“L’ecumenismo del sangue di un milione e mezzo di martiri armeni”

Oggi si commemorano i cristiani uccisi nel genocidio avvenuto tra il 1915 e il 1923. Intervista a Interris.it del professor Roberto Morozzo Della Rocca, ordinario di Storia contemporanea all’Università RomaTre e tra i più autorevoli storici del cristianesimo

“All’interno del mondo cristiano commemorare il genocidio degli armeni è un’opportunità per favorire l’unità ecumenica: è quello che Papa Francesco chiama ecumenismo del sangue”, spiega a Interris.it il professor Roberto Morozzo Della Rocca, ordinario di Storia contemporanea all’Università RomaTre, tra gli storici più autorevoli del cristianesimo. Tra i suoi numerosi saggi sulla geopolitica della fede, una fondamentale biografia del cardinale Agostino Casaroli, padre della della ostpolitik vaticana e segretario di Stato di San Giovanni Paolo II fino alla caduta del Muro di Berlino.

Perché la memoria di un milione e mezzo di armeni uccisi tra il 1915 e il 1923 può unire i cristiani di oggi?
“Il martirio (cioè la morte per la fede) è un potente fattore di unità e avvicina tutti i cristiani alla croce. Il ricordo condiviso del genocidio degli armeni unisce i cristiani dal punto di vista religioso. Le divisioni si creano invece sotto il profilo politico, perché lo Stato turco non gradisce che si rievochi questa tragica pagina di storia. Se si vogliono buone relazioni con il mondo turco, si tende a tacere il massacro degli armeni che unisce tutti i cristiani nel dovere della memoria. Papa Francesco lo ha definito ecumenismo del sangue”.

Commemorare il genocidio degli armeni ostacola il dialogo tra cristiani e musulmani?
“Bisogna distinguere tra il mondo turco e il resto della galassia islamica. Il massacro degli armeni è una questione a cui è molto legato e suscettibile il nazionalismo turco, non certo i musulmani nordafricani o quelli siriani, per fare degli esempi. Al di fuori della Turchia, il genocidio degli armeni non è per l’Islam una vicenda polemica che richieda di discostarsi o giustificarsi”.

Quali sone le ragioni storiche di questa differenza?
“Per la giovane classe dirigente turca che era andata al potere con la prima guerra mondiale si trattava di cambiare in profondità quell’impero ottomano multireligioso e a lungo tollerante, all’interno del quale i turchi erano minoranza e avevano più che altro una prevalenza militare. In mancanza di un dato etnico al quale aggrapparsi, i giovani turchi scelsero la religione come collante. Tutte le altre componenti dell’impero ottomano (albanesi, arabi ai confini, circassi, curdi) erano musulmane e come tali, ad eccezione dei curdi, sono state facilmente assimilate e turchizzate. Con i cristiani, che nella regione dell’Anatolia costituivano il trenta per cento della popolazione, una simile assimilazione non era possibile”.

I cristiani non erano assimilabili e quindi andavano eliminati…
“I cristiani erano considerati politicamente infidi perché nell’impero ottomano, prima del 1915, erano ritenuti la quinta colonna delle potenze occidentali che attraverso di loro interferivano nelle questioni interne dell’impero. Una condizione di diversità messa effettivamente nero su bianco per secoli nei documenti. Quando si legge di etnicizzare l’Anatolia che aveva il 30% di cristiani va ricordato che nella nazioni a maggioranza islamica i cristiani sono i più antichi abitanti di quelle terre. In Egitto, tanto per fare un esempio, i copti si ritengono i discendenti degli antichi Egizi, non certo dei francesi”.

Perché è importante commemorare il genocidio degli armeni?
“È il modo per tenere viva la memoria strorica affinché non si smarrisca nel succedersi delle generazioni. Ovviamente bisogna vedere come si commemora il genocidio degli armeni, se lo si fa in chiave di pietà umana e religiosa e di lotta tra in bene oppure, al contrario, in un’ottica di odio verso chi ha commesso il massacro. E’ ciò che accade sempre quando si parla di martirio. Si può commmemorare in termini religiosi un martire come figura di Cristo sulla croce oppure si può farlo in termini politici e di rivednicazione per puntare l’indice su chi lo ha martirizzato. Pacificazione o istigazione alla vendetta, in pratica.  E’ ciò che accade per i crimini commessi nel Novecento dai nazisti, dai sovietici o in Cina. Dipende sempre dai toni e dagli accenti utilizzati per commemorare le vittime: se di fa della commemorazione uno strumento contro i carnefici o una via per arrivare a condividere una memoria pacificata”.