Due attentati alla vita di un ex Presidente Usa in due mesi. E’ quanto accaduto a Donald Trump, attualmente in corsa per la Casa Bianca. Il 13 luglio scorso un uomo ha aperto il fuoco contro il Tycon durante il comizio in Pennsylvania ferendolo ad un orecchio e uccidendo un uomo tra il pubblico. Lo scorso 15 settembre una persona ha tentato di sparare a Trump mentre questi giocava a golf in un club a West Palm Beach, in Florida. Ma è stato intercettato e catturato dalle forze di sicurezza prima che potesse aprire il fuoco.
Un’escalation di violenza che ha radici lontane, come spiega in questa intervista esclusiva per Interris.it Gianluca Pastori, associate research fellow in Relazioni Transatlantiche per ISPI e professore associato di Storia delle relazioni politiche tra Nord America ed Europa presso l’Università Cattolica di Milano. Il prof. Pastori offre un’analisi approfondita sulle imminenti elezioni presidenziali USA del 5 novembre 2024 evidenziando le implicazioni politiche e sociali dei due attentati subiti dal candidato repubblicano ed esaminando come questi eventi si inseriscano nell’attuale contesto di forte polarizzazione politica negli Stati Uniti. Pastori ci invita a riflettere su come questi episodi, pur non direttamente legati alla contrapposizione tra repubblicani e democratici, siano emblematici di un clima politico avvelenato, sottolineando come la violenza fisica e verbale stia diventando una caratteristica sempre più prominente nella politica americana.
Come si inseriscono i due attentati alla vita di Trump nel contesto politico degli Stati Uniti oggi?
“Come quello di luglio, anche l’attentato di domenica scorsa non sembra possa essere attribuito in maniera diretta all’attuale polarizzazione repubblicani/democratici. Anche in questo caso, sembra, piuttosto, di trovarsi di fronte a un attentatore ‘di simpatie repubblicane’, per quanto ostile a Donald Trump e alle sue posizioni in politica estera. È comunque indubbio che il clima avvelenato della politica statunitense di questi anni concorre fortemente ad alimentare l’atmosfera di violenza che si respira e a fare sentire in qualche modo legittimato anche chi ricorre alla violenza per portare avanti le proprie istanze, come accaduto su scala maggiore in occasione dell’attacco al Campidoglio del gennaio 2021”.
Quali sono i fattori interni che possono aver portato a una crescente tensione politica e a eventi di questa portata?
“I primi segni dell’attuale polarizzazione si possono trovare – a mio avviso – già intorno alla metà degli anni Novanta, all’epoca del tentato impeachment di Bill Clinton, quando sono entrati in crisi i posizionamenti tradizionali dei due partiti maggiori. Tuttavia, credo sia stata soprattutto la crisi del 2007 a determinare il salto di qualità. La crisi del 2007 ha alimentato un disagio che non ha trovato (o ha trovato solo limitatamente) riposta da parte della classe politica e ha alimentato pulsioni ‘antipolitiche’ forti come l’esperienza del Tea Party. La ‘discesa in campo’ di Donald Trump nel 2016 ha senza dubbio alimentato questo processo, ma lo ha potuto fare proprio perché ha gettato semi in un terreno già fertile”.
Come cambierà (se cambierà) la campagna di Trump da qui alle elezioni alla luce degli attacchi?
“Guardando anche a quello che è successo a luglio, non credo che questo attentato influirà davvero sulla campagna di Trump. Di certo, non lo spingerà a una maggiore moderazione. Al contrario, mi sembra che, ancora una volta, gli avvenimenti possano essere utilizzati dalla sua campagna elettorale da un lato per accreditare Trump come figura anti-establishment (‘Ho nemici anche nel mio stesso partito’), dall’altro per rafforzare la sua immagine di combattente, di uomo ‘che non molla’ e che va avanti sulla sua strada anche se i nemici lo temono tanto da essere pronti a ucciderlo pur di toglierlo della scena”.
Crede che i due attentati aumenteranno il consenso verso Trump nella parte indecisa degli elettori?
“Personalmente, non lo credo. È possibile che qualche voto lo possano effettivamente smuovere, soprattutto in chi già guardava a Trump con simpatia. Tuttavia, l’impatto emotivo tende a ridursi abbastanza in fretta, soprattutto se – come in questa occasione, a differenza di quanto accaduto a luglio – non ci sono immagini ‘forti’ ad alimentare lo spin. Inoltre, è difficile che la debolezza della proposta politica di Trump e le sue intemperanze verbali possano fare presa su un elettorato che – prima di tutto – sembra chiedere risposte concrete a quelli che considera i problemi reali del paese, come quelli legati alla congiuntura economica, alla sfida tecnologica cinese e al futuro dell’industria americana”.
Come commenta la campagna elettorale Usa 2024?
“Mi sembra valga la pena di rilevare il grado di violenza – fisica e verbale – che caratterizza l’attuale campagna elettorale; una violenza che va di pari passo con strategie politiche tese più a delegittimare l’avversario che ad avanzare proposte concrete. È forse il segnale più evidente delle difficoltà che gli Stati Uniti stanno attraversando e lascia prevedere come – indipendentemente agli esiti del 5 novembre – il nuovo presidente si troverà alla guida di un paese profondamente diviso. Comporre questa frattura è un passaggio essenziale per sostenere (e possibilmente rilanciare) il suolo internazionale degli Stati Uniti, ma la strada da seguire per ottenere questo risultato è tutt’altro che chiara”.
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