Palermo, i commercianti si ribellano alla mafia e denunciano il racket

Individuato il nuovo reggente della famiglia di mafia di Borgo Vecchio: Angelo Monti. L'operazione denominata "resilienza"

Operazione resilienza

Dopo anni di silenzio i commercianti del quartiere Borgo Vecchio di Palermo si sono ribellati al racket imposto loro dalla mafia e hanno denunciato gli estortori. I carabinieri hanno fermato 20 persone tra boss, gregari ed esattori del clan.

Borgo vecchio

L’indagine che ha portato ai fermi è la prosecuzione di inchieste passate sul mandamento mafioso di Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio.

Nel novembre del 2018, il gup di Palermo aveva condannato complessivamente a oltre mezzo secolo di carcere 13 tra estorsori, boss e uomini d’onore della famiglia mafiosa del Borgo Vecchio.

Il nuovo reggente

La nuova operazione ha permesso quindi di individuare il nuovo reggente della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio in Angelo Monti, il quale ha guidato la riorganizzazione del clan dopo la sua scarcerazione.

Scarcerato tre anni fa, le indagini hanno permesso di accertare che Angelo Monti era tornato a guidare il clan. Monti fu arrestato già nel 2007 perché ritenuto al vertice della famiglia e dal 2017 era sorvegliato speciale.

Scoperti anche i “colonnelli” del capomafia: il fratello, Girolamo Monti, anche lui arrestato nel 2007 e Giuseppe Gambino, già condannato per mafia, che secondo le indagini teneva la cassa della famiglia, e faceva da tramite tra i vertici e il gruppo operativo.

Pizzo

Gli “esattori” del pizzo – scrive Il Giornale di Sicilia – erano: Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto. Dei traffici di droga si occupavano, invece, Jari Massimiliano Ingarao, nipote del boss, e i sue due fratelli.

L’inchiesta conferma che Cosa nostra continua ad assistere economicamente le famiglie degli affiliati detenuti e a far cassa coi metodi tradizionali del racket, della droga, e dell’infiltrazione nel tessuto economico.

Droga

Il business del traffico di droga era stato affidato a Jari Ingarao, nipote del boss del quartiere. Nonostante fosse ai domiciliari, Ingarao organizzava e coordinava tutte le attività legate al commercio degli stupefacenti, riuscendo ad acquistare la droga principalmente in Campania e a rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere.

Ingarao si faceva aiutare dai fratelli Gabriele e Danilo che a loro volta avevano messo su una squadra di pusher. Tutti sono stati arrestati con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga nel blitz di oggi.

Oltre a definire le linee guida del narcotraffico a Palermo, il clan controllava direttamente i dettagli organizzativi, la contabilizzazione dei ricavi, gli investimenti del denaro sporco e la gestione dei soldi confluiti nella cassa della famiglia mafiosa.

Dall’inchiesta è emerso che la cosca interveniva, in alcuni casi, anche nella gestione dei furti di moto e della loro successiva restituzione ai proprietari, attraverso il cosiddetto metodo del “cavallo di ritorno”, una sorta di richiesta di riscatto per avere indietro il mezzo rubato.

Le accuse

Gli indagati fermati oggi nel nuovo blitz sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, estorsioni e danneggiamenti.

Una ventina le estorsioni accertate nel corso dell’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia guidata dal Procuratore Francesco Lo Voi, 13 delle quali scoperte grazie alle denunce spontanee delle vittime. In 5 casi, invece, i commercianti hanno ammesso di pagare dopo essere stati convocati dagli inquirenti.

“Un risultato straordinario – commentano gli inquirenti – in un quartiere in cui la paura consente a Cosa nostra di controllare capillarmente le attività commerciali”. Fino ad oggi.

Ultrà del Palermo

Come emerge dall’inchiesta di oggi, Cosa nostra avrebbe anche tentato di evitare gli scontri tra gruppi di ultras della squadra di calcio del Palermo. “Le indagini – scrivono gli investigatori – hanno delineato un significativo quadro di rapporti fra le tifoserie calcistiche palermitane e Cosa nostra“.

I vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, spiega Ansa, volevano controllare i contrasti fra gruppi ultras per evitare scontri all’interno dello stadio, da un lato dannosi per lo svolgimento delle gare e dall’altro fonte di possibili difficoltà per uno storico capo ultrà rosanero, elemento di contatto tra la cosca e il mondo del tifo organizzato cittadino.

“Non è emerso, però, – precisano gli inquirenti – alcun coinvolgimento della società che gestisce la squadra“.

Tentato omicidio

Le indagini hanno fatto luce sul tentato omicidio, commesso con un’arma da taglio il 12 dicembre 2018, da Marcello D’India e da Giovanni Bronzino, ai danni di Giovanni Zimmardi.

L’appartenente alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, incaricato di riscuotere il pizzo, era stato ferito all’interno della sua auto, poi incendiata. Individuati, agli autori del fatto di sangue e ricostruito il movente riconducibile alla contestazione di Zimmardi agli aggressori di avere pagato una cena in una trattoria del quartiere con soldi falsi.

Tali accuse avevano scatenato l’ira degli aggressori; i vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio erano poi intervenuti per ricomporre il dissidio.

Il neomelodico

Tra i 20 nomi della cosca palermitana del Borgo Vecchio, c’è anche il nome di Niko Pandetta, celebre neomelodico palermitano, amico del boss Jari Ingarao, che incontrava nonostante fosse ai domiciliari.

Ingarao, oggi finito in cella, aveva incaricato alcuni uomini d’onore di invitare i commercianti del rione a sponsorizzarne un concerto. Parte dei ricavi dovevano andare nelle casse del clan. Ma l’esibizione non si tenne perché dopo le parole dette in tv al cantante fu vietato di esibirsi.

“Gli ho detto io a lui: fatti un tatuaggio e ti scrivi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e si risolvono i problemi”, consigliava a Pandetta uno dei mafiosi intercettati.