Lucchetti: “Salvaguardare le tartarughe per tutelare gli oceani”

Un esemplare di tartaruga Caretta Caretta nel mare limpido

“Le tartarughe marine sono la cartina tornasole della salute di mari e oceani. Gli oceani ricoprono oltre il 70% del Pianeta: è la nostra fonte di vita e quella di ogni altro organismo sulla Terra”. Lo dice a In Terris, in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani (indetta dall’Onu per il prossimo 8 giugno) il dottore Alessandro Lucchetti, primo ricercatore presso l’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine (CNR-IRBIM, già Istituto di Scienze Marine) di Ancona.

Lucchetti: una vita dedicata  al mare e ai suoi tesori

Nato ad Ancona il 17 Novembre 1973, Alessandro Lucchetti si è formato sullo studio delle risorse biologiche marine e degli impatti dell’uomo sull’ecosistema. Ha inizialmente lavorato presso l’Istituto di Ricerca sulla Pesca Marittima. A partire dal 2003, l’attività di ricerca si è focalizzata sullo studio dell’impatto esercitato sulle risorse marine e sull’ambiente da attività antropiche invasive, quali la pesca al traino e la presenza di piattaforme marine.

Grazie all’esperienza conseguita sia in campo biologico sia in quello della tecnologia della pesca, è divenuto responsabile scientifico e coordinatore di numerosi progetti nazionali ed internazionali. E’ inoltre autore e co-autore di un considerevole numero di pubblicazioni su riviste anche internazionali ed è stato più volte convocato dalle Istituzioni Internazionali (quali Commissione Europea, FAO, ICES) per dare il suo contributo in qualità di esperto nel settore della biologia e tecnologia della pesca, con particolare attenzione alla salvaguardia degli animali marini quali tartarughe e delfini. Iniziamo l’intervista proprio parlando del progetto TartaLife per la salvaguardia delle tartarughe marine dalle attività di pesca professionale.

Il dott. Alessandro Lucchetti, primo ricercatore presso il CNR-IRBIM

L’intervista al dottor Lucchetti

Dottor Lucchetti, come è nato il progetto TartaLife?
“Sono un ricercatore e lavoro da anni per il Centro Nazionale Ricerche (CNR). Il nostro è un istituto che lavora e studia il mondo della pesca da oltre 50 anni. Tutti i progetti che facciamo nascono da esigenze pratiche o da problematiche nate sul campo. Nello specifico, fino a qualche anno fa, era molto frequente che le reti dei pescatori catturassero delle tartarughe marine. Nelle acque del Mediterraneo si registra la regolare presenza di due delle sette specie di tartarughe marine esistenti: la tartaruga comune (Caretta caretta) e la tartaruga verde (Chelonia mydas). Capitava che venissero catturati anche 4 o 5 esemplari in un’unica ‘cala’. Per tale motivo abbiamo avviato il progetto TartaLife”.

I due esemplari di tartarughe marine presenti nel Mediterraneo: sopra, la Caretta Caretta; sotto, la Chelonya Mydas

Cosa è cambiato in questi anni di studi?
“Inizialmente, non avevamo dati ben precisi sulla pesca accidentale di tartarughe marine: non sapevamo di preciso né quali fossero le aree maggiormente a rischio – sia nell’Adriatico, sia nel Tirreno – né quali fossero gli strumenti da pesca più impattanti, né quali fossero i periodi dell’anno a maggior rischio. Sei anni di lavoro di ricerca, sensibilizzazione e formazione, sei anni di sperimentazione di pratiche per ridurre la mortalità delle tartarughe marine durante le attività di pesca professionale, hanno portato a significative riduzioni di catture e di mortalità di questa specie. In particolare, grazie al coinvolgimento diretto dei pescatori e all’uso dei sistemi di pesca selettivi come ami circolari, dissuasori luminosi o reti speciali, si è giunti a una sostanziosa riduzione delle catture accidentali che va dal 30 fino al 100% a seconda dei sistemi di pesca, con una netta diminuzione dei casi di lesioni gravi per gli esemplari accidentalmente catturati”.

I mari italiani non sono tutti uguali?
“No, assolutamente. Dallo studio condotto in questi anni, abbiamo scoperto che ogni mare ha una sua peculiarità. Al termine del progetto, abbiamo scoperto quali aree sono a maggior rischio ‘bycatch’ e quali attrezzi sono più impattanti”.

Per esempio?
“Nel Mar Adriatico, ad esempio, l’attrezzo più impattante è la rete a strascico perché i fondali sono bassi e piatti e le reti, trainate sul fondo per la pesca di pesci, catturano anche le tartarughe marine. Nel Mar Mediterraneo, invece, che è morfologicamente diverso, l’attrezzo maggiormente pericoloso è il palangaro (o palamito) che agisce a mezz’acqua. E’ costituito da una lunga fune di canapa tenuta distesa orizzontalmente, da cui pendono a distanze regolari tante funicelle di due-quattro metri ciascuna terminanti con un amo e serve per pescare tonni e pesci spada. Ai suoi ami, però, abboccano anche le tartarughe…”.

Una tartaruga marina rimasta intrappolata in una rete da pesca

In cosa consiste di preciso il progetto Tartalife?
“Il progetto Tartalife è stato ideato proprio per ridurre o azzerare le catture accidentali. E’ stato finanziato dalla Commissione Europea attraverso il programma LIFE e cofinanziato dalla Regione Marche con lo scopo di tutelare le tartarughe marine [qui il report con tutti i risultati, ndr]. Il progetto ha coinvolto le 15 regioni italiane che si affacciano sul mare; capofila del progetto CNR-IRBIM di Ancona che ha coordinato le azioni degli altri 7 partner coinvolti: in primis Legambiente, poi Consorzio UNIMAR, Provincia di Agrigento, Ente Parco Nazionale dell’Asinara, Fondazione Cetacea, Area Marina Protetta Isole Egadi, Area Marina Protetta Isole Pelagie”.

Il progetto ha vinto un premio importante…
“Sì: abbiamo vinto il Life Award 2021! La vittoria ha confermato questo progetto come il più amato dai cittadini che numerosissimi (in 2599!) lo hanno votato, scegliendolo nella rosa dei 15 “Life” in gara presenti sul sito Lifeawards.eu. Siamo molto felici per questo premio. TartaLife è stato un progetto estremamente difficile per molti aspetti ma allo stesso tempo molto stimolante. Siamo partiti sei anni fa da una situazione iniziale di generale diffidenza verso i pescatori che vedevamo come dei ‘killer’ di tartarughe”.

E’ cambiata questa percezione?
“Sì, Abbiamo lavorato molto con loro e adesso c’è una maggiore coscienza ambientale e molte marinerie collaborano con noi al recupero delle tartarughe. Coinvolgere i pescatori è stato un passo fondamentale. Abbiamo innanzitutto creato dei corsi di formazione ad hoc sull’uso degli ami circolari e degli altri dissuasori. Abbiamo sviluppato sistemi per ridurre le catture accidentali sviluppando anche un marchio di certificazione Turtle Safe, usata dai pescatori stessi. Inoltre, abbiamo coinvolto sia le istituzioni, sia le Regioni, sia le compagnie marittime. Sono stati allestiti 23 sportelli per informare i pescatori su come proteggere le tartarughe utilizzando i fondi per la pesca messi a disposizione dall’Unione Europea. Ora abbiamo intere marinerie che collaborano al recupero delle tartarughe e la soddisfazione più grande è quando sono proprio i pescatori a contattarci per chiedere come fare per ridurre le catture”.

Per le tartarughe cosa avete fatto?
“Abbiamo potenziato i 15 centri di recupero e formato gli attuali e futuri operatori senza trascurare le attività con centinaia di migliaia di cittadini. Abbiamo acquistando le attrezzature mediche e le strumentazioni chirurgiche necessarie per curare gli esemplari feriti, anche gravemente. Inoltre, abbiamo allestito altre sette strutture di primo soccorso sulle coste italiane. Insomma, negli anni abbiamo creato un intervento a 360°. La strada per la salvaguardia delle tartarughe è stata tracciata da TartaLife, ora è il momento di mettere a frutto quanto sperimentato da noi su larga scala. Inoltre, abbiamo iniziato un altro progetto interessante con i pescatori per ridurre le interazioni fra pesca e delfini: il progetto LIFE DELFI finanziato dalla Commissione Europea”.

Qual è l’importanza degli oceani e dei mari per l’economia mondiale?
“E’ fondamentale, e non solo dal punto di vista economico. La pesca e il turismo sono attività che danno lavoro – e dunque sussistenza – a centinaia di milioni di persone nel mondo. Ma hanno anche un’importante funzione sociale, di aggregazione, di conoscenza, di scambio. Inoltre, gli oceani – oltre alle molteplici funzioni biologiche – sono un importante termometro del benessere del Pianeta Terra. Non a caso, l’aumento delle temperature marine e l’innalzamento del livello dell’acqua è una preoccupazione globale”.

Qual è il nesso tra la tutela delle tartarughe e la salvaguardia degli oceani?
“La tartaruga è una specie iconica. Nell’immaginario collettivo è un animale molto amato che simboleggia la vita marina nella sua espressione più bella: in genere, si immaginano le tartarughe mentre nuotano in acque cristalline. Questo abbinamento ideale con il mare pulito non è casuale. La salvaguardia delle tartarughe, animali affascinanti quanto indifesi, è importante tanto quanto la tutela del loro habitat naturale. Senza dimenticare l’importante funzione biologica e regolativa che le tartarughe marine svolgono, cibandosi degli animali più piccoli. La presenza delle tartarughe è sintomo di un mare con presenza di pesci, perciò sano, pulito, vivo. Per questo tutelare le tartarughe significa tutelare anche gli oceani e conseguentemente la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi, compresa la nostra”.