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L’esprit de l’escalier: lo spirito che manca ai “leoni da tastiera”

L’“esprit de l’escalier” (lo “spirito della scala”) è una definizione che trae origine dal Settecento francese ed esprime l’incapacità di formulare una risposta adeguata al momento giusto, nel rammarico di non aver zittito opinioni od offese altrui. Per rimanere senza parole dinanzi a Necker (“ministro delle Finanze” a Parigi), il filosofo illuminista Diderot, doveva aver perso tutta la sua verve anticlericale e la sua familiarità con la cultura e i vocaboli (visto che fu il principale promotore dell’“Enciclopedia” moderna per eccellenza). Il rimuginare di Diderot è divenuto paradigmatico per definire il fenomeno, quello della mancata ribattuta al momento giusto. L’origine della locuzione viene descritta dallo stesso Diderot: perso il confronto dialettico con Necker e, trovate le parole (e la testa) solo in fondo alle scale che percorre, comprende, serenamente, come sia ormai tardi per replicare.

Diderot sottolinea anche un altro aspetto: scrive come la sua lentezza, nella circostanza, sia dovuta al fatto di essere un “uomo sensibile”, colpito, quindi, più dalla natura e dal contenuto dell’offesa e meno pronto a replicare. Un uomo sensibile accusa maggiormente l’aggressione o la provocazione verbale e non gioca su un terreno proprio e confacente. Probabilmente, uno spirito più superficiale, interessato e addestrato solo a vincere la replica, senza riflettere sul contenuto, è più raro che possa perdere la battuta.

Si tratta di una situazione comunissima, fisiologicamente connaturata alla razionalità umana, in cui i tempi e i modi di reazione differiscono da quelli desiderati. Nel rapido, non si è tempestivi e si mugugna sulle parole non dette o su quelle che meglio avrebbero spiegato le proprie esigenze se non smontato l’opinione altrui. Per molti, tale rammarico sfocia nel giurare vendetta appena possibile senza lasciar nulla di impunito. Per dirla alla latina: “Nunc pro tunc” (ora per allora) si restituisce adesso ciò che ci è stato fatto in passato.

In un’epoca che corre sulla rapidità, tuttavia, la stessa non si concretizza, quasi per capriccio, in un’analoga modalità di reazione. La battuta ideale di risposta, non cattiva ma puntualizzante, a volte arriva “in fondo alla scala”; da qui la decisione del singolo: operare, anche fuori tempo, per liberarsi dal peso o “perdonare”, senza rancore e presunzione, forte dell’esame della propria coscienza. Papa Francesco ricorda “Quello che Gesù ci vuole insegnare è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta. La vendetta non è mai giusta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. È invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell`odio e della violenza”.

Diderot non avrebbe immaginato l’evoluzione del suo concetto dopo tre secoli, quando il piano di “battaglia” si sarebbe spostato davanti agli schermi e alle tastiere, insultando e tenendo testa a un “nemico” invisibile e per questo più “leonino”. I tempi del web sono più dilatati e si può andare avanti con polemiche per ore e giorni. Uno dei punti tipici del confronto è, spesso, il voler convincere e giudicare l’altro che erra, a livello politico, calcistico, religioso, sociale, medico (questione dei vaccini), ecc.

Nell’epoca della dicotomia e della polemica, soprattutto via social, tale “dipendenza” è diffusissima e inibente. Si pensa, infatti, con livore, più in negativo (ossia alla replica) che, in positivo, all’affermazione di un concetto, nel libero dialogo e nel sano dibattito.

Il professor Bruno Mastroianni è l’autore del libro “La disputa felice” (sottotitolo “Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico”), pubblicato da “Franco Cesati Editore” nel giugno 2017. Il filosofo è molto diretto al nocciolo del problema, già nel titolo emblematico del volume. Nel mondo così variegato che il web offre, i fruitori dovrebbero essere in grado di saper accettare l’altro e di non voler sopraffare a suon di offese, polemiche e minacce.

La tribuna dei social ha spalancato la bocca e la tastiera di tutti: occorre farne buon uso. Il primo passo è quello di scendere dal piedistallo e abbandonare la fascia di tuttologo, per concentrarsi, invece, su argomentazioni che si conoscono. Nell’essere pieni di sé, si finisce per vedere nemici ovunque e l’atteggiamento divisivo/competitivo si esalta, sia nel singolo sia nel gruppo di appartenenza.

In osservanza del diritto di espressione, va ricordata anche l’opinione contraria; un altro filosofo, il professor Adelino Cattani è l’autore del volume “Botta e risposta: l’arte della replica”. Il sottotitolo è “Come dirsele (non darsele) di santa ragione. E perché fa bene”, pubblicato da “Audino” il 24 febbraio scorso. In ottica sofista, occorrerebbe migliorare la padronanza della disputa e tirar fuori tutte le strategie oratorie per difendere se stessi e affossare l’avversario.

A proposito di litigi, di mancati chiarimenti e di frasi strozzate, Luca Mazzucchelli, lo “psicologo che non usa il lettino”, al link https://www.psicologo-milano.it/newblog/relazioni-damore-combattere-insieme-durante-i-litigi/ cita alcuni dati “I tre argomenti più discussi nella coppia sono i soldi, la famiglia e le attenzioni. Magari non sono gli argomenti che più si notano in pubblico, ma, se guardiamo sotto la superficie, quello che trovi nella maggior parte dei casi sono queste 3 questioni […] Una coppia discute in media 2455 volte all’anno, ovvero circa 7 volte al giorno […] non è tanto il modo in cui tu combatti nel litigio, ma in cui tu e il tuo partner combattete assieme. Uno studio svolto su un campione di 1000 adulti ha dimostrato che quando le coppie sanno come litigare hanno una probabilità 10 volte superiore di stare insieme. L’errore più grande che di norma puoi commettere è quello dell’evitamento, ovvero non dici niente, sorridi e bevi la pozione, anche se magari senti che c’è qualcosa che non va. Tendenzialmente chi evita questo tipo di conversazioni lo fa perché si dice consapevole del rischio che corre a parlarne […] Così quando lui dice: ‘Possiamo parlare di questo?’ e lei risponde: ‘Non voglio parlare di questo’, gli studi dimostrano che il 69% dei conflitti restano irrisolti e quindi questo significa che avremo la stessa discussione ancora e ancora e ancora”.

Per lo “spirito delle scale”, come per altri fenomeni umani, si crea un bivio. Alcuni non si crucciano del non aver risposto a dovere e dimenticano, agevolmente, l’accaduto né premeditano una rivincita. Altri, invece, rimangono con un forte disappunto e un tarlo che rode e promette una reazione opposta e doppia. Per questi ultimi, la deriva è patologica e crea scompensi d’umore, ansia, rabbia, distorsione della realtà.

I tempi sono essenziali nella musica, nel cinema, nel teatro. Il non aver trovato la risposta al momento giusto può anche significare che non ce ne fosse bisogno. Il singolo è convinto di aver perso chissà quale battaglia ma, in fondo, la leggera impreparazione può rappresentare anche il sinonimo di una legittima e ragionevole fine del conflitto, per questa “legge del taglione” di ordine dialettico. Rimanere in silenzio, soprassedere, non significa esser vuoti, al contrario: si è pieni di buon senso e razionalità. Lo spessore di una persona si coglie anche nel saper correre, nel non dannarsi l’anima e il fisico pur di rispondere, nel non marcire nell’odio e nel rancore.

L’“esprit de l’escalier” moderno, decade, in genere, in un astio inutile, dispersivo e divisivo che non ottiene risultati di sorta se non effimere soddisfazioni del proprio ego. Il confronto, sano e genuino, non soffre di mal di scale: un eventuale ritardo o dimenticanza di parole, una minor destrezza a rispondere non cagionano problematiche, risentimenti o divisioni. Tale fattispecie ha anche un nome: si chiama dialogo.

Marco Managò

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