Pirulli (FelSA Cisl): “Ecco qual è la condizione del lavoro in Italia”

Mattia Pirulli, Segretario Generale FeLSA CISL parla ad Interris.it delle condizioni del mondo del lavoro nel nostro Paese

Pirulli
Foto di Annie Spratt su Unsplash. A destra Mattia Pirulli di FeLSA CISL

Nel nostro Paese il problema del lavoro ha radici molto profonde. Oggi ci troviamo difronte a giovani che hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e spesso,  quando ci riescono, si trovano intrappolati in forme contrattuali non del tutto dignitose. Queste condizioni a loro volta portano a una disaffezione nei confronti della vita lavorativa, vissuta esclusivamente come fonte reddituale.

L’intervista

Interris.it ha parlato di questo delicato tema con Mattia Pirulli, Segretario Generale FeLSA CISL, da sempre impegnata a dare voce ai lavoratori.

Quale è la condizione del lavoro in Italia?

“Sicuramente ci troviamo davanti a un ‘miss-match’ tra le competenze del lavoratore e l’offerta dell’azienda. Questo spiega perché spesso si sente parlare di aziende che non riescono a trovare dipendenti. Poi, la precarietà ha portato chi cerca lavoro ad essere demotivato nel rimettersi in gioco e il lavoro stesso non è più visto come un’esperienza altamente formante e di crescita, ma piuttosto come una mera fonte di reddito. Il lavoro invece è molto altro e per questo ha bisogno di una regolamentazione precisa che dia al lavoratore delle garanzie contrattuali, di reddito e di crescita. Molti giovani invece ricorrono alle dimissioni volontarie e lo fanno esclusivamente per inseguire una migliore condizione reddituale. La motivazione che li spinge a cercare altro è la sensazione di estraneità alla vita aziendale. Questo accade il più delle volte perché l’azienda non investe nei suoi dipendenti”.

Che interventi servono?

“Va ricostruita la comunità lavorativa e a tal riguardo la Cisl ha proposto una partecipazione più attiva di tutti i lavoratori alla vita dell’azienda che deve essere rappresentata da tutte le sue componenti. Inoltre, vanno pensati e strutturati dei percorsi di crescita dei giovani lavoratori che non vuol dire che  tutti devono diventare manager, ma che devono essere collocati e fatti crescere nel loro settore per farli sentire protagonisti attivi nella vita dell’azienda stessa”.

Cosa bisogna fare nell’immediato?

“Il primo passo è quello di modificare le forme di ingresso nel mondo del lavoro che devono essere snellite e ripulite. Non ci possiamo per esempio più permettere di dare spazio ai tirocini extracurricolari che sono una forma di sostituzione dei contratti di lavoro, ma  che non danno alcuna dignità a chi li esegue e nella maggior parte dei casi non generano reddito se non per un mero rimborso spese. Inoltre, dobbiamo contrastare il lavoro nero in cui tanti giovani inoccupati cadono pur di avere uno stipendio”.

Siete a favore di chi apre una partita iva?

“É ora di smetterla di fare la guerra a chi decide di investire su se stesso. Questi lavoratori, come i colleghi dipendenti, hanno bisogno di tutele e di garanzie previdenziali e assistenziali che ad oggi gli sono riconosciute solo in parte. Purtroppo negli ultimi decenni siamo di fronte a molte aziende che costringono il lavoratore ad aprire la partita iva, non lasciando la libertà e la pluricommitenza che da sempre caratterizzano il libero professionista. É fondamentale individuare e intervenire su queste aziende per bloccare questo fenomeno che sta dilargando soprattutto tra i giovani”.