La sacra geopolitica del concistoro. Intervista a Morozzo della Rocca

Intervista di Interris.it allo storico del cristianesimo Roberto Morozzo della Rocca sugli effetti del concistoro del 28 novembre sulla geopolitica della Santa Sede

La geopolitica della misericordia come chiave di lettura del concistoro. “Jorge Mario Bergoglio non ha mai amato le curie, fossero a Roma o in qualsiasi altra diocesi del mondo. Per lui la Chiesa deve essere con, fra, per il popolo”, afferma a Interris.it il professor Roberto Morozzo della Rocca, ordinario di Storia contemporanea all’Università Roma Tre.

Analisi del concistoro

In vista del concistoro del 28 novembre gli storici più autorevoli del cristianesimo. Tra i suoi numerosi saggi sulla geopolitica della fede, una fondamentale biografia del cardinale Agostino Casaroli, padre della della ostpolitik vaticana. E segretario di Stato di San Giovanni Paolo II fino alla caduta del Muro di Berlino. All’Università di Roma III dal 2004 il professor Morozzo della Rocca è presidente del Collegio didattico in scienze storiche. I suoi interessi scientifici, inizialmente focalizzati sulla storia italiana (sia civile sia religiosa) si sono poi estesi ai paesi dell’Europa orientale e del Sud Est. Ha particolarmente indagato il rapporto fra nazione e religione in Russia, Polonia, Jugoslavia, Albania, tra Ottocento e Novecento. Tra i saggi ha pubblicato “Mozambico. Dalla guerra alla pace” (1994). “Oscar Romero. Un vescovo tra guerra fredda e rivoluzione” (2014). E, appunto, “Tra Est e Ovest. Agostino Casaroli diplomatico vaticano” (2014). Con il concistoro del 28 novembre, i cardinali elettori europei diventano 53 (di cui 22 italiani), i latinoamericani 24, gli africani 18, gli asiatici 16, i nordamericani 13, 4 quelli provenienti dall’Oceania. Dopo quella italiana (22) la componente più nutrita continuerà ad essere quella statunitense (9) seguita da quella spagnola (6). Brasile, Canada e Francia ne hanno 4. Germania, India, Messico, Polonia e Portogallo 3.  Il Collegio Cardinalizio è sempre più espressione delle “periferie geografiche” e meno centrato sull’Occidente?

“Il discorso di papa Francesco sulle periferie è una provocazione ai ‘centri’ cui tutti ambiscono. E’ il rovesciamento evangelico delle ambizioni umane: gli ultimi saranno i primi, e viceversa. Credo però che se chi sta al ‘centro’ rispetta le periferie ed è con loro solidale, non deve temere per la propria salvezza spirituale”.A cosa si riferisce?

“Papa Francesco, evangelicamente, non ama chi si sente ‘figlio di Abramo’. Chi gode degli onori e delle carriere. E vede il sacro, il prediletto da Dio, dove gli uomini non lo scorgono. Lo ripeto, questo è biblico. Quando Samuele cerca colui che deve consacrare per essere in avvenire re d’Israele al posto di Saul (e sarà Davide), il Signore gli dice: ‘Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore'”.Era tradizione che in Italia oltre al vicario di Roma fossero otto le diocesi che prevedessero la porpora: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli e Palermo. Perché con Papa Francesco questo automatismo è saltato?

“Pare di capire che il Papa guarda più alle persone che alle sedi. Si può anche notare che l’Italia era sovra-rappresentata come sedi cardinalizie in un mondo che conta un miliardo e trecento milioni di cattolici. Inoltre alcune sedi italiane sono decadute demograficamente (Venezia, Genova, Torino). Diverso il caso di Milano, dove la mancata nomina cardinalizia dell’arcivescovo sconta la presenza in città di un cardinale, arcivescovo emerito, che anagraficamente può entrare in conclave”.Può farci un esempio?

“Anche per l’Italia sembra valere il paradigma delle periferie dalle quali i centri vengono osservati e compresi molto meglio che vivendoci, e le periferie sono necessarie ai centri perché siano tali. Così Agrigento o L’Aquila sono uno stimolo per Palermo o Torino”.Dopo il 28 novembre Papa Francesco avrà creato complessivamente (in sette concistori) 79 cardinali elettori, tra i quali 14 italiani e 15 curiali. L’impronta bergogliana sarà determinante nel prossimo conclave? 

“Su questo avrei qualche dubbio. Anzitutto lo Spirito Santo non ragiona per cordate ecclesiastiche. Inoltre le nomine di papa Francesco obbediscono a criteri multipli (geografici, personali, storici…) e i “suoi” cardinali sono diversi tra loro. Le nomine del papa non sono omogenee. Inoltre non esiste a mio parere un “bergoglismo”, perché il discorso di Francesco è essenzialmente un richiamo al Vangelo: al centro c’è la Scrittura, il povero, la liturgia e la preghiera. La linea del papa è semplicemente il Vangelo, pur declinato secondo la sua soggettiva e storica fede di figlio di emigrati, di gesuita, di latinoamericano, di appassionato di pastorale, di umanista forse prima che di teologo”.

Concistoro
Foto © Vatican Media

Il custode del Sacro Convento, il francescano Mauro Gambetti diventa cardinale elettori senza essere ancora vescovo. Una circostanza mai avvenuta con Benedetto XVI, accaduta una volta con Giovanni Paolo II (padre Roberto Tucci). Francesco non tiene conto di tradizioni e consuetudini ecclesiastiche? 

“Paolo VI diceva: ‘Un papa bolla, l’altro sbolla’. Ogni papa, nel discernimento dello Spirito, può innovare le tradizioni storiche. Non altrettanto può innovare la Tradizione come ‘depositum fidei’, quella con la T maiuscola come diceva Yves Congar ai tempi del Concilio”.

Concistoro
Il Papa in preghiera sulla tomba di San Francesco ad Assisi

Cioè?

“Mi pare che Francesco sia uomo della Tradizione, che rispetta anche con piglio intransigente, e non delle tradizioni, tanto meno di quelle tradizioni ecclesiastiche che sono una costruzione storica, non un portato delle Scritture, tanto che lei stesso, nella domanda, le definisce ‘consuetudini’. La nomina di padre Gambetti sorprende, ma ricordo che il cardinale Antonelli, Segretario di Stato di Pio IX, non era neppure sacerdote, solo diacono”.Con il nuovo Concistoro ci saranno per la prima volta un cardinale in Rwanda e nel sultanato del Brunei che è uno dei pochi Paesi a non avere rapporti diplomatici con la Santa Sede e dove è applicata rigidamente la sharia. Cosa significa?

“Significa accentuare sempre di più l’universalismo della Chiesa cattolica romana. Non conosco i motivi per cui Francesco ha proceduto a queste due specifiche nomine. Ma si può immaginare un loro pregnante valore simbolico. Il Rwanda è terra dell’ultimo grande genocidio storicamente avvenuto. Il sultanato di Brunei è terra islamica: non si potrebbe ricondurre la relativa nomina al Documento sulla Fratellanza Umana firmato a Doha e al dialogo con l’islam? Inoltre l’Asia è il più grande e popoloso dei continenti ma ha nell’ipotetico conclave poco più di un decimo dei cardinali”.Continua a scendere il peso della Curia. Dopo il concistoro del 28 settembre i cardinali curiali, ex curiali o con uffici assimilabili saranno 29 su 128, con un terzo di che ha già superato i 75 anni. E’ segno di una Chiesa “in uscita”?

“Direi di sì.  E’ la sua teologia eminentemente pastorale. D’altra parte, senza entusiasmo di gestione, è pur vero che accetta l’esistenza delle curie, riconoscendo loro una funzione storica. Sta tentando da anni di riformare quella romana. L’opinione pubblica intende le riforme come colpi di maglio nelle strutture, Francesco la intende piuttosto come inviti alla conversione pastorale, possibile nei dicasteri vaticani come nella più sperduta periferia”.Perché?

“Passare da una Chiesa autoreferenziale a una Chiesa in uscita, come lui vorrebbe, non è questione di riforme strutturali ma di conversione dei cuori. Ci sono episcopati, come quello della Chiesa tedesca col suo Sinodo, che paiono ritornare a problematiche strutturali di mezzo secolo fa. Invece, Francesco crede nello Spirito Santo. Che immagina trovarsi più nelle periferie che nei centri, più nelle Galilee sperdute che nei Sinedri delle capitali. La secolarizzazione non si fronteggia con i cambiamenti di strutture ma con i cambiamenti di cuore”.