Fabbricavano documenti falsi per i migranti: 21 arresti a Genova

E’ stata sgominata a Genova una banda dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina attraverso il possesso e la fabbricazione di documenti falsi. L’operazione è stata condotta dalla squadra mobile della capitale ligure che ha eseguito un totale di 21 misure cautelari, nove delle quali in carcere e una agli arresti domiciliari.

Secondo quanto è emerso dalle indagini condotte dagli uomini delle forze dell’ordine, i presunti responsabili dell’attività di favoreggiamento clandestino aiutavano cittadini di nazionalità albanese a raggiungere illegalmente il Regno Unito, usando carte di identità falsificate. Gli inquirenti hanno riferito che i documenti appartenevano a tossicodipendenti residenti a Rapallo che, dopo averne denunciato lo smarrimento alle autorità, li consegnavano agli esponenti della banda criminale. Il loro compenso, oltre ai soldi, consisteva in dosi di droga.

Un’operazione simili è stata compiuta lo scorso novembre a Prato: la Guardia di Finanza della città ha fatto scattare le manette ai polsi 15 persone e ha indagato 85 persone accusate di aver fornito documenti falsi, a partire dalle buste paga, con le quali i cittadini immigrati, in maggioranza cinesi, potevano così richiedere e ottenere il permesso di soggiorno.

Le accuse sono state rivolte anche contro i titolari e dipendenti di 2 studi di consulenza – lo studio Robbi, commercialista, e li studio Rosini, ragioniere. Le ipotesi di reato nei loro confronti sono state associazione per delinquere, truffa aggravata all’Inps, induzione alla falsità ideologica commessa da Pubblico Ufficiale in atti pubblici, violazione alla normativa sul rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno, oltre alle violazioni della normativa in materia di immigrazione clandestina. Inoltre, i titolari e alcuni dipendenti dei due studi, alcuni dei quali cinesi, avrebbero dato vita a un’attività di favoreggiamento alla permanenza in condizioni di illegalità di un elevato numero di cittadini extracomunitari, soprattutto cinesi.

Le assunzioni, che in molti casi sono risultate regolari, venivano mantenute in essere solo il tempo necessario per emettere le buste paga in prossimità delle scadenze dei permessi di soggiorno. Il presunto dipendente, una volta ottenuto il rinnovo del documento, o il ricongiungimento familiare, veniva licenziato ma continuava comunque a svolgere il suo lavoro in “nero”.