La “sindrome di Linus” che descrive la timidezza patologica

La “Sindrome di Linus” è la definizione utilizzata, sulla scorta dell’omonimo personaggio dei fumetti, per indicare lo stato di profonda timidezza, insicurezza e chiusura in cui si trovano i giovani dei tempi moderni e di tutto il mondo.

Nel mondo dei personaggi creati da Charles Schulz, Linus, il grande amico di Charlie Brown, vive in una condizione di forte timidezza, di scarsa autostima e ha paura di essere giudicato. Molti bambini e adolescenti si trovano nella situazione raffigurata dal celebre personaggio e tendono, perciò, proprio come Linus, a chiudersi in se stessi, a trovare rifugio in oggetti, sull’esempio della coperta che lo accompagna sempre, anziché nel prossimo, negli esseri umani. I rischi sono l’esclusione, il disagio sociale, la depressione.

La coperta di Linus è definita “di sicurezza” proprio dallo stesso autore, sin dall’inizio. Nonostante i vari tentativi degli amici per aiutare il personaggio di Schulz a distaccarsi finalmente dalla coperta, lo stesso non rinuncia e, anzi, avverte uno stato di agitazione profonda nelle brevi circostanze in cui è costretto a separarsene.

I bambini si legano in modo indissolubile a degli oggetti, in genere pupazzi, bambole o animali su cui riversano le proprie ansie e la fiducia di non essere lasciati soli. Le sicurezze che un bambino ripone in questi “balocchi” che lo affiancano in ogni momento della giornata, sia quelli più gioiosi sia quelli più tristi, rappresentano un valore enorme.

Lo psicanalista britannico Donald Woods Winnicott ne ha studiato la funzione e li ha definiti “oggetti transizionali”, in grado, nel loro spazio altrettanto transizionale, di costituire un ponte tra l’iniziale senso di onnipotenza del bambino e la successiva comprensione di una realtà oggettiva che esiste indipendentemente dalla sua volontà. L’oggetto fa parte di uno spazio intermedio fra la realtà, soggettiva, che il bambino concepisce onnipotentemente e quella a lui indipendente, oggettiva.

Lo stesso oggetto, altresì, assolve al compito di assicurare il legame con la mamma, sinonimo di nutrimento e attenzioni, garantendo la continuità del legame anche nei momenti in cui la stessa sia costretta ad allontanarsi.

La coperta rappresenta una modalità per ancorarsi a un sostegno, a un legame di fiducia dal momento che l’affrancazione dai genitori non si è ancora sviluppata e non è stata metabolizzata adeguatamente.

Gli oggetti transizionali svolgono una funzione non limitata alla sola età infantile ma, trasformandosi, assumono un ruolo, seppur meno evidente, anche negli individui adulti. In molti casi, il riferimento non è più a un oggetto ma a un comportamento, a un’abitudine ripetuta, quasi a un tic rassicurante, che dona certezze in un mondo sempre più incerto e meno a portata di mano.

La funzione rassicurante è molto soggettiva, soprattutto negli adulti. Ciò che sembra importante agli occhi di una persona può apparire come infondato da parte di un’altra che non conosce la valorizzazione assegnata all’oggetto, oltre il valore di semplice portafortuna.

I timidi possono star tranquilli: sono in buona compagnia di illustri personalità della storia. In un approfondimento del 13 giugno 2016, visibile al link https://www.focus.it/comportamento/psicologia/i-grandi-timidi-della-storia, la rivista Focus ricordava i grandi timidi e introversi della storia: Lincoln, Beethoven, Manzoni, Luigi XVI, Einstein, insospettabili filosofi e oratori come Socrate, Cicerone e Rousseau.

Emanuele Aloi, esperto di comunicazione e motivatore, la scorsa estate ha pubblicato, per Bruno editore, un libro dal titolo emblematico “Timidezza si-cura”, in cui stima all’elevata percentuale dell’84% le persone che vivono o hanno avuto esperienze personali di timidezza.

I numeri si presentano più bassi per altre realtà del pianeta. Alla voce “timidezza”, Wikipedia ricorda “riguarda la maggior parte delle persone, in tutti i Paesi del mondo. Secondo le statistiche, in Giappone ben il 60% delle persone si dichiarano timide, negli Stati Uniti il 40% e in Israele solo il 27%”.

Il ministero della Salute, al link http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_4_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=salastampa&p=null&id=5573, nella “Presentazione indagine sull’impatto psicologico del Lockdown nei minori”, puntualizza le ripercussioni riscontrate, fra cui “Per quanto riguarda i bambini sotto i 6 anni, i disturbi più frequenti registrati sono stati l’aumento dell’irritabilitài disturbi del sonno (paura del buio, risvegli notturni, difficoltà di addormentamento) e i disturbi d’ansia (inquietudine, ansia da separazione). Mentre nei bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni è prevalsa una sensazione di mancanza d’aria e una significativa alterazione del ritmo del sonno (con tendenza ad andare a letto molto più tardi e non riuscire a svegliarsi al mattino), oltre che un’aumentata instabilità emotiva con irritabilità e cambiamenti del tono dell’umore”.

Il telefono cellulare rappresenta, per moltissimi adulti, la moderna coperta di Linus, in cui trovare sicurezza e contatto con il prossimo. Si tratta di un oggetto dal quale non separarsi e che custodisce tutti i nostri segreti, le nostre passioni, i momenti più belli.  Se, in passato, l’oggetto transizionale era molto diverso a seconda delle età (a esempio peluche per i piccoli e sigaretta per gli adulti), ora si è dinanzi a un qualcosa che accomuna tutti, seppure con qualche differenza di utilizzo. L’uniformità dilagante è arrivata anche a standardizzare uno degli ultimi elementi rimasti a contrassegnare le diverse età evolutive. L’adesione e l’assuefazione al mezzo iniziano sin dalla primissima infanzia e accomunano i bambini ai ragazzi e agli adulti, sino agli anziani.

In questo periodo di pandemia un altro oggetto si è aggiunto alla nostra quotidianità, affiancandosi, senza scalfirne la potenza, allo smartphone: la mascherina. Oggetto del desiderio nella scorsa primavera ed elemento di frizione tra coloro che non amano indossarla e quelli che ne sono pienamente convinti della sua utilità, rappresenta una novità clamorosa e inimmaginabile.

La sua funzione rassicurante è alimentata, al contrario degli altri oggetti transizionali, dal significato specifico di difesa dal punto di vista sanitario e, quindi, dalla consapevolezza (non più l’inconscio) di esser protetti.

La sindrome di Linus, sebbene identificata con altra terminologia (stress, depressione, timidezza, chiusura, insicurezza), rappresenta la più grave ripercussione mentale e comportamentale dovuta al Coronavirus. L’incidenza riguarda soprattutto i giovanissimi e i giovani che, complici paure, restrizioni e chiusure, si sono sentiti più soli, in trappola e hanno perso la grinta e la voglia di cimentarsi nello studio e nel lavoro. Il pericolo di essere travolti, anche per i prossimi anni, dalle conseguenze economiche e sociali della pandemia, è concreto. Non è semplice trovare le forze per resistere e cercare di sfruttare le poche opportunità rimaste ma è l’unica strada percorribile. Non esistono (e non sarà inventato in futuro) un vaccino contro l’apatia, l’indolenza, la timidezza e, dal punto di vista economico, la povertà. Non basta attendere e porsi alla porta per farsi recapitare un oggetto miracoloso dai numerosi corrieri impegnati in questi mesi. L’oggetto transizionale non ha di queste proprietà soprannaturali, si contenta di rasserenare e mitigare le angosce esistenziali.

Lo scrittore inglese Walter Pater, a proposito della mancanza di stimoli, motivazioni e interessi, ricordava “Le ragioni dell’insuccesso consistono nel crearsi delle abitudini”.

La sindrome di Linus poggia la sua essenza nell’omonima coperta, l’obiettivo potrebbe essere quello, simbolicamente, di assottigliare lo strato di tessuto sino a renderlo un lenzuolo e poi un velo molto trasparente per assegnarli il giusto ruolo di “assistenza” ma non di guida e di talismano miracoloso.