Pernigotti: addio Italia, si trasferisce in Turchia

Un altro pezzo d'Italia se ne va. La Pernigotti, storica azienda dolciaria piemontese, chiude la sede di Novi Ligure (AL) e licenzia 100 dipendenti, 50 addetti alla produzione 50 amministrativi. Come riferisce La Stampa, la drastica decisione di chiudere la fabbrica è stata annunciata oggi dagli esponenti dell’azienda, che nel 2013 è stata acquistata dal gruppo turco Toksöz, che ora trasferisce tutte le produzioni in Turchia.

La storia

Prima del passaggio di consegne del 2013, la Pernigotti ha rappresentato una delle tante eccellenze italiane. Nasce nel 1860 quando Stefano Pernigotti apre nella piazza del Mercato a Novi Ligure, una drogheria specializzata in “droghe e coloniali” e già rinomata fin dagli inizi per la produzione di un pregiato torrone. Negli anni l'azienda si specializza anche nella produzione dei cioccolatini alla nocciola, i famosi “Gianduiotti”. Nel 1995 l'ultimo erede della Pernigotti decide di cedere lo storico marchio novese alla famiglia Averna, nota per i successi legati al settore delle bevande alcoliche. La Pernigotti resta italiana fino al 2013, quando Averna cede il marchio ai turchi di Toksöz, attivi nel dolciario, nel farmaceutico e nel settore energetico.

Sindacati mobilitati

I sindacati, tuttavia, non si arrendono alla chiusura della fabbrica novese. Già da stamattina alle sei stanno presidiando fuori i cancelli. Così il segretario Flai Cgil Marco Malpassi all'Agi: “Sono cinque anni che facciamo proposte all'azienda, a fronte di bilanci mediamente in rosso per 10 milioni ogni anno e di quattro amministratori delegati che si sono avvicendati. Continuavamo a vedere questo 'bagno di sangue' nella gestione e per anni ci hanno dato dei gufi, tanto che anche ad Eurochocolate di ottobre la proprietà negava che lo stabilimento di Novi avesse problemi. Ma adesso hanno deciso di chiudere. Certo prima o poi ce lo aspettavamo – osserva – ma la follia di tutta la vicenda è che hanno perso 50 milioni di euro per arrivare alla chiusura dopo cinque anni quando, con un piano industriale serio cinque anni fa e l'uso di ammortizzatori sociali forse si riuscivano a salvare bilanci e posti di lavoro”.