Quando una foto ha il potere di cambiare la vita: la storia di Aladin Hodzic

Aladin e Sanja, hanno perso un arto durante la guerra in ex-Jugoslavia. La loro foto ha fatto il giro del mondo, come quella scattata a Mustafa e a suo padre Munzir al-Nazzal

Aveva solo cinque anni Aladin Hodzic, nato a Bihać, in Bosnia-Erzegovina, quando a causa di una granata serba perse la gamba destra. La foto di lui che camminava con le stampelle senza una gamba, insieme all’amichetta Sanja, anche lei amputata, fece il giro del mondo. Entrambi arrivarono nel nostro Paese nel 1995 per sfuggire alla guerra nell’ex Jugoslavia, accompagnati dal padre di Aladin, Abdulah e dal funzionario della cooperazione italiana Marco Beci, uno dei due civili che nel 2003 morirono nell’attentato di Nassirya in Iraq.

Aladin e Sanja ieri e oggi

Aladin e Sanja furono ricoverati in un centro specializzato nella produzione di protesi ortopediche a Budrio, nel Bolognese. Ai due bambini furono applicate protesi modulari personalizzate costruite con materiali molto leggeri, che hanno permesso a entrambi una vita quasi normale. Aladin oggi ha 31 anni, si è sposato con Adisa e ha una bambina, Darija, di 3 anni e mezzo, mentre Sanja, che ha due anni in più, fa la psicologa e lavora in Germania. «Spesso mi fanno notare che quello che mi è capitato è terribile, è vero, ma credo comunque di essere stato fortunato. Se non avessi perso l’arto, oggi vivrei ancora in Bosnia, senza certezze sul mio futuro» dice Aladin. Che aggiunge: «Mio padre ci ha insegnato a non odiare nessuno. Purtroppo le guerre continuano in tutto il mondo, ieri in Bosnia oggi in Siria, spero solo che tutto questo orrore finisca presto».

Una foto che cambia la vita

A quasi trent’anni da quella foto un altro scatto, questa volta realizzato nel distretto di Reyhanli in Turchia, nella provincia di Hatay situata al confine con la Siria, ha fatto di nuovo il giro del mondo. In quel ritratto si vedevano un padre, Munzir al-Nazzal, con in braccio suo figlio, il piccolo Mustafa di 5 anni, entrambi siriani e mutilati. Il padre ha perso una gamba a causa di un barile bomba lanciato da un elicottero, mentre Mustafa è affetto da tetra-amelia, una malformazione congenita molto rara: è nato senza gambe e senza braccia, perché la madre Zeinab, mentre era incinta, aveva respirato il gas sarin durante un attacco chimico. Padre e figlio sono stati immortalati lo scorso autunno dal fotografo turco Mehmet Aslan. La foto ha dato il via a una raccolta fondi che ha permesso di far arrivare tutta la famiglia di Mustafa dalla Turchia, dove si trovava da tre anni per sfuggire alla guerra. Oggi, in Italia, sono ospiti della Caritas a Siena. Sia il padre sia il piccolo Mustafa sperano presto ricevere gli arti artificiali, dal centro specializzato in protesi ortopediche a Budrio. Ma il pensiero va prima al piccolo Mustafa: entrambi i genitori lo vogliono vedere presto in piedi e poterlo abbracciare, anche se sanno che quegli abbracci arriveranno grazie a degli arti finti.

L’intervista ad Aladin

Aladin avrebbe il piacere d’incontrare i due siriani, padre e figlio: “Vorrei dire loro di fidarsi dei medici italiani, perché a Budrio fanno davvero miracoli, come è avvento sia a me sia a Sanja. Spero che il piccolo Mustafa e suo padre possano presto camminare. Entrambi hanno sofferto come ho sofferto io e la mia famiglia, ma in Italia avranno sicuramente un futuro migliore“.

Aladin, si ricorda come perse la gamba?

“Ho perso la gamba destra a causa di una granata lanciata dai serbi. Quel giorno stavo giocando con altri bambini in un giardino, i serbi ci attaccarono nonostante fossimo solo dei bambini, sparando e lanciando granate. Una scheggia mi colpi gravemente, fui portato immediatamente in ospedale, ma la ferita era molto grave così decisero di amputarmi l’arto. Arrivai in Italia grazie all’aiuto del funzionario della cooperazione italiana Marco Beci con Sanya, anche lei con una gamba mutilata da una bomba. Ad entrambi furono applicate delle protesi modulari personalizzate realizzate in materiale molto leggero, che ci hanno permesso una deambulazione molto vicina a quella normale. Ho perso il conto delle protesi che ho cambiato, adesso ne ho una da quasi cinque anni”.

Che ricordi ha dell’episodio che le ha cambiato la vita?

“Il dolore e il sangue che usciva dalla gamba, poi il viaggio in ambulanza fino all’ospedale, le trasfusioni di sangue e la decisione di amputarmi l’arto. Non avevo ancora cinque anni. Forse la tenera età mi ha aiutato a metabolizzare questa tragedia, oggi grazie alle protesi riesco a condurre una vita normale”.

Oggi lei è sposato e padre di una bimba di tre anni. A sua figlia ha raccontato la sua storia?

“Mi sono sposato qualche hanno fa con Adisa e ho una bambina, Darija, di 3 anni e mezzo. Lei mi ha sempre visto così, le ho detto che il papà ha perso la gamba per via di un incidente. È ancora troppo piccola, non voglio traumatizzarla con i racconti della guerra, ma quando sarà più grande le racconterò la verità. Ogni tanto, quando mi capita di togliermi la protesi, è lei stessa che poi me la porta”.

Ora pratica molti sport.

“Sono uno sportivo nato, ma faccio molta attenzione, cerco di non sforzare troppo la protesi: correrei il rischio di romperla. Però posso camminare, correre, pratico il bungee jumping, il trekking e vado anche in palestra. Chi non mi conosce, difficilmente nota che indosso un arto artificiale”.

All’epoca, la sua foto da piccolo mentre camminava con le stampelle vicino alla sua amica, anche lei amputata, fece impressione, come quella recente di Munzir e Mustafa.

“Quel giorno io e Sanja camminavamo con le nostre stampelle sull’argine di un fiume e un fotografo, Luciano Masi, ci fece una foto che poi ha fatto il giro del mondo. Grazie a quella foto io e Sanja ci siamo salvati e abbiamo potuto ricostruirci una vita. Con lei sono rimasto in contatto, ora vive in Germania e lavora come psicologa. La nostra foto fece commuovere tutto il mondo, per quanto era tragica. Oggi provo molto dolore nel vedere quel genitore siriano senza una gamba, che alza suo figlio senza braccia e senza gambe. Questo dimostra che le guerre non servono a nulla e provocano solo morte e dolore. I conflitti causano enormi traumi nella popolazione civile, soprattutto nei bambini: sono sottoposti a traumi fisici e psicologici, spaventati dalle armi da fuoco, dalle esplosioni e dai bombardamenti. Vedono morire sotto i loro occhi i propri genitori e tutto questo orrore minaccia la loro vita, la loro infanzia e il loro futuro”.

Cosa si sente di dire a Munzir e a suo figlio Mustafa?

“Mi piacerebbe incontrarli e spero di riuscirci. A loro direi di avere fiducia dei medici italiani. A Budrio fanno davvero miracoli, io ne sono la prova e non finirò mai di ringraziare i medici e gli ingegneri che hanno lavorato per le mie protesi. Spero che entrambi possano presto camminare da soli. Al piccolo Mustafa mancano anche le braccia, ma le protesi gli daranno la possibilità di vivere una vita quasi normale, potrà abbracciare i suoi genitori e i suoi fratelli”.

Torna mai in Bosnia?

“Durante le vacanze estive torno spesso nella città dove sono nato, Bihać. Mi piace la natura e spesso vado a fare trekking scoprendo nuovi sentieri. I miei genitori hanno una casa e vorrebbero, una volta in pensione, tornare a viverci. La guerra è finita da quasi trent’anni e nessuno si ricorda più delle donne e dei bambini morti. Nessuno si ricorda degli uomini che hanno combattuto e sono morti. Mio padre è stato un soldato e ha combattuto per tre anni, da allora poco e nulla è cambiato. Nel mio Paese ci sono molti invalidi di guerra, non possono lavorare e non hanno un futuro. A volte penso a quei bambini che non hanno avuto la nostra fortuna e che sono sopravvissuti senza arti, ma senza protesi e cure”.

Ci tornerebbe a vivere?

“No, il mio paese è l’ Italia. Sarebbe impossibile per me potermi curare bene. In  Bosnia sarei trattato come un invalido, non potrei lavorare. L’Italia mi ha curato e mi ha dato la possibilità di avere un futuro. Mi sono diplomato in economia aziendale, ho la patente e guido la macchina. Lavoro come impiegato presso una cooperativa che fornisce servizi e prodotti di qualità a prezzo equo nel settore della cura del verde, della gestione e recupero dei rifiuti, dell’installazione e manutenzione degli arredi urbani e dell’agricoltura sociale. In Bosnia sarei uno dei tanti invalidi”.

Che messaggio si sente di dare alle persone che ancora oggi soffrono per via di un conflitto?

“A volte penso al conflitto che dura da più di dieci anni in Siria, che coinvolge milioni di persone e tra loro molti bambini, costretti a scappare, lasciando tutto, la casa e molti di loro hanno perso anche i genitori oppure li hanno visti morire. A loro dico di lottare e di non arrendersi mai. La guerra finirà e dalle macerie potranno ricostruirsi un futuro con l’aiuto della comunità internazionale”.

Chi vuole ringraziare?

“I medici che mi hanno aiutato e  Marco Beci, insieme alla sua famiglia. Vorrei ringraziare anche Alex Zanardi, che ha fatto molto per me. La sua associazione mi ha aiutato economicamente per avere le protesi. Il suo aiuto mi ha ridato una nuova vita e io gli sarò per sempre riconoscente”.

Pubblicato sul numero 9 del settimanale Visto