Appello di Sea Eye: “Il cibo sta finendo”

Il tempo sta peggiorando, preghiamo mr. Joseph Muscat di aiutare l'Alan Kurdi”. Arriva un nuovo appello dalla nave di Sea Eye, da cinque giorni in mezzo al mare in attesa di avere un porto per sbarcare i 64 migranti a bordo, salvati al largo della Libia da un barcone in fase di affondamento. Ora l'imbarcazione si trova davanti a Malta e, secondo quanto scritto nel diario di bordo, riportato su Twitter, l'equipaggio si augura che “le menti politiche si rasserenino rapidamente per fare ciò che è umano: proteggere la vita umana”, riferendosi al contenzioso che, nelle ultime ore, ha visto al centro la “Alan Kurdi”, rimasta circa un giorno davanti alle coste di Lampedusa (ma in acque internazionali) per sapere se avrebbe infine potuto far sbarcare lì le persone salvate.

Situazione di emergenza

Ora, distante circa 30 miglia in direzione sud dall'isola di Malta, la “Alan Kurdi” attende ancora di conoscere il proprio destino, con il governo maltese che non ha ancora preso una decisione ufficiale in merito e il tempo atmosferico in evidente peggioramento. La nave si mantiene a distanza dalle acque territoriali, spostandosi a non più di 5 nodi ma, ora, ha iniziato a sollecitare un intervento da parte della autorità viste non solo le condizioni meteo ma anche la scarsità di cibo, igiene e spazio a bordo (lo scafo è lungo appena 38 metri, quasi interamente saturi viste le 64 persone imbarcate, fra le quali alcuni bambini). Una situazione che, al momento, sta dunque sfociando nell'emergenza.

La denuncia

Nel frattempo, la portavoce internazionale dell'ong, Carlotta Weibl, ha denunciato in un evento organizzato da Mediterranea Saving Humans a Roma le condizioni di “torture, schiavitù e violenze sessuali” alle quali sono sottoposti i migranti in Libia i quali, per questo, vengono “esposti a danni irreparabili”. Riferendosi alla Libia, Weibl ha spiegato che il Paese “non può essere considerato un posto sicuro in nessun caso, in particolare alla luce dei recenti sviluppi politici che fanno propendere a una situazione di guerra civile. E' chiaro che un porto sicuro sulla costa nord della Libia non può che essere una menzogna”. E ancora: “Sappiamo bene che in Libia migranti e rifugiati non hanno accesso a procedure di asilo e non hanno nessun tipo di protezione dei loro diritti umani”. In riferimento all'aver fatto rotta su Lampedusa, la coordinatrice ha spiegato che la Guardia costiera libica “sembrava essere fuori servizio” e il Centro di coordinamento di Tripoli “non rispondeva”. Per questo “è stato chiesto un porto sicuro ai centri di coordinamento per i soccorsi di Roma e La Valletta”.