifico “I. Grabar”. L’indomani, la partenza dalla Curia verso l’aeroporto. Il viaggio a Mosca dell'arcivescovo Pennisi attua la “geopolitica della misericordia” di papa Francesco per riavvicinare cattolici e ortodossi. Sulla scia di uno storico abbraccio che merita di essere approfondito. 

L'anelito ecumenico

Se c’è un evento che racchiude simbolicamente e concretamente nel pontificato di Francesco l’anelito ecumenico del Concilio Vaticano II è il suo storico incontro a Cuba con il patriarca di Mosca. “L’incontro con il caro fratello Kirill è un incontro tanto desiderato pure dai miei predecessori, un evento è una luce profetica di Risurrezione, di cui oggi il mondo ha più che mai bisogno. La Santa Madre di Dio continui a guidarci nel cammino dell’unità”. Il Papa all’Angelus del 21 febbraio 2016 ha spiegato ai fedeli il valore e gli obiettivi dell’evento vissuto a Cuba. E, come già aveva fatto con i giornalisti nel volo dall’Avana a Città del Messico e in quello da Ciudad Juarez a Roma, ha insistito sui temi della fraternità e del camminare verso l’unità. La gioia dei due leader religiosi a Cuba è stata colta dai presenti: “Posso testimoniare”, ha raccontato per tutti padre Antonio Spadaro in una conferenza a La Civiltà Cattolica, “che il sorriso, l’abbraccio, il bacio, sono stati reali e c’è stato un clima di grande simpatia, nella mia immaginazione mi aspettavo delle rigidità che invece non ho visto”. Più difficile da spiegare perché il riconoscersi fratelli, e perché un abbraccio possano essere così importanti. Sarebbe più facile se si sapesse cosa il papa e il patriarca si sono detti nelle due ore di colloquio, due ore che, seppure con la presenza degli interpreti, risultano un tempo lunghissimo di dialogo. Ma il papa ai giornalisti ha spiegato che se avesse detto una cosa poi avrebbe dovuto aggiungerne un’altra e ha commentato che se un colloquio è privato deve restare privato. La riservatezza riguarda sia un eventuale secondo incontro, sia un ipotetico viaggio del papa a Mosca, o una sua ipotetica partecipazione al Concilio panortodosso di giugno a Creta.

Documento in 33 punti

Papa Francesco ha detto qualcosa di più circa la dichiarazione comune firmata con Kirill, insistendo sul carattere di “pastoralità” del documento. Si è scritto che la dichiarazione importa meno dell’incontro, il che è senz’altro vero, ma non esonera dal cercare nei trentatré punti del primo documento comune firmato da un papa e da un patriarca di Mosca, gli indizi dei possibili percorsi di unità, le mediazioni tra le ragioni, tra le sofferenze inflitte e subite degli uni e degli altri, le differenze di teologia e di pastorale tra le due grandi Chiese, le convergenze sulla intricata questione ucraina, che è religiosa, politica ed etnica nello stesso tempo. Soprattutto non esonera dall’analizzare come il dialogo traRoma e Mosca possa aiutare entrambe – forse Mosca ne ha un po’ più bisogno di Roma? – a dialogare con il mondo. E a fare insieme qualcosa di buono per la pace mondiale. “Ho un cauto ottimismo dopo questo incontro fraterno”, ha detto David Nazar, gesuita ucraino-canadese, “perché senza la fraternità è impossibile parlare della complessità storica”, e “comunque sarebbe un errore pensare che l’ecumenismo comincia con i leader” e ignorare le esperienze fraterne tra cattolici e ortodossi, anche in Ucraina.

Come Paolo VI e Atenagora

Resta il problema di come spiegare perché un abbraccio sia tanto importante. Si può ricordare lo storico incontro di Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora nel ’64, quando i capi delle due Chiese cristiane assunsero in prima persona il dovere di sbloccare una situazione bloccata da secoli, si abbracciarono, e si riconobbero come cristiani, per poi giungere alla cancellazione delle reciproche scomuniche. L’ecumenismo non comincia con i leader, ma i leader possono moltissimo se si alleano in un progetto comune: questo forse hanno pensato Francesco e Kirill, e da questo «punto intermedio, non di partenza né di arrivo», come Spadaro considera l’abbraccio a Cuba, è certo che non possiamo prescindere nel valutare l’accelerazione dell’ecumenismo impressa dal pontificato di Bergoglio. Gli autori del testo della dichiarazione congiunta firmata a Cuba da papa Francesco e dal patriarca di Mosca Kirill sono il pontefice e il capo della Chiesa ortodossa russa in persona, ha poi precisato il metropolita Ilarion, capo del dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa ortodossa russa. “L’incontro a Cuba rappresenta un passo storico nell’ecumenismo“, analizzò nel saggio Il Concilio di Papa Francesco il cardinale Velasio De Paolis. Le radici risalgono lontano nel tempo. Bisogna in modo particolare risalire al Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha segnato anche nel campo ecumenico un momento forte, che ha chiuso con un passato fatto di accuse, incomprensioni, e condanne, ed ha aperto al dialogo, alla riscoperta delle tante cose belle della tradizione e della fede comune; particolarmente della fraternità. Così il Concilio ha superato un periodo fatto di accuse di peccato, di eresia e di scisma, osservando che delle divisioni e lacerazioni nel tessuto della Chiesa, avvenute “talora per colpa di uomini di entrambe le parti”, non possono certamente essere accusati i cristiani dei secoli successivi. La ferita della divisione che la storia ha lasciato non può far cadere nell’oblio il ricco patrimonio spirituale comune della fede e del culto.

La dinamica di un mutamento epocale

Pur nella divisione, c’è un solidissimo fondamento comune, una comunione, anche se imperfetta, fondata sul Battesimo e sul patrimonio di fede, che permette di riconoscersi fratelli; una comunione destinata a crescere fino alla pienezza. Ma la dinamica di questo mutamento è stata positiva. Ha portato a rispettarsi, ad apprezzare le cose belle comuni, che sono molte e grandi, a ridimensionare i contrasti, a collaborare con il servizio e riconoscimento delle ricchezze comuni della fede, a riconoscersi e a trattarsi da fratelli, nella carità. E dove c’è l’amore c’è Dio. E dove c’è Dio, è attivo il principio interiore che muove lo spirito a riconoscersi fratelli nello Spirito e ad operare secondo il progetto di Dio che porta all’unità piena. Ma questa opera è dello Spirito. Gli uomini sono chiamati ad operare attraverso l’amore. Questo ha significato questo storico incontro: la riscoperta dell’amore fraterno, che porta ad operare sotto la guida di Dio e sotto l’azione dello Spirito Santo. In questo evento desta una certa meraviglia che ci sia voluto tanto tempo perché potesse essere realizzato. Secondo De Paolis, non è bastato neppure il Concilio. Di fatto non sono bastati neppure gli oltre cinquant’anni dai documenti conciliari, e particolarmente dal decreto Unitatis Redintegratio. Anzi, in questo periodo postconciliare il cammino ecumenico non solo è stato molto lento, ma addirittura ha avuto dei momenti di arresto, se non di arretramento. Numerosi incontri sulla verifica dei punti comuni di fede e di quelli di contrasto non ha portato molto lontano. Il dialogo ecumenico andava avanti all’insegna del confronto dottrinale, presupponeva implicitamente che il mutuo riconoscimento e la collaborazione dovesse partire dall’unità fatta. Papa Francesco ha insegnato una strada nuova: la comunione si realizza nel cammino fatto insieme; la fraternità cresce camminando insieme; il cammino fatto insieme spiana la via e allarga il cuore. La fraternità cresce allargando il cuore. Così avviene l’incontro e si approfondisce con la dilatazione del cuore.

La tradizione condivisa

Nella dichiarazione comune c’è molto realismo: si riconoscono le difficoltà. Ma per De Paolis c’è soprattutto molto coraggio, molta fede e molto amore. Si respira quasi una certa nostalgia dell’unità del primo millennio. Si sente la gioia della fede comune del primo millennio per la quale si rende grazie al Signore, è il tempo della Tradizione comune, per la quale si ringrazia Dio: “Rendiamo grazie a Dio per i doni ricevuti dalla venuta nel mondo del suo unico Figlio. Condividiamo la comune Tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. I Testimoni di questa Tradizione sono la Santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, e i Santi che veneriamo. Tra loro ci sono innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati “seme di cristiani”». Tuttavia essa non è stata in grado di salvare l’unità. Nonostante infatti tale tradizione, “cattolici e ortodossi, da quasi mille anni, sono privati della comunione nell’Eucarestia. Ha dovuto fare i conti con la debolezza umana e del peccato”. Non si tratta semplicemente di portare indietro l’orologio della storia, per ritrovare l’unità per la quale il Signore Gesù ha pregato. Si tratta di rinnovare l’uomo in modo che il disegno di Dio circa l’unità possa crescere e si possa compiere. L’unità è dono di Dio, è frutto dell’amore, della santità, della vita nuova che Gesù è venuto a portare; è opera dello Spirito Santo, Spirito dell’amore. L’incontro va visto come momento ispiratore di passi ulteriori: “Possa il nostro incontro ispirare i cristiani di tutto il mondo a pregare il Signore con rinnovato fervore per la piena unità di tutti i suoi discepoli”, e della piena comunione. È un dono di Dio che impegna ed esige la risposta dell’uomo, che è chiamato a compiere tutto il possibile da parte dell’uomo: Nella nostra determinazione a compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze storiche che abbiamo ereditato. Intanto, c’è l’impegno a lavorare insieme per affrontare le sfide del mondo di oggi: sono molte, gravi e urgenti. Vanno affrontate insieme”. È in gioco la stessa fede cristiana che è minacciata, nel mondo di oggi. Nell’incontro tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill, a giudizio di De Paolis, non si può non vedere un segno della benevolenza del Signore verso la sua Chiesa, perché essa, rinnovata e piena di coraggio, possa compiere la sua missione di annunciare al mondo la Parola di vita eterna. Da sempre il magistero della Chiesa considera la povertà una privazione grave di beni materiali, sociali, culturali che minaccia la dignità della persona. I poveri sono quanti soffrono di condizioni disumane per quanto riguarda il cibo, l’alloggio, l’accesso alle cure mediche, l’istruzione, il lavoro, le libertà fondamentali.