Come cambia il linguaggio nell’era del Covdi-19

Secondo Gianfranco Marrone, saggista e scrittore, professore ordinario di Semiotica all'Università di Palermo è il momento della pigrizia felice

Ormai il Coronavirus è pandemia. Tutti i continenti e quasi tutti gli stati del pianeta stanno facendo i conti con questo nemico invisibile che porta sofferenza e morte. Ma non è solo questo. Il coronavirus sarà molto altro. Sarà il prodromo di una crisi economica globale senza precedenti perchè esplode nell’era neocapitalista: il denaro è tutto. Allora, è chiaro che ciò che va rivalutato è anche quello che già si è perso. La capacità di condividere, di parlare, di stare insieme come valore universale, un valore senza prezzo. Significazioni che l’espansione del virus mette in evidenza. Cosi che è fondamentale lo studio del linguaggio:Isterico e senza controllo” secondo Gianfranco Marrone, saggista e scrittore, professore ordinario di Semiotica all’Università di Palermo.

L’analisi dello studioso

Emergenza, paura, contagio,restrizioni. Sono le parole che rimbalzano quotidianamente nella nostra mente in questi tempi di lotta al coronavirus, nemico invisibile ma micidiale. “I media ci stanno rimandando uno scenario assai più complesso, dove tutte le ansie, le contraddizioni, i principi, i valori della società contemporanea si sono radicalizzati” dice Gianfranco Marrone, saggista e scrittore, professore ordinario di Semiotica nell’Università di Palermo che ha analizzato il linguaggio e i comportamenti al tempo della lotta al Covid-19. “Abbiamo sentito parlare di complotti, allarmismi, fake news, ma in modo isterico, con pareri di esperti che litigano fra loro, per non parlare dei politici senza controllo”. Un sorta di psicosi collettiva, in una parte della popolazione? “La mia impressione è che la pandemia abbia creato un mondo alla rovescia, dove tutto è ribaltato – osserva lo studioso – in una specie di tristissimo carnevale: i paesi ricchi sono più sfigati di quelli poveri, la freddezza nordica è migliore del calore mediterraneo, la distanza fra le persone è più indicata che non il contatto dei corpi, l’isolamento è meglio della socialità,stare a casa è meglio che uscire, la rete sostituisce la piazza, l’on line prende il posto del cartaceo”.

Cadono i punti di riferimento

“Al di là delle angosce per il contagio in sé, mi sembra che abbiamo perduto ogni punto di riferimento: è tutto al contrario”. Una situazione che determina diffidenze e allontanamento tra le persone? “Una delle cose che più sta pesando alla gente -risponde il semiologo – è questa imposizione di tenere la distanza, anche fra i familiari o all’interno della coppia, è segno di una relazione interpersonale. Tenersi a distanza significa allontanarsi anche affettivamente, e viceversa. Ogni distanza ha un significato. Quel che sta succedendo oggi, dunque, è che cambiando le distanze cambiano pure i significati. Oggi vogliamo bene a persone che stanno a tre metri da noi: ma di che affetto si tratta realmente?”.

L’importanza dell’affetto

“Stiamo diventando tutti anaffettivi?”. E naturalmente di questo ne risente la vita quotidiana che è affrontata in modo diverso dal passato, con maggiore stress emotivo? “A me sembra che il problema più grave non sia quello di star chiusi in casa, ma di cambiare il ritmo della nostra esistenza. C’è chi non ci riesce, e per esempio resta tutto il giorno in pigiama, uomini che non si fanno la barba, o donne che non si truccano, c’è chi guarda le notizie in modo maniacale, tiene accesa la televisione giorno e notte. E c’è chi invece prova a tenere i ritmi di prima, improvvisando palestre in salotto, indossando giacca e cravatta per mostrarsi al video del computer, ostinandosi a fare riunioni su riunioni via skype. La cosa più difficile è inventarsi nuovi ritmi, ritrovare nuove forme di affetto con chi sta a casa con noi o con chi possiamo sentire solo via telefono, cambiando le percentuali fra lavoro e tempo libero, trovando un nuovo senso nel non far nulla. È il momento della pigrizia felice, approfittiamone”.