Fausta Speranza, una voce femminile a L'Osservatore Romano

Nel giornalismo, come nella vita, uno sguardo può cambiare il modo di scorgere la realtà. Lo sa bene Fausta Speranza, prima donna de L'Osservatore Romano ad occuparsi di politica internazionale, che ha dedicato a questa vocazione la sua vita. Bob Woodward, il reporter del famoso caso Watergate, soleva dire che “il giornalismo ha bisogno di molto di più di un paio di scarpe da consumare” ed il percorso di quest'intrepida giornalista romana ne è la conferma: venticinque anni come inviata per Radio Vaticana hanno consolidato la sua formazione geopolitica, facendola approdare a collaborazioni con riviste di settore quali Limes e quotidiani come Il Corriere della Sera Il Riformista. Per Fausta, a legittimare il nero sul bianco è la storia che si racconta e per lei la ricerca è più importante dell'atto finale. Nel suo ultimo libro, Messico in bilico. Viaggio da vertigine nel Paese dei paradossi, il suo sguardo da cronista rompe il velo della dicotomia nord vs sud del Mondo per diventare, piuttosto, un racconto corale a più voci, uniche perché contraddittorie: Il Messico ti abitua al potere evocativo della parola e dell'immagi­ne. Ti trascina sul terreno dell’empatia più estrema per drammi e tragedie e ti abbandona tra le braccia dell'arte e dell'ironia, dopo averti stregato di bellezza” scrive e, nelle sue parole, si scruta la passione viscerale per la ricera di storie evocative, unita al desiderio di essere portavoce di un mondo che trasmetta una consapevolezza vissuta in prima linea. Dopo una lunga esperienza da inviata, oggi Fausta lavora in una fervente redazione nel cuore del Vaticano. Ma la passione del racconto, unita alla responsabilità di una scrittura d'impegno sociale, le permette ancora di intraprendere il viaggio più importante: quello della conoscenza, che sente chi del mondo ha ancora tanto da imparare.

Fausta, quando hai scoperto che il giornalismo era per te una vocazione?
“Rispondo simpaticamente con un 'documento' che esiste davvero: fogli protocollo con tanto di titolo, titoli, disegni   e raccontini  che ho 'firmato' a otto anni. Erano gli ultimi anni Settanta ed è pieno di fatti di sangue sui quali la polizia indaga: credo testimoni che già allora non ero indifferente alle notizie”.

Quali sono i ricordi che più ti emozionano della tua carriera?
“Sarebbero tantissimi! Ricordo solo una persona a Semey Palatinks, in Kazakhstan,exsito di esperimenti nucleari russi: gli scienziati si interrogavano sulla capacità del suo fisico di sopravvivere alle radiazioni,  questa persona si chiedeva come aveva fatto a sopravvivere a tanto dolore. E Nadia Muriad, yazida  schiava del sesso per i criminali dell'Isis, che ho abbracciato non troppo tempo dopo la liberazione: sorretta nell'orrore dalla Fede di sua  madre”

Sei stata la prima donna ad occuparsi di politica internazionale a L’Osservatore Romano. Hai trovato ostacoli per questo?
“Per il mio percorso di crescita, mi sono difesa lo spazio sempre e ovunque. Per la 'carriera', ho trovato ostacoli nella mentalità predominante di potere, che bilancia, in confronti tutti personalistici, gli interessi dei più sgomitanti, lasciando per ultima istanza quella della qualità del prodotto. Non tutti gli uomini sono prepotenti, ma definisco questo potere 'maschile' perché al comando ci sono da sempre gli uomini. Quello che vorrei non è  tanto più donne nelle stanze dei bottoni, ma un potere 'al femminile', intendendo l'opposto di quello che ho descritto come 'maschile'”. 

Qualche mese fa hanno fatto scalpore le dimissioni di Lucetta ScaraffiaDonne Chiesa mondo, l'inserto mensile de L'Osservatore Romano. Cosa ne pensi?
“Non ho mai collaborato a Donne Chiesa mondo con la gestione Scaraffia. 

Credi che, come negli anni Settanta, c’è oggi il rischio che il politicamente corretto diventi un’ideologia?
“Più di un rischio. Apparentemente, si tratta di una sollecitazione a modificare il linguaggio perché sia più rispettoso delle diverse sensibilità possibili, ma in realtà è il tentativo sottile di alterare la lingua per modellare la mentalità, imponendo lo sgretolamento di un'idea di convivenza basata su principi condivisi. Se l'assioma ribadito è che tutto è relativo e, dunque, nulla è dato per certo e condivisibile, non sono più d'accordo: rivendico la verità di alcuni valori 'certi'. Inoltre non mi piace il paradosso di un  relativismo che si fa assoluto, che si impone come un dogma”.  

Come vedi l’informazione vaticana da qui ai prossimi anni?
“La sogno come un approfondimento coraggioso sulla realtà dei fatti, unito a una capacità di fare inchiesta sul 'brutto' quanto sul 'bello'. Sicuramente ispirato a  'la Verità vi farà liberi'”. 

Hai curato un libro che è uno spaccato socio-antropologico sul Messico: come vedi la presenza del primo Pontefice latino-americano? Quali sfide questo comporta per l’Europa?
“Il Papa venuto, per sua definizione, 'dalla fine del mondo', mi è sembrato da subito arrivato dal centro del Vangelo! E questo significa la meraviglia di una Chiesa che si fa 'esperta' di umanità, come la definì Paolo VI nel suo discorso – il primo di un Papa –  all'Onu. Da quel momento in poi dovremmo aver superato gli orizzonti geografici quando parliamo di Chiesa. Inoltre, Francesco nel suo primo saluto ha parlato di Chiesa come 'Popolo di Dio in cammino',  espressione propria del Concilio Vaticano II  e questo mi è sembrato chiarire subito che non si sarebbe potuta più trascurare la ricchezza indubbia del Concilio che ha aperto in modo particolare la Chiesa alla modernità e al mondo intero”. 

Hai anche curato per la Libreria Editrice Vaticana il volume Europa, il futuro di una tradizione: come vedi da donna e madre l’Europa, che Papa Francesco ha definito “nonna”?
“Vorrei poterla vedere con l'entusiamo di mia figlia per un mondo migliore e la saggezza di mia madre. Indubbiamente l'Europa recupera  vitalità se ritrova il respiro  di quanti hanno progettato un'integrazione di popoli  dopo la tragedia dei due conflitti mondiali. Parlo dei politici di spessore come De Gasperi, Schumann e Adenauer, ma anche degli intellettuali come Spinelli,  Sturzo, Monet, Spaak che hanno nutrito lo slancio etico europeo”. 

Da giornalista cattolica, qual è il tuo rapporto con Dio e come si fa ad essere, parafrasando Ignazio di Loyola, contemplativi nell’azione?
“La sfida di Sant'Ignazio è difficilissima nell'equilibrio! Non mi sentirò mai abbastanza capace di farlo ma so che l'averci provato è stato quello che mi ha permesso di fare i reportage migliori, come le scelte migliori della vita. Per quanto riguarda Dio, non sono stata educata alla fede se non timidamente da mia nonna. Quando ho iniziato a scoprire il Vangelo a 12 anni ha significato come girarsi e impattare con una persona della stanza che non avevi visto! Per me Dio è e resta quell'incontro vero e vivo con qualcuno che ti nutre di amore, di speranza, di verità”. 

Quali progetti futuri hai in serbo?
“Il 30 settembre presenterò il mio libro Messico in bilico al Centro Studi Americani a Roma. Sono molto grata di quest'evento, che sarà animato dal direttore de L'Osservatore Romano Andrea Monda e dal professore Paolo Valvo, che insegna Storia Contemporanea all'Università Cattolica di Milano. In cantiere c'è, sempre per Infinito Edizioni, un altro libro su un Paese bellissimo, che prendo, pur descrivendo drammi e rischi, come emblema e possibile 'laboratorio' di quello che immagino un 'incontro tra civiltà' da opporre allo 'scontro di civiltà', di cui parla  Samuel P. Huntington. Però, chiedo scusa, ma non anticipo il nome del Paese”. 


La copertina del libro “Messico in bilico. Viaggio da vertigine nel Paese dei paradossi” (Infinito Edizioni)
Foto – © Vatican Media