Sgominata banda che controllava il Made in China in Europa

Blitz della Polizia di Stato contro la mafia cinese. In una vasta operazione attuata all'alba, e battezzata China Truck, le forze dell'ordine ha sgominato un'organizzazione mafiosa cinese che agiva in Italia e in altri vari Paesi d'Europa. 33 le persone arrestate con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, 21 gli indagati in stato di libertà.

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China Truck

China Truck è stata svolta dalla Polizia di Stato, su delega della Procura Distrettuale Antimafia di Firenze. Ben 130 gli agenti del Servizio Centrale Operativo e delle Squadre mobili di Prato, Roma, Firenze, Milano, Padova e Pisa impiegati nell'operazione; 18 le pattuglie del Reparto Prevenzione Crimine di Firenze e Roma; coinvolti anche il Nucleo Cinofili di Bologna e il Reparto Volo di Firenze e Roma. Hanno inoltre collaborato al blitz la polizia francese e quella spagnola. Le indagini, iniziate nel 2011, condotte dai poliziotti della Squadra Mobile di Prato e del Servizio Centrale Operativo della Polizia, hanno riguardato un'associazione criminale che affermava la propria egemonia nel controllo del traffico delle merci su strada in tutta Europa, egemonia nel campo della logistica imposta con metodi mafiosi ed alimentata dagli introiti provenienti da attività criminali tipiche della malavita cinese.

L'organizzazione mafiosa

In una conferenza stampa, svolta presso la Procura di Firenze, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho e il capo dello Sco Alessandro Giuliano, hanno rivelato i dettagli dell'operazione, resa possibile anche grazie all'aiuto di intercettazioni telefoniche, e svelato la struttura dell'organizzazione.

L’organizzazione, di carattere internazionale, si occupava principalmente della gestione in regime di monopolio del trasporto su strada della merce di origine cinese, o prodotta in Italia da cittadini cinesi. Gli investigatori sono stati in grado di documentare l’evoluzione dell’associazione che, da Prato, aveva esteso la propria influenza a Firenze, Roma, Milano, Padova e Pisa, sino a varcare i confini nazionali e arrivando in Francia e Spagna.

Al vertice della piramide un cinese che proprio a Prato ha cominciato la propria carriera criminale; all’inizio della sua espansione è entrato prima in conflitto e poi in affari con un connazionale, che ha assicurato all’organizzazione il braccio armato. Attraverso intimidazioni e vere e proprie violenze il gruppo criminale si è impossessato, passo dopo passo, di tutto il sistema di trasporti delle merci prodotte in Cina. “Se andate verso la mia corrente vivrete, se andrete contro la mia corrente, morirete!”, è uno dei sinistri biglietti da visita con cui il responsabile si presentava ad una riunione di affari per una fusione di società. Una delle tante frasi di cui l’uomo si è poi vantato al telefono mentre veniva intercettato dalla Polizia nel corso dei sette anni di indagine. Ciò che importava all'organizzazione non era il territorio di espansione, quanto l’area culturale di influenza, esercitando il proprio potere criminale solo ed esclusivamente all’interno delle comunità cinesi diffuse sul territorio italiano.

Le attività della mafia cinese in Europa

Attività collaterali della banda erano la gestione del gioco d’azzardo, la prostituzione, lo spaccio di stupefacenti ed il prestito ad usura. La forza intimidatoria, in alcune circostanze, era addirittura sostituita dall’autorevolezza; molti componenti delle comunità facevano infatti appello all’organizzazione per dirimere controversie interne alla comunità stessa. L’organizzazione piramidale contava sui vincoli di affiliazione e su una fedeltà assoluta al capo; i doveri verso il vertice erano talmente forti che avrebbero dovuto superare anche antipatie e contrasti tra i vari membri. Molto forte anche il legame con la madrepatria ed in particolare con la regione del Fujian, di cui sono originari molti componenti del “braccio armato” dell’organizzazione. Ma se negli affari l’associazione era quasi impermeabile a qualunque tipo di influenza esterna, diverso era invece l’atteggiamento nei momenti conviviali. Infatti, gli investigatori hanno documentato, tra le altre cose, il sontuoso banchetto offerto dal capo in occasione del matrimonio del proprio figlio: in un albergo di Roma sono stati pagati quasi 80mila euro per il servizio offerto agli invitati.