“Uniamo le forze contro il Coronavirus e la cultura dello scarto”

In piena epidemia di Covid-19, attraverso Interris.it il giurista cattolico Francesco D’Agostino, membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita, lancia un appello alla solidarietà: "I deboli, i disabili e gli anziani non sono pazienti di serie B"

“Cultura dello scarto” è un’espressione efficacissima con la quale Papa Francesco ha messo il dito in una delle piaghe del mondo contemporaneo, che coinvolge questioni  non solo bioetiche, ma anche economiche e sociali”, afferma a Interris.it il professor Francesco D’Agostino, membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita, già presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani e del Comitato nazionale per la bioetica. Screening genetico prenatale, eutanasia, suicidio assistito sono “minacce alla sacralità della vita”. Al Consiglio per i diritti umani, attraverso l’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente all’Onu, la Santa Sede ha richiamato l’attenzione sulla disabilità: “Non c’è vita umana più sacra di un’altra, come non c’è vita qualitativamente più significativa di un’altra”.

Professore, c’è il rischio che con l’emergenza Coronavirus, i deboli, i disabili, gli anziani siano ancora più emarginati e la loro vita deprezzata?
“Le prese di posizione pubbliche delle nostre istituzioni (governo, regioni, comuni, istituzioni sanitarie e ospedaliere) dovrebbero confortarci e rassicurarci contro questo rischio: da parte di nessuna di esse è fino ad ora emersa una qualsivoglia dichiarazione orientata, in questa contingenza, a deprezzare la vita dei soggetti più deboli o a paragonarla indegnamente con quella di soggetti più giovani o più forti. È peraltro indubitabile che i soggetti più fragili hanno minore capacità di far sentire la loro voce nel contesto pubblico e di ottenere i supporti necessari per la piena tutela delle loro esigenze e dei loro diritti. L’opera di assistenza a loro favore posta in essere, a tal fine, da tante associazioni di volontariato è davvero preziosa e ammirevole”

Per la Chiesa la vita è sacra dal concepimento al suo termine naturale. E per il resto della società?
“Al riguardo vorrei fa un’osservazione: si sta inevitabilmente diffondendo nel nostro paese, nelle fasce degli “Oldest Old”, come dicono gli americani , e soprattutto degli ultra ottantacinquenni, una sorta di malinconica rassegnazione , che attiva quella che nel mondo classico e cristiano-antico era chiamata “meditatio mortis” e che sembrava del tutto rimossa nella società contemporanea. Al posto dell’illusoria (e volgare!) pretesa a un prolungamento indeterminato della sopravvivenza si sta imponendo la consapevolezza che dobbiamo accettare la nostra fragilità e quei suoi limiti “biologici” che l’epidemia di Coronavirus ci pone brutalmente davanti agli occhi. Dovremmo forse riconquistare uno spazio adeguato per la preghiera, come esigenza profonda di trovare l’ultimo, possibile baricentro della mostra esistenza”.

Cosa bisogna fare per integrare le persone con disabilità in quanto in possesso di diritti inalienabili?
“Quanto detto da monsignor Jurkovic in occasione del Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite, che si è da poco a Ginevra, e incentrato sui diritti dei disabili, non va inteso in chiave genericamente “buonista”. Si tratta piuttosto di una vera e propria provocazione nei confronti dello stesso Consiglio, sempre più influenzato dalla cultura oggi dominante,  quella che ha la sua matrice soprattutto nel mondo anglosassone, e che tende a rimuovere ogni traccia della tradizione cristiana in tema di diritti umani”.

Qual è la testimonianza cristiana contro la “cultura dello scarto”?
“E’ un dato storico inoppugnabile che appartiene al Vangelo, e ad esso soltanto, l’esaltazione  dei sofferenti, dei malati, dei più deboli fisicamente e socialmente: esaltazione che è il presupposto logico e antropologico dell’attribuzione e del riconoscimento dei loro “diritti”. L’ospedale (non a caso detto, in francese, l’Hotel-Dieu) è un’ “invenzione cristiana”. Visitare gli ammalati è nella tradizione cristiana una delle opere di misericordia corporale. Jurkovic ha ricordato con forza che l’integrazione dei disabili non va pensata come un generico impegno sociale (peraltro ammirevole e necessario), ma come un impegno antropologico, che deve operare contro quella visione funzionale della vita che dilaga nel mondo contemporaneo e che lo rende sempre più freddo e spiritualmente povero”.

Quindi “scarto” etico ed economico?
“Con una differenza. Le questioni economico-sociali vanno riferite essenzialmente alle distorsioni che caratterizzano nell’epoca post-moderna il liberalismo a matrice capitalistica e coinvolgono quindi essenzialmente la politica degli Stati, delle multinazionali, dei grandi potentati economici. Invece la diffusione pressoché incontrollabile degli screening genetici, la legalizzazione dell’eutanasia e la depenalizzazione del suicidio assistito coinvolgono piuttosto la nuova e trionfante ideologia dell’ autodeterminazione, che sta ormai diventando il pilastro, che nessuno osa più scalfire, della bioetica e della biogiuridica”.

Da dove proviene questa minaccia?
“Paradossalmente, più che una minaccia alla “sacralità della vita”, il principio di autodeterminazione rappresenta una minaccia all’ equilibrio sociale: nato come principio cardine del liberalismo politico (e garantito dalla segretezza del voto in occasioni delle elezioni politiche), oggi  l’ossequio all’ autodeterminazione , frettolosamente riconosciuta a soggetti estremamente anziani, a malati terminali e in stato di abbandono, o in stato dì confusione mentale, viene utilizzato per escludere dalle terapie o, peggio ancora, per facilitare il decesso di soggetti ritenuti marginali, che gravano economicamente su bilanci sanitari pubblici ormai allo stremo”.

Quali provvedimenti ritiene necessari?
“È assolutamente indispensabile ripensare il finanziamento dei sistemi sanitari nazionali (molto diversi tra loro, ma tutti corrosi dall’innalzamento irrefrenabile dei costi) e attivare nella popolazione la consapevolezza che al bene salute degli anziani e dei disabili si deve pensare quando si è giovani e in piena attività lavorativa, con sostanziose integrazioni degli impegni economici pubblici. La “cultura dello scarto” non minaccia soltanto i soggetti deboli, ma ciascuno di noi, dato che la fragilità fisica (oltre che quella economica e sociale) può colpirci tutti nelle modalità e nei tempi meno prevedibili. L’appello del Papa alla sacralità della vita non concerne solo, come comunemente si crede, la sacralità della vita individuale, ma la sacralità della vita che caratterizza l’intera famiglia umana (e, con le opportune precisazioni anche la vita animale e vegetale). Solo nella seconda metà del Novecento si è imposta, per la prima volta, la consapevolezza che la mortalità, come ben può aggredire il singolo vivente, così può aggredire la vita nel suo complesso. In tal senso, la difesa della vita (e la lotta alla “cultura dello scarto”, che è essenzialmente la stessa cosa)  si sta imponendo come il principio etico fondamentale del nostro tempo.

Papa Francesco ricorda spesso quanto le persone con disabilità siano portatrici di una ricchezza. Perché la società odierna tende a rimuovere il loro contributo umano e sociale?
“Ovviamente la ricchezza di cui parla il Papa è metaforica, ma ricordiamoci che le metafore sono i modi più idonei per esprimere una verità. La ricchezza che proviene dai disabili non va interpretata in chiave piattamente economica (se non in casi particolarissimi,  su cui non vale la pena soffermarsi): è piuttosto una ricchezza antropologica. Nel disabile noi percepiamo la nostra comune e universale fragilità: questa percezione è preziosissima, perché rende i vincoli sociali più duttili ed umani e toglie loro quella rigidità  che dà spesso alle costituzioni,  alle leggi, alle regole, agli statuti e perfino alle dichiarazioni dei diritti un carattere formalistico   e soffocante. Aiutare un disabile ad inserirsi efficacemente nell’ordine sociale non è una pratica per la quale si debba pretendere di essere ringraziati, ma è all’opposto in sé e per sé un modo per ringraziare chi ci dà l’occasione di porre in essere un gesto fraterno: è quindi un vero e proprio adempimento di un dovere”.

A suo giudizio le organizzazioni internazionali si occupano a sufficienza dei diritti delle persone con disabilità?
“Percepiamo tutti i limiti degli interventi delle Organizzazioni Internazionali in tema dei diritti umani e in particolare a favore delle persone colpite da disabilità. Va però considerato il fatto che la questione dei diritti dei disabili è comunque e sorprendentemente penetrata stabilmente nei paradigmi operativi di queste organizzazioni e che questo rappresenta nella storia dell’umanità non solo un formidabile passo in avanti, ma probabilmente un passo irreversibile. Si tratta ovviamente di fare instancabili pressioni sulle Organizzazioni Internazionali e su coloro che le presiedono e le dirigono per indurli ad essere coerenti, ricordando in modo martellante che nella politica internazionale la coerenza, pur non essendo in se stessa dotata di un valore etico (ma solo logico) , è però il presupposto, o se si vuole, il piedistallo dell’eticità”.

Perché le percezioni negative sul valore della vita delle persone con disabilità continuano a essere un ostacolo sociale al riconoscimento dei loro diritti?
“Ci portiamo dentro, e ci risulta difficile rimuoverla, l’idea primitiva, arbitraria (e, aggiungerei, vergognosa), che associa la disabilità alla colpa: il “sano”, contemplando i malati e i disabili attiva nei confronti di costoro un volgare atteggiamento di superiorità e si compiace orgogliosamente della propria buona salute (rimuovendo la banalissima consapevolezza che la malattia e la disabilità possono aggredirci sempre e all’improvviso e stravolgere la nostra vita). Ricordiamoci, inoltre, che in una visione evoluzionistica del vivente (quale quella oggi dominante) la vita del disabile è una vita da considerare “naturalisticamente” fallita e non meritevole di particolare protezione (come arrivò a sostenere, sia pure con toni molto pacati, ma sgradevolissimi, lo stesso Darwin). Inoltre il carattere funzionale della modernità fa del disabile un soggetto da “assistere”, economicamente in quanto non  produttivo, da considerare  in qualche modo un peso per la società : di qui l’idea che lo si può ben riconoscere titolare di diritti, ma comunque di diritti “deboli””.

Gli sviluppi delle scienze e delle tecnologie biologiche e mediche rischiano di smarrire ogni riferimento che non sia l’utilità e il profitto?
“Non deve turbarci troppo l’idea che nei grandi istituti di ricerca scientifica e tecnologica e nelle grandi aziende farmacologiche e di bioingegneria la promozione e il progresso delle conoscenze siano orientati al profitto: i costi immensi e costantemente crescenti della ricerca devono pure avere un loro supporto finanziario. È essenziale però che accanto ad una più che legittima ricerca privata esista una ricerca scientifica e tecnologica finanziata pubblicamente e volta alla massimizzazione del bene comune: in questo contesto si colloca, per esempio, la difficilissima ricerca per individuare la terapia delle malattie rare, delle patologie neurologiche che colpiscono soprattutto la terza e la quarta età, quella per la lotta alle malattie più diffuse nei paesi in via di sviluppo e pressoché scomparse nei paesi  avanzati, la promozione delle terapie palliative, che comportano spesso costi non sopportabili da parte dei pazienti”.

Sembra rafforzarsi il messaggio che le persone con disabilità non avrebbero mai dovuto nascere e che quindi sono legittime le misure di aborto forzato effettuate su bambini affetti da patologie potenzialmente invalidanti. Le barriere fisiche possono essere abbattute per legge ma come si fa per le disuguaglianze dovute alla mentalità?
“Non c’è alcun dubbio che la mentalità abortista abbia conquistato il mondo contemporaneo e che il ricorso all’aborto, soprattutto nel caso di conclamata disabilità del nascituro, sia ormai ritenuto un diritto assoluto della gestante, anche nei casi in cui la disabilità appaia lieve e pienamente compatibile con una vita sociale più che dignitosa (come nel caso, ben noto, dei soggetti Down). Ritengo che, almeno nel breve e nel medio periodo, sia illusorio combattere contro qualsiasi legislazione abortista sperando di riuscire ad abrogarla (al più si possono introdurre procedure per limitare la depenalizzare dell’aborto privo di motivazioni “mediche” o “sociali”). A livello di etica pubblica sarebbe però importantissimo mostrare come l’inserimento sociale dei disabili abbia negli ultimi tempi fatto passi avanti notevolissimi: basti pensare alle para Olimpiadi e agli incredibili risultati ottenuti dalle più raffinate protesi utilizzate per sostituire arti amputati. Abbiamo davanti a noi spazi da conquistare e da occupare e un lavoro di “civilizzazione” dell’opinione pubblica, di cui solo da poco tempo stiamo percependo  tutta la rilevanza”.