La situazione dell’acqua in Italia. L’intervista agli esperti dell’Ispra

In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, Interris.it ha intervistato Stefano Mariani e Francesca Piva dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA)

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Il tema dell’acqua non ha forse mai avuto tanta visibilità nel nostro Paese quanta ne sta avendo nell’ultimo anno. Visibilità cui dovrebbe far seguito una centralità che porti a elaborare soluzioni, per il breve e lungo periodo, messe a sistema tra loro, su scala locale e globale. Le ultime notizie arrivano dal bollettino di marzo del Centro comune di ricerca europeo, che riporta come nell’Italia settentrionale e centrale il prolungato deficit di precipitazioni abbia fortemente ridotto il livello dell’acqua nei bacini idrici e stia causando preoccupazione per la disponibilità di acqua per l’irrigazione durante la tarda primavera e l’estate. Del 2022 ricordiamo le immagini del fiume Po – il bacino fluviale più grande d’Italia –  in secca e la delibera del Consiglio dei ministri della dichiarazione dello stato di emergenza per deficit idrico in cinque Regioni, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Veneto. Effetti della scarsità di precipitazioni degli ultimi tempi.

L’intervista

In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, il 22 marzo, che “compie” trent’anni dalla sua prima edizione del 1993, dopo essere stata istituita nel dicembre 1992 dall’Assemblea generale delle Nazioni unite, Interris.it ha intervistato Stefano Mariani e Francesca Piva, primi tecnologi dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), .

Dottor Mariani, da quasi un anno sentiamo spesso ripetere la parola “siccità”. Ce ne può dare una definizione?

“A livello internazionale non c’è una definizione unica e universalmente accettata, si può comunque dire che la siccità è una condizione naturale e temporanea in cui si manifesta una riduzione delle precipitazioni rispetto alla climatologia del luogo che si sta osservando, le cui conseguenze e i cui impatti variano a seconda del suo perdurare. In caso di una relativa riduzione delle precipitazioni abbiamo la cosiddetta siccità meteorologica, mentre il protrarsi di questo deficit crea impatti sul versante idrologico, intaccando la ricarica degli acquiferi e delle riserve idriche – quello che abbiamo affrontato lo scorso anno e in parte stiamo affrontando all’inizio di questo. Sul versante agricolo, il deficit di contenuto idrico del suolo impatta sulle colture. Se la situazione perdura si rischia di non riuscire a soddisfare la domanda di risorsa idrica per le diverse attività socio-economiche e ne risenta la conservazione degli ecosistemi terrestri e acquatici”.

Qual è la situazione nel nostro Paese?

“Abbiamo assistito a un limitato apporto di precipitazioni già dalla fine del 2021, situazione che perdura comportando una riduzione delle portate dei fiumi. Nel 2022 in alcune sezioni del bacino del Po si sono raggiunte portate di magra molto basse, ma quella resta comunque la ‘fotografia’ di un momento specifico. La situazione in Italia è sotto continuo monitoraggio, già dallo scorso anno quando la stessa attività conoscitiva ha fornito i presupposti per la deliberazione dello stato di emergenza per alcune Regioni. Il Centro-Nord è ora in una situazione di severità idrica media (che denota una certa sofferenza della risorsa idrica nel garantire gli utilizzi idropotabili, irrigui, industriali e ambientali). Lo stato di severità idrica è attribuito dagli Osservatori distrettuali permanenti sugli utilizzi idrici, strutture operative istituite nel 2016 a livello di distretto idrografico con lo scopo di monitorare il bilancio idrico e mettere in campo, all’occorrenza, misure utili”.

Come si può rispondere agli eventi di scarsità idrica, perlomeno nelle attività umane che fanno più uso di acqua?

“Ormai da diversi anni gli impatti dei cambiamenti climatici si fanno sentire anche sul nostro territorio nazionale, dovremmo quindi considerare che forse non abbiamo a disposizione tanta acqua quanta ne avevamo precedentemente. E’ infatti molto importante sapere quanta acqua è disponibile e quanta è prelevata e utilizzata. L’agricoltura è l’attività produttiva che ne usa di più, per cui si dovrebbe cominciare a ragionare su come ripensare le modalità d’irrigazione o su quali colture puntare, come anche a ricorrere al riutilizzo delle acque reflue – previo opportuno trattamento – nei momenti di minore disponibilità di acqua. Sappiamo inoltre che nell’uso civile la perdita sulla rete è circa del 40%. Gli invasi potrebbero essere considerati una buona soluzione ‘tampone’, tuttavia hanno molto più controindicazioni dei benefici che si propongono di assicurare. Queste sono comunque soluzioni locali, mentre occorre agire su diversi fronti. Serve un insieme di soluzioni che coprano dal breve al lungo periodo, sia su scala locale che globale”.

Ingegner Piva, in base alla direttiva quadro Acque 2000/60/CE, recepita dall’Italia nel 2006, gli Stati membri devono raggiungere il buono stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei. Partiamo dai primi, qual è la situazione?

“La direttiva europea prevede cicli di monitoraggio di sei anni e attualmente stiamo analizzando i dati trasmessi per il reporting, cioè la raccolta e la trasmissione delle informazioni alla Commissione europea, del terzo Piano di Gestione relativo al periodo 2016-2021. La classificazione dello stato ecologico – che si basa sulla valutazione degli elementi di qualità biologica monitorati rispetto agli stessi elementi nelle condizioni di riferimento, cioè condizioni indisturbate – dei fiumi non si differenzia molto dal ciclo di gestione precedente, quello 2010-2015, mentre per i laghi c’è stato un netto miglioramento. In merito allo stato chimico, per i fiumi la situazione è pressoché invariata mentre per quanto riguarda i laghi una elevata percentuali di quelli che erano in stato sconosciuto sono stati monitorati  con un aumento di corpi idrici in stato chimico buono. Relativamente alle acque di transizione e marino-costiere, si è avuto un aumento della percentuale di corpi idrici in stato buono e elevato soprattutto per quanto riguarda le marino costiere . Complessivamente, tra i due cicli di gestione c’è stato un notevole progresso in termini di conoscenza dello stato dei corpi idrici dovuto a una maggiore attività di monitoraggio attuata dalle regioni e un miglioramento dello stato di qualità delle acque superficiali, anche se per raggiungere gli obiettivi previsti dalla Direttiva c’è ancora da fare”.

Per quanto riguarda invece i corpi idrici sotterranei?

“In questo caso non si misura lo stato ecologico ma quello quantitativo, oltre allo stato chimico – i cui valori degli standard di qualità dei parametri monitorati sono differenti rispetto a quelli per le acque superficiali. Lo stato quantitativo è finalizzato alla valutazione dello stato di  sfruttamento e di disponibilità della risorsa idrica sotterranea. La buona notizia è che è diminuita notevolmente la percentuale  di corpi idrici sotterranei sconosciuti rispetto al precedente ciclo di gestione”.