Un “patrimonio” affettivo e sociale di nome mamma

Alla vigilia della Festa della mamma, un'analisi su cosa significa essere colei che genera la vita, quali sono le difficoltà che una donna deve affrontare - anche nel mondo del lavoro - se decide di mettere al mondo un figlio

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Non ci sono parole abbastanza esaurienti per definire il valore umano e sociale della mamma. La ricorrenza che omaggia la figura materna ha ormai un sapore superficiale e consumistico ma ci permette comunque di riflettere sulla capacità di accoglienza, accompagnamento, stimolo e cura che dimostra ogni donna che dà alla luce una vita.

Quel rapporto unico tra madre e figlio

La famiglia e in particolare il rapporto simbiotico tra madre e figlio è da ogni punto di vista il luogo migliore per la crescita di un bambino. Poi ci saranno la scuola, le amicizie, lo sport, l’ambiente sociale e non ultima la Chiesa con la loro funzione formativa a strutturare definitivamente la personalità di ogni essere umano. Ma almeno nei primi 3 anni il bambino è una creta modificabile nelle mani di sua madre e per questo motivo è compito della società offrire ad ogni donna le migliori condizioni possibili per svolgere questo ruolo insostituibile. A dirla tutta, il legame con nostra madre inizia ancora prima, il fatto che viviamo nove mesi nel suo utero non è un evento indifferente, c’è una comunione fisica, biologica ed emozionale. Non ci passa solo le sostanze per vivere, ma anche ormoni e serotonina che influenzano il nostro cervello.

Non dare per scontato questo patrimonio umano

Questo patrimonio umano non ha bisogno di corsi di formazione o aggiornamenti tecnici, è un amore senza calcoli e tornaconti, iscritto nelle pieghe del Dna di ogni donna. Eppure non possiamo dare per scontata questa energia primigenia di vita, perché a pagare il prezzo più alto di quella che Papa Francesco chiama la “società dello scarto” sono proprio le donne.

La mentalità utilitaristica dei nostri tempi mette una generazione di donne con altissimi livelli di formazione davanti alla scelta dolorosissima tra lavoro e maternità. Specialmente in Italia, che vanta enormi ritardi in materia di politiche di conciliazione lavoro-famiglia, la realizzazione professionale è messa costantemente in contrapposizione con la cura dei propri figli.

Alcuni dati

I dati pubblicati ieri da Save the Children confermano questo fenomeno: nell’anno della pandemia 249 mila donne hanno perso il lavoro e 96 mila erano mamme. Tra queste 4 su 5 hanno figli con meno di 5 anni. Madri che a causa delle restrizioni e della necessità di seguire i bambini più piccoli, lasciati fuori dagli asili nido e dalle scuole materne, sono state costrette a rivedere la propria posizione lavorativa, sacrificandola per seguire i bambini.

La Ong ricorda poi che già prima del Covid la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, è spesso interconnessa alla carriera lavorativa. Nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione era la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze della prole. “Diventare madri in Italia – si legge ancora nel rapporto – significa percorrere un vero e proprio percorso a ostacoli e non sarà un caso se il nostro Paese detiene il primato delle più anziane d’Europa alla nascita del primo figlio (31,3 anni contro una media di mamme in EU di 29,4)”.

Il crollo delle nascite

Qualche giorno prima l’Istat ha certificato l’ennesimo crollo delle nascite, con il 2020 che segna un nuovo record negativo dall’unità d’Italia a questa parte. Negli ultimi 12 anni si è passati dai 577mila nati ai 404 mila dello scorso anno, il 30% in meno. Il tasso di fecondità è sceso a 1,24 figli per donna, da 1,27 del 2019 (era 1,40 nel 2008).

Ci apprestiamo quindi a festeggiare una “Festa della mamma” con sempre meno donne da festeggiare. La sfida è enorme e il piano politico, economico e culturale sono strettamente collegati, senza la riscoperta della bellezza e del valore sociale della genitorialità e della famiglia non potranno mai scaturire politiche per la natalità in grado di invertire il trend. Insomma è cambiando la mentalità comune del tutto e subito che possono partire le buone pratiche è non viceversa.

Va detto anche che la cura della fecondità e del corpo devono essere liberate da molte colonizzazioni ideologiche che negli ultimi 50 anni hanno spacciato solo soddisfazioni effimere. Le imprese e più in generale il sistema economico devono puntare sulla realizzazione integrale dei lavoratori, perché un dipendente realizzato anche sul piano emotivo e famigliare è un professionista più capace ed efficiente, che sa guardare al bene comune. Molte ricerche sul rendimento lavorativo dimostrano infatti che essere mamma vale molto di più che un master da manager, perché impone alle donne una maggiore determinazione, pazienza, apertura al dialogo e la capacità di trovare soluzioni e risolvere conflitti. Possiamo dire quindi che una donna porta il suo essere mamma in ogni ambiente, con ricadute positive per tutti.

Uno sguardo di speranza al futuro

In questa cornice bisogna quindi guardare con grande attenzione e speranza agli Stati Generali della Natalità iniziativa promossa dal Forum delle Associazioni Familiari per il prossimo 14 maggio. L’evento sarà aperto da un intervento di Papa Francesco presso l’Auditorium della Conciliazione a Roma, una delle prime uscite del Santo Padre dal Vaticano dall’inizio della pandemia. Il Forum delle associazioni familiari convocherà attorno a un tavolo le istituzioni, le imprese, i media e il mondo della cultura proprio per affrontare la sfida delle culle vuote e rilanciare una nuova narrazione sul tema della natalità. Prendere atto di quanto lavoro ci sia da fare è il primo passo concreto per continuare a festeggiare le nostre mamme.