La corte d'appello: “Il Dna è di Bossetti, prova irripetibile”

Le tracce di Dna trovate sugli indumenti di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa a Brembate Sopra il 26 novembre 2010 e ritrovaa morta il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignola d'Isola, corrispondono a quello di Massimo Bossetti, il muratore di Mapello, condanno all'ergastolo in primo e secondo grado per l'omicidio della ragazza.

Le motivazioni della Corte d'Appello di Brescia

E' quanto si legge nelle motivazioni della sentenza depositate oggi dai giudici della Corte d'Assise d'appello di Brescia che lo scorso luglio hanno confermato la condanna all'ergastolo. I giudici bresciani hanno spiegato che la richiesta dei difensori di disporre una perizia genetica durante il processo di appello è stata bocciata perché “non sono stati violati i principi del contraddittorio e delle ragioni difensive”. “Si deve ribadire quindi ancora una volta e con chiarezza che un'eventuale perizia – ribadiscono i giudici -, chiesta a gran voce dalla difesa e dall'imputato, consentirebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull'operato del Ris“. Inoltre, i giudici hanno sottolineato che “non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni” del Dna trovato sul corpo della tredicenne.

Nessuna influenza dai media

Per i giudici di Brescia il processo d'appello per l'omicidio di Yara “oltre a svolgersi nelle aule di giustizia si è svolto parallelamente sui media, alimentandosi di notizie vere e notizie false, senza peraltro in alcun modo influenzare la regolarità e serenità del processo giudiziario”. “Pure senza approfondire il tema irrilevante, su chi abbia alimentato (o contribuito ad alimentare) il processo mediatico – aggiungono i giudici nelle motivazioni – appare alquanto singolare e paradossale che la difesa e l'imputato, dopo aver fatto specificatamente appello alla necessità di chiudere giornali, di spegnere la tv, di abbandonare il web e aprire i codici e la Costituzione, abbiano dato il loro consenso alla ripresa audio e televisiva del processo di secondo grado, di seguito non autorizzata dalla Corte”.