L'appello al “journalism pride”

Sin dall’epoca dei graffiti e geroglifici nelle caverne preistoriche, l’umanità ha attribuito a simboli, segni e immagini il compito di fissare per sempre un pensiero ritenuto meritevole di futuro, perchè sopravviva a se stessi. Il Vangelo che narra la Buona Novella è in tutto simile, per struttura e linguaggio, a un giornale. Gli apostoli, da bravi cronisti, raccontano in prima persona o mediante “speciali interviste” la storia che ha cambiato per sempre il mondo. Del resto, dietro ogni svolta epocale, troviamo sempre una pagina scritta. Enorme quindi l’importanza e il potere affidato alla parola ovvero al fare informazione. E proprio per questo addolora constatare quanto oggi si siano degradate le forme e i contenuti della comunicazione, diventata per lo più un mero succedaneo del tam tam selvaggio della rete e dei social. Un vero e proprio arretramento che umilia la funzione autentica del giornalismo, in molti casi ridotto a prevalente canale di diffusione per gossip inverificati e per propaganda politica o commerciale neanche tanto dissimulata.

Una resa, dunque, che interpella fortemente l’etica del giornalista contemporaneo fin troppo indulgente al compromesso. Insomma una forma di asservimento intellettuale e professionale che non sfugge alla tentazione di blandire il potere in grotteschi giochi di rinvii seduttivi. E ciò che appare più grave è la studiata manipolazione della realtà in nome del relativismo trionfante, arma diabolica in grado di garantire patente di autenticità a qualsiasi ricostruzione o interpretazione dei fatti. Ciò accade a detrimento dell’unico imperativo etico-professionale possibile che è quello di raccontare i fatti per quello che sono, anche se scomodi o impopolari; altrimenti la gente, se non correttamente informata, continuerà per sempre ad assolvere Barabba e a crocifiggere l’innocente. 

Al tempo della rivoluzione tecnologica, che depotenzia inesorabilmente i mass media tradizionali, il giornalismo appare sempre più fragile e malfermo. Eppure mai come in questa epoca la società ha urgenza di essere correttamente informata nel rispetto della personale libertà di giudizio. A fronte di tanta spregiudicata manipolazione, si impone dunque al lettore il dovere della consapevolezza e del discernimento, atteggiamenti indispensabili per verificare il livello di inquinamento che il fiume in piena delle notizie quotidianamente lo travolge. Non possiamo permetterci di abdicare al ruolo di sentinelle dell’informazione, tanto meno delegare ad altri questo compito strategico. 

Ricevendo in udienza una delegazione di giornalisti tedeschi, Papa Francesco ha messo in guardia dalle fake news e dai titoli approssimativi. E ha avvertito: “Attenzione al web e ai social, possono fomentare pregiudizi e odio”. Una coraggiosa reazione di orgoglio e consapevolezza è richiesta agli attuali addetti alle comunicazioni sociali. A sollecitarla esplicitamente è stato ancora una volta Francesco, durante la recente visita alla redazione di un quotidiano: “Informare è un lavoro che richiede spirito di servizio”, ha ammonito Jorge Mario Bergoglio. C’è bisogno di nuovi momenti di confronto tra gli operatori dell’informazione. Non più umori in libera uscita ma risorse messe in rete. Un’opportunità per far tesoro di specifici talenti e di variegate competenze. Quando si fà fronte comune i risultati arrivano e sono spesso sorprendenti.

Tre gli esempi storici particolarmente significativi, negli ultimi due secoli, per i quali la parola ha “scritto” la storia: un secolo e mezzo fa il processo di unificazione nazionale; trent’anni fa la caduta del muro di Berlino; dopo l’11 settembre 2001 il rilancio del dialogo tra le fedi come reazione agli attacchi terroristici. Tra pochi mesi si festeggeranno i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino. Il crollo di pericolosi simulacri e di una ideologia oppressiva ha dimostrato che le libertà fondamentali dell’uomo non possono essere represse né soffocate per sempre. Indimenticabile il ruolo determinante di Giovanni Paolo II che ha permesso che nel 1989 il mondo, non solo Berlino, cambiasse.

Allora come oggi, il mondo continua ad avere sete di verità, di libertà e di pace. Occorre costruire insieme la vera civiltà, non più basata su rapporti di forza ma frutto della vittoria su sé stessi ovvero sulle potenze dell’ingiustizia, dell’egoismo e dell’odio. Gli aerei dirottati da al-Qaeda e scagliati su Ground Zero hanno ottenuto come reazione il sussulto delle coscienze e imass media hanno contribuito notevolmente a promuovere l’incontro tra le religioni come antidoto allo scontro tra civiltà. E così, nell’epoca globalizzata, al dialogo tra religioni deve aggiungersi il confronto con chi non conosce Dio. Questa è la lezione tramandata dai patriarchi biblici e dai successori dell’apostolo Pietro. E, come insegna Sant’Agostino nelle Confessioni, Dio è più grande del nostro pensiero e nello stesso tempo è più intimo a noi di noi stessi. 

Applicando all’informazione l’adagio teologico “credo ut intelligam” (credo per capire) lanciamo la sfida al mondo della comunicazione a fermarsi un attimo per riflettere su se stesso e sulla propria missione, riunendo in uno spazio neutrale tutti quei soggetti che credono ancora nella libera informazione e sono pronti a rimboccarsi le maniche, senza aspettarsi soluzioni da fantomatici centri del nuovo potere tecnocratico. E’ un umile ma fermo invito ad accettare due doni, la libertà e la responsabilità, che ci fanno scoprire e comprendere la vita vera cioè la bellezza e l’irriducibile complessità del vissuto quotidiano. Sta agli uomini liberi alzare la testa e fare un passo avanti.