Myanmar e la difficile via della libertà, la solidarietà della Fai Cisl

La difficile situazione di un Paese in tumulto a causa di un golpe: il popolo chiede diritti, pace e lavoro

Dopo diverse settimane di tensioni tra il partito di maggioranza della Lega nazionale per la democrazia, guidato dalla ex dissidente e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, e le forze militari, il golpe del primo febbraio ha fatto precipitare il Myanmar in uno stato di instabilità che preoccupa tutta la comunità internazionale.

Il partito aveva vinto le elezioni dello scorso novembre con una maggioranza schiacciante. Non a caso, il colpo di Stato, con l’arresto di Aung San Suu Kyi, del Presidente U Win Mynt e di tante altre persone con importanti incarichi istituzionali, è giunto proprio poche ore prima dell’inaugurazione della nuova legislatura e del giuramento di oltre quattrocento parlamentari.

Gli interessi speculativi su un territorio strategico

Sul Myanmar, fino al 1989 Birmania, sono da sempre ricaduti interessi coloniali e speculativi, sia per la ricchezza di materie prime che per la posizione strategica a ridosso della Cina. Ora, con quasi 54 milioni di abitanti, un’età media di 28 anni, un Pil procapite di poco oltre i 6 dollari e mezzo, 135 etnie censite, più di 50 anni di dittatura militare alle spalle, il Paese vede incrinarsi le timide conquiste faticosamente raggiunte negli ultimi anni.

I pericoli per la libertà e diritti umani

Si tratta di una deriva antidemocratica che va disinnescata. Come sindacato agroalimentare e ambientale abbiamo lanciato da subito un appello per chiedere l’immediata liberazione di tutte le personalità arrestate e una presa di posizione concreta da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e di tutti i governi europei. Lo abbiamo fatto anzitutto perché vengano ripristinate le libertà fondamentali e si rispetti la forte domanda di libertà e democrazia espressa a gran voce dal popolo birmano. Ma anche per denunciare che questa situazione ha inevitabilmente messo a repentaglio le libertà sindacali e i progetti di cooperazione e sviluppo.

Il progetto di Fai Cisl sulla formazione lavorativa

Come Fai Cisl siamo presenti in Birmania con l’associazione Italia-Birmania.Insieme tramite il progetto formativo “Coltiviamo la Pace, la riconciliazione tra le etnie e i lavoratori agricoli nel Rakhine”, rivolto ai contadini di tutti i gruppi etnici nelle township di Mrauk-U, nello Stato di Rakhine. Un progetto che mira a favorire lo sviluppo dell’agricoltura sostenibile, la tutela dei diritti delle donne e di tutti i lavoratori, la salvaguardia del patrimonio ambientale. Nell’area di Rakhine, tra l’altro, era stato costruito a fatica un negoziato di pace, tra esercito nazionale ed esercito Arakan, e anche questo rischia inevitabilmente di andare in fumo a causa delle attuali tensioni, con conseguenze pesanti sulla vita nei villaggi coinvolti, sulle libertà e i diritti dei lavoratori, sui processi di pacificazione tra gruppi etnici.

“Coltiviamo la Pace”, avviato due anni fa con il sostegno della Fondazione Fai Cisl Studi e Ricerche, ha consentito alla popolazione locale di realizzare un centro di formazione sindacale che da un lato ha portato tante lavoratrici e lavoratori all’acquisizione di diritti e indipendenza, e dall’altro ha contribuito all’avvio di nuove coltivazioni organiche. Nel 2020, compatibilmente con la stagione delle piogge, i contadini hanno potuto effettuare anche una prima produzione sperimentale di riso nero con ottimi risultati, grazie alla formazione che ha introdotto nuove metodologie di semina e trapianto e nuovi strumenti di lavorazione, fattori che incrementano la qualità dei prodotti e consentono una maggiore redditività. Alcune sementi sono state piantate anche presso la scuola di formazione all’agricoltura organica Need a Hmwabi, vicino Yangon. Ora si attende il raccolto. Altri percorsi formativi avviati riguardano, oltre al riso nero, anche funghi e ortaggi. Nel contempo, i sindacalisti locali sostengono la promozione dell’attività di rappresentanza e partecipazione, in particolare per le donne. Mentre in cantiere ci sono i prossimi step, guidati da tre diverse associazioni locali, che riguardano l’insegnamento della lingua inglese, rivolto ai giovani figli di contadini e non, moduli sui diritti fondamentali e la parità di genere, l’alfabetizzazione informatica.

La speranza per un cammino di emancipazione della popolazione

Sono azioni piccole eppure complesse e di importanza assoluta, perché segnano un cammino verso una maggiore dignità di tutte le persone coinvolte, con più possibilità di realizzazione personale e professionale, e un ruolo più rilevante da parte dei contadini nell’economia e nella società in generale. È soprattutto coltivando questi obiettivi, inoltre, che il sindacato può contribuire a riallineare le storture dell’economia globalizzata, in cui allo sfruttamento dei lavoratori si associano quelle competizioni al ribasso e quella concorrenza sleale in grado di danneggiare anche molte produzioni europee e soprattutto il Made in Italy agroalimentare.

A maggior ragione, dunque, non possiamo che essere in grande apprensione per le lavoratrici e i lavoratori agricoli impegnati nel progetto. Al momento non abbiamo comunicazioni dai loro rappresentanti locali, ma è chiaro che le gravi azioni dei militari mettono a rischio anche la loro incolumità e tutte le libertà fondamentali della popolazione. Inoltre, l’attuale condizione politica italiana, con le consultazioni in corso su un ipotetico nuovo Governo, non aiuta, anche perché la vacanza degli incarichi ministeriali rischia di indebolire il ruolo del Paese nei consessi internazionali.

L’appello alle istituzioni mondiali

Proprio ieri si è riunito il Consiglio di Sicurezza dell’ONU per chiedere il ripristino della democrazia in Myanmar, il rispetto dei diritti umani e il rilascio di tutti i prigionieri politici, di cui al momento non si hanno notizie ufficiali. La bozza di risoluzione che condanna il golpe non sarebbe condivisa dalla Cina. Nel contempo, sembrano diffondersi azioni di protesta e disobbedienza civile. Alle tante difficoltà indotte dalla pandemia, si aggiungono ora quelle innescate dal golpe dei militari, che con la scusa di denunciare brogli elettorali, senza averne alcuna prova, mandano in tilt la stabilità sociale e politica nel Paese.

Quello che sappiamo di certo è che, come sempre, in queste vicende è la società civile a pagare il prezzo più alto. La storia insegna. Per questo non possiamo restare indifferenti. E rilanciamo un forte messaggio di solidarietà verso il popolo birmano. Che non chiede nuovi conflitti ma diritti, pace, lavoro.