Usura ed estorsione a Roma, 17 arresti della Finanza

Quattro anni di indagini, 17 arresti, sequestri per 16,5 milioni di euro e legami con camorra e ‘ndrangheta. Sono solo alcuni degli elementi della vasta operazione contro la criminalità organizzata condotta dalla Guardia di Finanza di Roma e scattata all’alba. Pesanti i reati contestati: associazione a delinquere, usura, estorsione, abusivismo finanziario, reimpiego di capitali illeciti, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e accesso abusivo a sistemi informatici. In molti casi con l’aggravante del metodo mafioso, perché i malviventi non si facevano scrupolo di terrorizzare le proprie vittime anche sbandierando lo stretto legame con il boss della camorra Michele Senese.

Le minacce nelle intercettazioni

Le indagini, condotte dagli specialisti del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria della Capitale, hanno avuto inizio nel 2013, a seguito della denuncia sporta dalla vittima di reiterate estorsioni, connesse a prestiti usurari. Subito è emerso l’illecito rapporto tra un affermato imprenditore romano e due pluripregiudicati di origine campana, da tempo trasferitisi a Roma: un vero e proprio sodalizio criminale contiguo con ambienti malavitosi di stampo camorristico e ‘ndraghetista. In particolare, Francesco Sirica detto “Franco o’ pazz” e Luigi Buonocore, nonché l’imprenditore romano Alessandro Presutti – attivamente coadiuvati da Alessandro De Palma, Carmine Buonocore (fratello di Luigi), Domenico Sirica (padre di Francesco), Mirko Calì e Ilenia Tempesta (ex moglie del Presutti) erano gli esattori dello strozzinaggio, applicando classiche minacce di tipo mafioso, come risulta dalle intercettazioni divulgate: “…Ci devono pagare lo strozzo… (omissis) sto aspettando (omissis) mi metto sulla moto e lo butto di sotto! … (omissis) tocca ammazzarlo!“. Le intercettazioni hanno consentito di documentare, infatti, che Presutti si rivolgeva a soggetti dall’elevato spessore criminale per il recupero dei crediti vantati ed ancora non riscossi. Tra di essi il boss Maurizio Rango, reggente della cosca di ‘ndrangheta Rango-Zingari di Cosenza ed attualmente in carcere per associazione mafiosa, attraverso cui reclutare anche un presunto killer di ‘ndrangheta, sicuramente più “convincente” in ipotesi di ulteriori ritardi nei pagamenti.

Interessi del 20% mensile

Decine le vittime degli usurai, costretti a fronte di ingenti prestiti di denaro contante a corrispondere tassi di interesse mensili fino al 20%, subendo, in caso di inadempimento, gravi minacce, intimidazioni e ritorsioni anche con il ricorso alla violenza (le indagini hanno documentato, tra l’altro, un caso di accoltellamento). Secondo gli investigatori, il sodalizio criminale aveva la capacità di reclutare noti pregiudicati, tra i quali un importante esponente della famiglia Cordaro del quartiere Tor Bella Monaca, Giuseppe Cordaro, già detenuto dal luglio 2016 e oggi nuovamente destinatario di ordinanza di custodia cautelare in carcere, ampiamente conosciuto alle cronache per gli ingenti traffici di droga e per i numerosi fatti di sangue verificatisi nella zona, connessi a regolamenti di conti funzionali al dominio sulle piazze di spaccio. A tal proposito, nel corso delle investigazioni, è’ emerso anche un vero e proprio “libro mastro della droga”, riferibile alla famiglia Fabietti – altra organizzazione narcotrafficante romana operante a Tor Bella Monaca – nel quale erano documentati debiti per un controvalore di circa 6 milioni di euro, corrispondenti a cessioni di droga per almeno 120 kg.

I legami con la camorra

Nel corso delle investigazioni è emersa, come accennato, la colleganza e fidelizzazione con il boss Michele Senese, la cui fama criminale veniva spesso evocata per gestire i rapporti con altre organizzazioni malavitose o per intimorire le vittime di usura o, ancora, per garantire la raccolta periodica di “oboli” necessari al sostentamento dei membri del gruppo campano nonché alle loro ingenti spese legali connesse a processi in corso.

I colletti bianchi

Dall’altro caso è stata identificata un’ampia “area grigia”, costituita da soggetti appartenenti alla società civile – tra cui un avvocato del Foro di Roma e un consulente del lavoro – che ponevano a disposizione dell’organizzazione il proprio know how professionale e contribuivano alla soluzione di ogni problema tecnico e/o giuridico. Per mascherare i proventi dell’usura, il gruppo aveva creato tre società con sede a Roma, operanti nel settore del commercio di autovetture e nella compravendita immobiliare, un’ulteriore società svizzera, da considerarsi la “cassaforte” del gruppo, alla quale attribuivano la titolarità di immobili ubicati a Roma, già offerti in garanzia per i prestiti a tassi usurari e successivamente acquisiti. Sono state sequestrate proprio le concessionarie di auto ma anche immobili e due barche, e sono in corso 75 perquisizioni, con l’impiego di oltre 300 Finanzieri a Roma, Napoli, Milano e Potenza.