Caso Cucchi, 12 anni per due carabinieri

Dodici anni a due militari, Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro, a fronte dei 18 chiesti dall'accusa per l'ipotesi di reato di omicidio preterintenzionale. La stessa per cui era imputato anche Francesco Tedesco, il carabiniere che con le sue rivelazioni ha contribuito a chiarire sul pestaggio: per lui, assolto dall'accusa di omicidio preterintenzinoale, una sentenza di due anni e sei mesi per falso. Tre anni e otto mesi per falso al maresciallo Roberto Mandolini, comandante interinale, nel 2009, della Stazione dei carabinieri Roma Appia. Queste le sentenze principali del processo sulla morte di Stefano Cucchi, che vedeva imputati a vario titolo cinque carabinieri. A esse vanno aggiunte le colpe riconosciute ma finite in prescrizione per quattro medici, mentre per un quinto i giudici hanno deciso per l'assoluzione.

La giornata

Era la prima volta, in dieci anni, che sul caso di Stefano Cucchi si attendeva il verdetto di una giuria. “Momenti di estrema tensione” li ha definiti la sorella Ilaria, da due lustri in lotta fra piazze e tribunali per chiedere verità, giustizia, affinché suo fratello “possa riposare in pace”. Era attesa per le 18 la sentenza dei giudici della prima Corte d'Assise di Roma, entrati in camera di consiglio in tarda mattinata per decretare quale sarebbe stata la sorte di cinque carabinieri, imputati a vario titolo nel processo sulla morte del geometra romano, deceduto il 22 ottobre 2009 nell'ospedale Sandro Pertini di Roma. Dell'accusa di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità rispondevano Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro (i due accusati di essere responsabili materiali del presunto pestaggio), per i quali è stata avanzata dai pm la richiesta di 18 anni di reclusione. Dall'accusa di omicidio preterintenzionale è stata chiesta l'assoluzione per Francesco Tedesco, il carabiniere che ha rivelato il presunto pestaggio subito in caserma da Cucchi la notte che fu arrestato, mentre per quella di falso sono stati chiesti tre anni e mezzo. Ne sono stati richiesti otto invece, per la stessa accusa, nei confronti del maresciallo Roberto Mandolini che, assieme ai colleghi Vincenzo Nicolardi e allo stesso Tedesco, era destinatario anche di un'accusa per calunnia, per la quale il pm ha comunque sollecitato la non procedibilità per prescrizione.

La madre: “Mia figlia ci ha dato un motivo per andare avanti”

Stefano “aveva sbagliato e avrebbe pagato ma di certo non con la sua vita“. C'è anche Rita Calore, sua madre, fra coloro che assisteranno al pronunciamento dei giudici. Lei, assieme a suo marito Giovanni e alla figlia Ilaria, per avere le prime risposte ufficiali dopo dieci anni da quel 22 ottobre 2009: “Davanti al suo corpo massacrato avevamo giurato di cercare la verità – ha detto ai cronisti fuori dall'aula bunker di Rebibbia -, che non ci saremmo fermati mai. Stefano stava benissimo e quando lo abbiamo rivisto non era più lui. E tutto in soli 6 giorni, questa è la cosa tragica… Noi stavamo morendo, mia figlia ci ha ripreso e ci ha dato un motivo per andare avanti”. Fiducia nella giustizia e agitazione sono i sentimenti che li accompagnano entrando in aula: “Siamo molto agitati, il fatto di avere come parte civile dei ministeri in altri processi è molto positivo perché vuol dire che dopo 10 anni finalmente lo Stato è vicino a noi e non siamo più soli“.