L’equilibrio sostenibile che “può rendere grande l’Ue”

Allargamento dell'Unione europea fra geopolitica e democrazia: il punto del diplomatico Luca Gori e dell'economista Nicola Pontara

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Foto di ALEXANDRE LALLEMAND su Unsplash

A indicare il perimetro valoriale dell’Ue è papa Francesco. L’Europa ha avuto e deve ancora avere “un ruolo centrale”, ha scritto il Pontefice in occasione del 40° anniversario della commissione degli episcopati Ue. Del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’Ue. Del 50° anniversario della presenza della Santa Sede come osservatore permanente al Consiglio d’Europa. Se il tema dell’allargamento Ue non è nuovo, diverso è lo scenario internazionale in cui oggi se ne parla. Con l’aggressione russa a Kiev, l’allargamento a Balcani occidentali e Trio orientale (Ucraina, Moldova e Georgia) vive un inaspettato rilancio e si pone come tassello di una nuova architettura di sicurezza politica ed economica europea. L’allargamento è diventato scelta di civiltà. La nuova spinta all’integrazione e alla convergenza economica con la Ue pone però un delicato dilemma tra le ragioni della geopolitica, che sollecitano un allargamento rapido, e quelle della trasformazione democratica dei candidati, che implicano tempi lunghi. L’Europa sarà più grande solo se riuscirà a trovare un punto di equilibrio sostenibile tra queste due esigenze. E’ questa la sintesi del libro “L’Europa più grande. Allargare l’Unione europea dai Balcani occidentali all’Ucraina”, scritto dal diplomatico Luca Gori e dall’economista Nicola Pontara (editore Luiss University Press).

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CONSIGLIO EUROPEO. Credit: GAETAN CLAESSENS

Sfide Ue

“Sul piano economico – sostengono Gori e Pontara- i vantaggi dello scenario di integrazione graduale deriverebbero dalla progressiva attuazione del ‘Piano per la crescita’, in termini di accesso al mercato unico, rafforzamento dell’integrazione regionale, realizzazione dell’agenda di riforme. Tanto più rapido sarà il conseguimento degli obiettivi del Piano, tanto più immediati saranno gli esborsi finanziari e quindi l’impatto sulla convergenza economica dei Paesi della regione“. Inoltre, argomentano gli autori del saggio, “l’impatto netto di tali dinamiche sul loro Pil -dipenderà anche dagli shock esterni (positivi o negativi) che caratterizzeranno il contesto geopolitico ed economico mondiale”. E che, a seconda del caso, orienteranno la traiettoria di crescita verso uno scenario più simile al “fast track” (Pil al 5-7%) o al “business as usual” (Pil al 3-4%). “L’Europa – avvertono Luca Gori e Nicola Pontara – è di fronte a un passaggio storico inedito per il proprio futuro. L’allargamento ai Paesi Balcani occidentali e del Trio orientale è uno dei tanti termometri utili a misurare la capacità di Bruxelles di affrontare al meglio questo snodo“. Citando poi lo scrittore Marcel Proust gli autori spiegano che “quando pensa al prossimo allargamento, Bruxelles non è chiamata a immaginare ‘nuovi paesaggi‘, la a leggere questo processo e a soppesarne costi e benefici con sguardo diverso. Più strategico, più in sintonia con il tempo che stiamo vivendo per la sicurezza europea, gli interessi geoeconomici dell’Unione e il suo ruolo globale”.

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Bandiere Ue. Foto di Pexels da Pixabay

L’Ue di domani

Ciò, ribadiscono il diplomatico e l’economista, preservando i valori di democrazia liberale e Stato di diritto che sono alla base del progetto europeo. Dal canto loro, anche i leader politici dei Balcani occidentali devono interpretare l’allargamento con “altri occhi”, recuperando il tempo perduto. “Esiste, sia pur circondata da molte incognite, un’autentica volontà di rilancio dell’allargamento- sottolineano gli esperti-. E’ tempo di approfittarne facendo un investimento convinto e irreversibile sull’agenda riformatrice proposta dalla Ue”. Anche la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock è intervenuta in occasione del 20esimo anniversario dell’allargamento all’Ue a Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia e Cipro. “L’allargamento dell’Ue è una necessità geopolitica- sostiene Annalena Baerbock-. Le ‘zone grigie’ politiche nell’est o nei Balcani sono altamente pericolose. Non possiamo permetterci di far sedere ancora una volta un’intera generazione nella sala d’attesa dell’Ue, come è avvenuto nei paesi dei Balcani occidentali. Non dobbiamo rinunciare all’opportunità di rendere la nostra Unione più grande e più forte. Per portare a termine questo compito di una generazione, dobbiamo riformare l’Ue per rimanere in grado di agire sia internamente che esternamente con 35 o più membri”. Prosegue Baerbock: “A mio avviso ciò significa ridurre la possibilità di diritto di veto in seno al Consiglio. Ciò implica prendere decisioni più spesso con un’ampia maggioranza invece che con l’unanimità. Anche se questo significa che anche la Germania – come qualsiasi altro Stato membro – può essere messa in minoranza. Dobbiamo affrontare l’allargamento e le riforme con determinazione”. Dunque “non possiamo permetterci queste aree grigie perché per il presidente russo Vladimir Putin rappresentano un invito ad interferire, a destabilizzare“, aggiunge.

Bruxelles (Belgio) 09/02/2023 – Consiglio Europeo straordinario / foto Ufficio Stampa Commissione Europea/Image.
Nella foto: Volodymyr Zelensky

Allargamento

“Dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina sappiamo che l’allargamento è oggi anche un’esigenza geopolitica. Non possiamo sprecare l’occasione di rendere la nostra Unione più grande e più forte, E quindi più sicura”. La generazione dell’allargamento del 2004 ha dovuto trovare il coraggio di “non farsi influenzare dai venti contrari e dagli slogan populisti. La nostra generazione ha ora il compito di difendere e rafforzare il progetto europeo di pace e libertà, anche a costo di un’incredibile quantità di energia“. Affinché tutto ciò abbia successo, evidenzia, sono necessarie riforme, tra cui una riduzione delle opzioni di veto in seno al Consiglio europeo. Il primo maggio Barbock celebrerà il 20mo anniversario dell’adesione della Polonia con l’omologo polacco Radoslaw Sikorski a Slubice e nella città tedesca di confine di Francoforte sull’Oder. Intanto il presidente albanese, Bajram Begaj, si è recato in visita ufficiale in Lituania dove ha incontrato il suo omologo baltico, Gitanas Nauseda, e la prima ministra, Ingrida Simonyte. Numerosi gli incontri dedicati alla cooperazione bilaterale e alle principali questoni dell’agenda internazionale. Particolare attenzione è stata riservata alla guerra in Ucraina e al processo di integrazione europea dell’Albania. “Sono convinto che l’allargamento dell’Ue nei Balcani occidentali garantirà la stabilità della regione e contribuirà a incrementarne il benessere economico“, ha detto il presidente lituano, Gitanas Nauseda-. L’Albania ha costantemente dimostrato la sua lealtà ai valori europei. Aderendo alla politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, sostenendo la politica di sanzioni dell’Ue e assumendo una posizione di principio sull’aggressione della Russia contro l’Ucraina. I valori sono ciò che ci unisce in una forte famiglia europea”. Analoghe le parole della premier, Ingrida Simonyte. “Dobbiamo unire le forze e difendere l’ordine mondiale sulla base delle regole internazionali“, ha dichiarato Simonyte. Sottolineando la necessità di aumentare la lotta alle minacce ibride con cui la Russia cerca di destabilizzare sia l’Ue che i Balcani occidentali.

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Governi

Contro il ripiegamento su sé stessi. Contro lo scadimento a potenza regionale. O, meglio, contro una crisi già aperta, già evidente. Il rapporto sulla competitività presentato da Mario Draghi contiene innanzitutto un messaggio politico ai governi europei. Non ci sono più né spazio né tempo per traccheggiare, per illudersi che le cose si aggiusteranno da sé o per virtù altrui, un aiutino dagli Stati Uniti o il soccorso cinese con capitali freschi e materie prime fondamentali a buon prezzo tanto per compensare l’invasione di auto elettriche e pannelli solari. E’ il senso dell’urgenza della presa d’atto che non c’è alternativa a fare insieme quelle cose che nessuno può fare da solo, cose che sono il grosso delle scelte industriali, energetiche, commerciali, finanziarie necessarie per migliorare rapidamente la competitività europea. Celebrato ancor prima di essere pubblicato da molti leader europei, il rapporto Draghi è potenzialmente una piattaforma per fronteggiare una ‘sfida esistenziale’, dare una effettiva scossa all’economia e alla politica continentali. Per molti la piattaforma per eccellenza. Ci sono molte idee e molte raccomandazioni, a partire dal “safe asset” comune. Che poi è il ricorso sistematico all’emissione di debito comune per finanziare progetti e missioni sulla scia di Next Generation EU (lo strumento dei Pnrr).

New York (Stati Uniti) 19/09/2022 – 57° Annual Award Dinner / foto Ufficio Stampa Presidenza Consiglio Ministri/Image. Nella foto: Mario Draghi-Henry Kissinger

Rapporto Draghi

Tra il 2025 e il 2030 occorrono 800 miliardi di euro per investimenti in reti energetiche e di trasporto, tecnologie digitali, sicurezza e Difesa, rilancio della produttività. In più rispetto a quanto già previsto. Non arriveranno dalla luna, non arriveranno spontaneamente dal mercato finanziario. Occorre l’invito pubblico sia in termini di volumi, con l’emissione sistematica di bond comuni per progetti e missioni comuni, sia in termini di garanzie e di quadro normativo. Poi, per citare solo alcuni altri elementi del nuovo “puzzle” del rilancio europeo, una Concorrenza che guardi più al futuro delle condizioni dei mercati, specie nei settori avanzati, alla dimensione non solo europea delle fusioni di imprese, più centrata sui controlli ex-post invece di centrarsi sui controlli ex-ante. La flessibilità per le concentrazioni e sull’intervento pubblico nel settore industriale della Difesa. Il completamento dell’unione bancaria; la vigilanza finanziaria più centralizzata. Sul piano politico-istituzionale occorre poi uscire dall’impaludamento in cui si trova la Ue le cui regole, dice Draghi, “si basano su una logica interna valida, ovvero raggiungere il consenso o almeno raggiungere un’ampia maggioranza, ma appaiono lente e macchinose rispetto agli sviluppi che hanno luogo esternamente. Fondamentalmente, le regole decisionali dell’Europa non si sono evolute in modo sostanziale con l’allargamento e nel momento in cui il contesto globale è diventato più ostile e complesso”. Con l’aggiunta che “i molteplici attori con potere di veto possono ritardare o diluire l’azione”. Il risultato è che la logica del rinvio non ha migliorato l’economia. E non ha impedito la crisi del consenso elettorale ai governi.