Coronavirus, il quadro economico che spaventa l’Italia

Becchetti (Tor Vergata): "Le conseguenze dipenderanno dalla durata dell'epidemia"

Che sia la tutela e la preservazione della salute la priorità dell’uomo è fuor di dubbio, specie in una fase di emergenza sanitaria. Va da sé che, in un contesto come quello portato dalla diffusione del coronavirus quasi su scala globale, gli effetti collaterali vadano ben al di là delle previsioni, specie se un Paese intero è costretto a rallentare il passo, praticamente dimezzando la propria forza produttiva con la speranza che si tratti di una breve fase di passaggio. Tutto dipenderà, gioco forza, dal tempo che richiederà l’emergenza per rientrare nei ranghi, augurandosi che tutto torni come prima, su un piano economico ma, soprattutto, di appetibilità sul piano dei mercati. Una questione da leggere, come spiegato a Interris.it dal professor Leonardo Becchetti, professore ordinario di economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, in relazione al protrarsi dell’emergenza: “La speranza è che il tutto non duri più di un altro mese o due”.

 

Professor Becchetti, i continui aggiornamenti legati all’emergenza coronavirus vanno a concretizzarsi in una progressiva serie di provvedimenti che, in qualche modo, stanno rallentando il sistema produttivo del Paese. Quali sono i settori più colpiti?
“I settori sono quelli legati ai consumi in cui le persone sono insieme: turismo, ristorazione, eventi e trasporti. Ma, visto la loro frenata, poi a cascata è l’intera domanda di beni e servizi rivolta verso altri settori che produce un effetto di rallentamento del Paese. Il quale, per il momento, si traduce in una previsione che parla dello 0,5% di Pil. Bisognerà vedere però quanto durerà tutto questo periodo: se la cosa dura ancora un mese o due la possibilità di recupero c’è, anche perché ci può essere un effetto rimbalzo, che farebbe leva sulla voglia delle persone di tornare a stare insieme”.

In caso contrario?
“Finora non si hanno notizie di epidemie che non finiscano con l’estate. Sembra che anche il coronavirus non possa sopravvivere oltre i 37 gradi”.

Alla luce di questo, le misure adottate finora da un punto di vista sia sanitario che strutturale, sono state corrette?
“Due questioni: prima di tutto, a mio avviso, l’Italia è stata più scrupolosa e questo, paradossalmente, la sta penalizzando. Noi abbiamo fatto molti più tamponi: in Italia, ogni anno, muoiono 17 mila persone di polmonite, mentre all’estero non hanno verificato se si trattasse o meno di coronavirus. Questo è bastato a far passare il messaggio che l’Italia fosse un Paese infetto e contagioso. Questo può avere un effetto negativo, sia sul Made in Italy che sul turismo, nel momento in cui questi ultimi preferiscono altri Paesi al nostro. Ed è anche un rischio che questa idea si prolunghi nel tempo, allo stesso modo di come viene a crearsi una diffidenza verso le attività cinesi”.

E’ inevitabile, vista anche la mediaticità del fenomeno, che venga a crearsi una cultura di questo tipo?
“Purtroppo non c’è stato un allineamento nelle procedure dei diversi Paesi. Poi, ora è molto delicato decidere cosa fare: personalmente credo che si potrebbe si chiudere le scuole e le università ma, ad esempio, utilizzando il sistema delle lezioni a distanza. Potrebbe essere questa una grande occasione per rendere i nostri atenei così come i nostri istituti scolastici più smart. Abbiamo tutti software per farlo, tutti i ragazzi hanno il cellulare… Invece di lasciarli per due settimane sui social, potremmo consentire loro di seguire comunque le lezioni”.

Applicare quindi strumenti e-learning come alternativa provvisoria alle lezioni…
“Esatto. Si fa una sperimentazione, vediamo come va”.

Eventi di massa fermi, non ultimi quelli sportivi che, non meno degli altri, costituiscono un importante motore per l’economia. E’ un rischio ulteriore la possibilità che si fermino, ad esempio, i match di Serie A?
“Certo, fa parte del settore eventi. Però anche in questo caso bisogna vedere: se si prolunga troppo la questione, forse è meglio mandarlo avanti a porte chiuse. Ma al momento il vero problema è un altro: noi non sappiamo qual è il denominatore nel numero dei contagiati, nemmeno i virologi sembrano avere le idee chiare. Può darsi che siano molti di più e che magari stiamo osservando la parte superiore dell’iceberg. Se così fosse, vorrebbe dire che è una malattia meno letale di quanto si pensi. Questo non toglie che il nostro dovere civico è quello di rispettare in tutto e per tutto le regole di prudenza. Credo però che vadano evitati sia il panico che la paralisi. Ci dobbiamo chiedere se le precauzioni sono poche o se fosse sono eccessive”.

Fino a pochi mesi fa aveva tenuto banco il tema della Nuova Via della Seta… C’è la possibilità che l’emergenza coronavirus porti a rivedere il giudizio sulle nuove strategie di mercato?
“No, credo che finita l’emergenza possa riprendere, anche se resterà la mente delle persone il rischio pandemia al quale prima nessuno faceva caso. Ora, visto che si è materializzato, verrà in un certo senso incorporato nelle decisioni”.

Sembra che il rallentamento dell’economia stia coinvolgendo soprattutto la piccola e media imprenditoria. Al di là delle tempistiche, per un sistema che non conta su grandi investimenti potrebbe rivelarsi un colpo troppo forte?
“In questo caso dovrà essere bravo il governo ad adottare delle misure temporanee di emergenza, come appunto la riduzione delle tasse, i provvedimenti di aiuto per fronteggiare questa emergenza eccezionale e non mi sembra che l’Europa, da questo punto di vista, ci abbia detto di no”.

Ritiene che il decreto varato in Cdm sia una misura sufficiente sul breve e medio termine?
“Senz’altro attenua l’effetto negativo, può fare da ponte. Ovviamente nella speranza che il tutto non duri più di un mese o due”.

Un’epidemia al tempo della società globalizzata… Una situazione che ha giocato il suo ruolo vista la sovrabbondanza di contenuti sul tema?
“Assolutamente sì. Questa è la prima epidemia combinata con una cosiddetta ‘infodemia’, il rimbalzo sui social. Si creano dei circoli viziosi tra notizie, percezione dell’opinione pubblica e reazione della politica, che possono produrre anche degli effetti perversi. Dobbiamo ragionare anche su questo. Ora è difficile, perché è la prima volta, ma andrà fatto”.

Ha spiegato che l’Europa non dirà di no a determinati provvedimenti di traino dell’economia. Sarà così anche sul lungo periodo?
“Io dico sempre che il nostro problema non è l’Europa ma la fiducia nei mercati finanziari. È a questo che dobbiamo guardare, nel senso che le misure eccezionali si possono prendere ma bisogna stare attenti a essere percepiti come sostenibili da chi compra i nostri titoli. Però credo che le banche centrali faranno quello che hanno fatto fino a oggi: aumenteranno l’offerta di moneta e questo in parte aiuterà”.