Quando il vino (artigianale) si racconta…

Parlare del vino come si stesse raccontando una storia. Una prassi poco usata ma che, in realtà, fa parte della cultura enoica più di quanto si creda. L'abitudine del vedere il vino sulle nostre tavole e, allo stesso tempo, osservarlo come un prodotto per esperti, ci fa quasi dimenticare quanto in quelle etichette sia nascosta una storia spesso secolare, fatta di persone, passione e, appunto, di cultura. Aspetto, quest'ultimo, che inquadra il vino in un contesto identitario, tanto radicato nella nostra sfera culturale quanto affrontato, forse, senza far comprendere a fondo quanto ci riguardi tutti da vicino. Da qui l'esperimento di tre enoici di fama come Armando Castagno, Giampaolo Gravina e Fabio Rizzari, autori del volume Vini artigianali italia – Piccolo repertorio per l'anno 2019 (Ed. Paolo Buongiorno), opera unica nel suo genere, nella quale prodotto e cultura coincidono non solo in maniera linguistica ma anche (e soprattutto) visiva. Centodiciotto schede di vini rigorosamente “artigianali” (la “parola-grimaldello del libro”), produzioni che differiscono, per tante ragioni, in modo sostanziale dalla classica idea di vino e che parlano letteralmente di sé attraverso un racconto e un'immagine, selezionata con la cura dello storico dell'arte. Un modo per aprire le porte delle produzioni artigianali, quelle “dell'approccio irregolare” che “rende il vino inesauribile” ma anche per recuperare quel lato culturale dal quale troppo spesso il consumatore, o il semplice appassionato, resta lontano. In Terris ne ha parlato con uno degli autori, Armando Castagno, docente, storico dell'arte e sommelier, per il quale il vino non solo “è una materia plasmabile, ma che chiede di essere plasmata”.

Vini artigianali e arte: un accostamento originale che, però, ci dice anche quanto il vino possa essere inquadrato come una vera e propria forma di cultura. Com'è nata l'idea?
“Io sono storico d'arte e giornalista del vino da oltre vent'anni. Mi piaceva l'idea di tentare la strada non battuta dell'immersione del lettore nelle storie del vino in un ambiente estetico, ovvero, la predisposizione grafica di una pagina che, sulla destra, mettesse in risalto una storia o un racconto di un vino e, sulla sinistra, un'immagine legata al vino da varie possibili concatenazioni di senso, alle volte spiegate nel testo, altre volte più intuitive ed epidermiche. E devo dire che il libro ha avuto un'ottima accoglienza”.

Un testo che si discosta sotto molti aspetti dalla concezione classica di un libro sul tema del vino…
“In realtà si tratta di un libro a tutti gli effetti sul vino. Nel titolo o sulla copertina nulla fa pensare a quel tipo di soluzione grafica. L'esperimento consisteva nell'immergere il lettore appassionato di “cose di vino” in un ambiente che, in qulache modo, gli ricordasse o gli suggerisse qualcosa di più. E questo ha una motivazione molto semplice: non possiamo pensare di parlare del vino come se si trattasse di una bevanda qualunque… In realtà è come se fosse il centro di un sistema culturale, e questo vale soprattutto per l'Italia sicuramente. E, come tale, lo abbiamo messo – e ci siamo messi – alla prova cercando di scrivere in un linguaggio abbastanza coltivato, senza nozioni eccessivamente tecniche, gergali o narcisisticamente volte a valutare il vino, a gerarchizzarlo o a metterlo in classifica. I vini sono solo raccontati, uno per uno, senza smania di punteggi o, appunto, di classificazioni. A quel punto, avendo la narrazione come elemento chiave della parte enoica, abbiamo posto un altro livello di narrazione, la parte artistica, quella per immagini. Due piani che, in teoria, dovrebbero fare in teoria 'corto circuito'”.

Nel testo si parla di vini artigianali, prodotti che si differenziano sostanzialmente dalle produzioni che tutti conosciamo…
“Sono dei vini prodotti innanzitutto con reale mentalità artigianale e non industriale. Lo preciso perché esistono anche dei vini prodotti in relativamente poche bottiglie ma con mentalità industriale, seriale, con l'idea di fare ogni anno lo stesso vino, con gli stessi protocolli, qualsiasi sia l'annata o il posto. Il vino, però, è una materia che non solo è plasmabile ma chiede di essere plasmata perché è l'unico alimento che è per definizione irregolare. E' questa, secondo me, la sua forza culturale: avere la possibilità di raccontare qualcosa del suo luogo di origine. Da qui si muove per arrivare a questa 'forza' che ha mille aspetti che, naturalmente, non pensiamo di affrontare tutti. Noi abbiamo visto la produzione di questi 118 vini, fatti in piccole quantità, con grande pazienza, artigianalità di approccio: di qualcuno raccontiamo la storia, di altri la storia di chi lo fa, di alcuni analizziamo i dati ambientali del posto da cui viene e, praticamente in ogni scheda, c'è un ulteriore aggancio culturale, cinematografico piuttosto che letterario, semantico, poetico, enigmistico o anche artistico”.

Pensando al vino, nonostante si tratti di un prodotto comune, consumato abitualmente sulle nostre tavole, viene subito in mente un linguaggio elitario, quasi fosse un argomento riservato a esperti del settore. Questo esperimento non mira solo ad aprire le porte di un mondo così vario ma anche a far conoscere più da vicino una realtà finora considerata forse di nicchia. A che livello è la ricezione da parte del lettore?
“E' in grandissima crescita, c'è una grande attenzione verso i vini artigianali. Un mondo nel quale, tra l'altro, non è popolarissimo quest'approccio tassonomico al vino propinato durante gli ultimi 20-30 anni. Un po' tutta la critica del vino, infatti, si è per così dire 'adagiata' su un linguaggio gergale che è elitario, tende a non includere. In questo modo non si usano le armi della prosa letteraria, si usa una terminologia complessa che chiude il vino in un ghetto in cui non merita di stare”.

Anche la produzione di vini artigianali è in ascesa. Esistono anche delle associazioni specifiche…
“In realtà esistono diverse reti. La più grande si chiama Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti, ndr) e quella ha dei requisiti d'accesso molto stretti, tra i quali il numero massimo di bottiglie prodotte, l'utilizzo soltanto di uve della propria vigna o l'esercizio della professione di vignaiolo come prima attività. Noi ci siamo occupati di vino autenticamente originale, fatto da famiglie che ci vivono e che quindi, magari, riflettono un po' di più sul tema. Con loro abbiamo avuto uno scambio di opinioni molto fruttuoso”.

Quindi è stato necessario anche un lavoro sul campo…
“Decisamente sì. E' stato uno scandaglio molto capillare, infatti ci abbiamo messo un bel po': sei mesi di lavoro continuo per fare circa 30 schede a testa che, a una prima impressione, sono relativamente poche. Io, personalmente, avevo circa 400 candidati dai quali ho cercato di prendere non necessariamente i vini migliori ma i più adatti a figurare in un libro così. E sono molto contento della scelta fatta”.

Come del resto anche la ricerca delle opere, vista la varietà presente nel testo, ha richiesto tempo e studio…
“Davvero un lavoro enorme e duplice. Io ho scritto le mie schede e poi ho aspettato di leggere quelle dei miei colleghi. La ricerca sulle opere è stata dura perché bisognava cercare quelle che potessero essere riprodotte. Quindi è stato necessarie andare in gallerie private e pubbliche che ci consentissero di riprodurre determinate opere. Ed è stato davvero necessario girare tutta l'Italia. La scelta è ovviamente di immagine o di particolari che in qualche modo si accordassero con il testo. C'è veramente di tutto, dall'astratto al manierismo, incunaboli del XIV secolo, l'impressionismo, pittori famosi e altri meno. L'importante era che quell'immagine rappresentasse l'ambiente di lettura del testo che le era stato attaccando”.

Quindi potrebbe essere definito un accompagnamento alla lettura?
“Sì, esattamente questo”.

Per concludere, in un momento storico che vede sempre aperto il discorso del 'made in Italy', far luce sul mondo dei vini artigianali è anche un modo per valorizzare un aspetto meno noto delle nostre produzioni o il tutto resta prettamente su un piano culturale?
“E' prima di tutto una scelta culturale ma non c'è dubbio che si traduca anche in una valorizzazione. L'importante, però, è che non si usi il termine 'eccellenze'!”.