Lucattini: “Minori e dipendenza dal gioco, un problema serio”

I rischi dell’azzardo e della dipendenza dal gioco riguardano anche i giovani e i giovanissimi. La psicanalista Adelia Lucattini (Società psicanalitica italiana) ha risposto alle domande di InTerris sul fenomeno

Nell'immagine: a sinistra foto di Oleksandr Pidvalnyi da Pixabay, a destra Adelia Lucattini (per gentile concessione)

Il gioco è fondamentale per lo sviluppo psicofisico dei più piccoli, ma c’è un “giocare” che sortisce l’effetto contrario. Quando c’è di mezzo l’azzardo, magari neppure troppo evidente, la situazione è a rischio e da questo i minorenni vanno protetti per garantirgli una crescita sana e inoltre evitare che possano sviluppare una dipendenza dal gioco.

Alcuni dati

In “Rapporti Istisan 19/28 ‘Gioco d’azzardo in Italia: ricerca formazione e informazione’” del 2019, realizzato dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto superiore di sanità, risulta che tra gli studenti italiani tra i 14 e i 17 anni il 29,2% aveva dichiarato di aver giocato d’azzardo almeno una volta nei 12 mesi precedenti, dimostrando di preferire lotterie istantanee o in tempo reale e le scommesse sportive a slot machine, videolotterie e casinò online. Nel 3% dei casi il profilo corrispondeva a quello del giocatore problematico. Secondo una più recente indagine di Nomisma, nel 2023 il 37% dei giovani tra i 14 e i 19 anni ha giocato d’azzardo, in calo sulla rilevazione precedente del 2021 (42%), e il 14% sono dei frequent user, cioè lo fanno almeno una volta a settimana, invece in aumento. Il pericolo non è solo nelle scommesse e nel gambling come siamo abituati a conoscerli, ma spesso è inserito anche all’interno di videogiochi e piattaforme con cui molti bambini e adolescenti trascorrono il loro tempo. “Non c’è un’epidemia di giovani dipendenti dal gioco d’azzardo, ma il fenomeno è diffuso e pericoloso sotto molti punti di vista”, spiega a Interris.it Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista ordinario della Società psicoanalitica italiana (Spi). Un problema a lungo sottaciuto, secondo l’esperta. “I genitori non ne sapevano nulla perché nessuno glielo ha mai detto. Da quando la ludopatia è entrata nella sanità pubblica”, è stata inserita nei livelli essenziali di assistenza (lea) nel 2012, “in generale se ne parla più”.

L’intervista

Dottoressa, che ci dicono questi numeri?

“Non c’è un’epidemia di giovani ludopatici, nonostante un numero significativo di giovani occasionalmente o settimanalmente giochi d’azzardo, è comunque necessario prevenire quanto dipende da fattori ambientali e da comportamenti dannosi. Il fenomeno però è dilagante e pericoloso da molti punti di vista. Infatti, se sottende una malattia psichiatrica o un disturbo psicologico, lo nasconde e ne ritarda la diagnosi, altrimenti può significare che questi giovani vivono proiettati dentro il gioco e sottraggono tempo indispensabile per una buona crescita psicologica. Si tratta di un problema serio, già segnalato da psichiatri e psicoanalisti”.

Com’è cambiato il fenomeno?

“Alcuni studi hanno evidenziato la correlazione tra la proposta ai bambini di giochi in cui l’azzardo è implicito, in modo tale che non se rendano conto, per poi farlo diventare sempre più palese col salire di età. La modalità di gioco dei giovani, crescendo, cambia e si sposta su altre piattaforme che propongono partite a ogni ora del giorno. Negli Stati Uniti ci sono state delle ‘class action’ intentate dalle famiglie contro le loot boxes, dei ‘pacchetti misteriosi’ virtuali presenti nei videogiochi in cui si trovano contenuti che vengono forniti in maniera casuale, dietro pagamento. In Belgio hanno ricondotto queste ‘scatole’ al gioco d’azzardo e le hanno regolamentate. Ci sono studi che dimostrano che loot boxes e videogaming sono direttamente collegati al gioco d’azzardo patologico negli adolescenti”.

Quali sono gli effetti sullo sviluppo psicofisico dei giovanissimi?

“Oltre al rischio di diventare dei ‘veri’ giocatori, c’è quello di un arresto evolutivo. Un’area della loro mente che con la crescita non si distacca dalle fantasie infantili e funziona solo in relazione al gioco, venendo tolta così al normale sviluppo psicofisico del minorenne, e se è particolarmente pervasiva può arrivare a interferire con molte altre attività. Il gioco e in particolare le loot boxes, li premiano in modo assolutamente aleatorio, instaurando un meccanismo di coazione a ripetere. Ne può derivare anche un funzionamento di tipo psicotico che si trascinano dietro fino all’età adulta. Questi giochi, apparentemente innocui per bambini, funzionano – dal punto di vista dei produttori – perché vanno a intercettare il funzionamento della mente infantile”.

Come aiutarli?

“Per prevenire si lavora sull’attitudine psicologica, cercando di agire sulla mente e sulle emozioni dei ragazzi per aiutarli a sviluppare una buona capacità di discernimento. Bisogna spiegare ai giovani quali sono i rischi e vanno informati i genitori ma anche gli insegnanti, adulti di riferimento che possono facilmente raccogliere le confidenze dei loro alunni o studenti. Oggi si conosce cosa può essere rischioso all’interno di un videogioco, inoltre si possono impostare dei limiti di tempo di gioco una volta raggiunti i quali la partita si interrompe. Gli stessi giovanissimi lo fanno, per non sottrarre tempo ai compiti, agli amici, ad altre attività. Per la dipendenza, poi, ci sono i servizi dedicati”.

Che rapporto hanno i bambini e i ragazzi con il gaming?
“Per loro i videogiochi sono giocattoli che, a differenza delle generazioni precedenti, sono dematerializzati, ma restano metaforici avendo lo strumento elettronico come componente tangibile. Si affezionano, ci giocano con i loro amici sviluppando una relazionalità positiva, e con quelli educativi possono sviluppare qualità e attività di cui la società attuale ha bisogno”.