L’angelo dà speranza al mistero della Orlandi

Quindici anni e un sorriso splendente, i capelli castani trattenuti da una fascia. È questo il ritratto che ha lasciato Emanuela Orlandi, nel cuore dei suoi familiari, poi nell’immaginario collettivo da quando, nell’83, il suo volto tappezzò tutta Roma. Dai volantini, la fotografia della ragazza passo ai giornali, perché il caso Orlandi sconfinò dall’Italia. Innanzitutto, la ragazza era cittadina dello Stato di Città del Vaticano. E poi quel viso innocente divenne l’emblema di uno tra i più fitti misteri italiani. Due anni prima, la morte in diretta televisiva del piccolo Alfredino scosse l’immaginario popolare italiano e ne soddisfò la morbosità. Allo stesso modo, la fotografia di Emanuela consegnò alla collettività, segnata dagli anni di piombo, una vittima delle ombre di quel periodo, la manifestazione più evidente di una città stretta dalla banda della Magliana e, perciò, testimonianza più veritiera di quegli anni. “Il caso di mia sorella non è mai caduto nel dimenticatoio” ha dichiarato Pietro, il fratello di Emanuela, a In Terris. Eppure è paradossale che, di tutta questa faccenda, la chiarezza si contrapponga alle nebbie dei depistaggi e alle dichiarazioni anonime: “Negli anni sono tanti tantissimi i casi di mitomani, ma anche i depistaggi. I quali, spesso, sono voluti”.

Le tappe

A dispetto di quel volantino, che ancora oggi campeggia tra Piazza San Pietro e il web, l’ultimo dono che Emanuela ha lasciato ai suoi cari non è quel volto innocente, ma la sua voce. Il 22 giugno di 36 anni fa, infatti, la giovane aveva appena finito la sessione di flauto per comunicare telefonicamente alla sorella che le era stato proposto un lavoro quale promotrice di prodotti cosmetici. La quindicenne si trovava in piazza Sant’Apollinare. Da quel luogo nel cuore pulsante di Roma, le sue tracce sparirono. Secondo alcune ricostruzioni, dopo quella chiamata Emanuela sentì un’amica e le raccontò della proposta appena ricevuta confidandole che, prima di tornare a casa, sarebbe rimasta ad aspettare l’uomo che le aveva offerto il lavoro. Anche un vigile urbano confermò di averla vista salire su una BMW. Il giorno dopo, il padre sporse denuncia ai carabinieri e i giornali diffusero la notizia della scomparsa. Nel corso degli anni, si sono succedute telefonate anonime di diversi mitomani, ma del volto della quindicenne di allora non se ne seppe più nulla. Diverse piste si aprirono, tante altre si chiusero. Una di queste partì da una telefonata, nel luglio 2005, alla trasmissione televisiva Chi l’ha visto: una voce anonima associò Emanuela a Enrico de Pedis, detto “Renatino”. Questi era uno dei capi della Banda della Magliana e fu chiamato in causa per una tomba nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare. Nel 2012 la salma fu riesumata, ma della ragazza non è stata trovata traccia. Dopo sette anni, è stato il turno di altri resti riesumati: stavolta il luogo è via Po , sede del Palazzo della Nunziatura Apostolica di Roma. In quella che è l’Ambasciata vaticana in Italia, la Polizia scientifica ha fatto delle indagini su resti umani trovati sotto il pavimento. Ne è emerso che le ossa appartenevano a un uomo colà sepolto tra 90 e 230 d.C. L’11 luglio verranno, invece, aperte due tombe nel cimitero teutonico, sito in Città del Vaticano, a due passi dall’Aula Nervi. A segnalare il luogo, stavolta è stata un’ennesima lettera anonima: nella missiva, inviata alla legale Sgrò e a Pietro Orlandi, v’era allegata una foto con la tomba della famiglia Von Hohenlohe. Una nota dava, in poche parole, una pista: “Cercate dove guarda l’angelo”. Ora, dopo le richieste della famiglia, la Santa Sede ha disposto l’apertura di due tombe: “Reputo questo passo positivo – ha dichiarato Pietro – perché, a distanza di anni, il Vaticano ha aperto un’inchiesta. Per me, che sono stato sempre legato al Vaticano, è una cosa molto positiva”.

Il legame presunto con il Vaticano

Nel corso delle indagini sono state seguite numerose piste che hanno coinvolto il Vaticano e le sue istituzioni come l’Istituto per le Opere di Religione (Ior), ma anche altre come quella che portava alla Banda della Magliana e al Banco Ambrosiano. Emanuela è, infatti, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia. Negli anni scorsi, Pietro Orlandi ha sostenuto uno stretto legame tra la sparizione di sua sorella e l’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Proprio questi, non si risparmiò facendo appello alla restituzione e liberazione di Emanuela. Secondo l’avvocato Nicoletta Piergentili Piromallo, uno dei legali della famiglia Orlandi, Ali Ağca, che attentò alla vita del Pontefice santo nel maggio del 1981, ne era coivolto. All’epoca si pensò anche a uno scambio di persona tra l’attentatore detenuto e la ragazza. Anche Papa Francesco si pronunciò sul caso Orlandi: incontrando Pietro quindici giorni dopo la sua elezione, disse “Emanuela è in cielo”. Dopo numerosi appelli, l’impegno di Pietro Orlandi resta quello “non far dimenticare Emanuela, perché solo tenendo alta l’attenzione, si può giungere alla verità”. La Chiesa, nelle persone del Segretario di Stato Parolin e del Capo della Gendarmeria Giani, intende perseguire la verità. E la famiglia Orlandi non spera altro che trovare pace.