Chiarenza (APG23): “La bellezza di essere padre per chi non ce l’ha”

L'intervista ad Antonio Chiarenza, papà di casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII a Catania, su cosa significhi essere padre naturale ed affidatario di bimbi disabili nella società contemporanea

La casa famiglia di Antonio Chiarenza

“Mi chiamo Antonio e sono un papà! Questo è il mio ‘lavoro'”. Per la Festa del papà, che si celebra oggi, Interris.it ha intervistato Antonio Chiarenza – genitore di casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII di Catania – su cosa significhi essere padre naturale ed affidatario di bimbi disabili nella società contemporanea.

L’intervista ad Antonio Chiarenza

Come è nata l’idea di mettere su una casa famiglia della Papa Giovanni?

“Io e mia moglie Nuccia, sin da fidanzati, ci siano interrogati su come realizzare la nostra famiglia. Abbiamo sempre vissuto nel mondo del volontariato. Cercavamo qualcosa che ci facesse vivere la fede nel quotidiano, e non solo la domenica. Ci siamo sposati nel 1994 e da subito abbiamo iniziato a fare l’affidamento familiare. Agli incontri con le varie famiglie affidatarie, abbiamo conosciuto dei genitori membri dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata don Oreste Benzi. Siamo rimasti affascinati del carisma della Comunità – la condivisione diretta con gli ultimi accompagnata dalla vita di preghiera – e ne siamo diventati membri nel 1997. Nel 1999 siamo diventati la casa famiglia ‘Maria madre della Resurrezione’ di Catania; sono dunque 24 anni che accogliamo figli naturali e figli rigenerati nell’amore”.

Cosa rappresenta per voi la casa famiglia?

“E’ un luogo di ascolto, di condivisione diretta e di condivisione h24. In questo luogo di accoglienza abbiamo capito di aver trovato il nostro posto”.

Nuccia Pennisi, Antonio Chiarenza e don Oreste Benzi

Quanto è stata importante nella vostra vita la figura del fondatore, don Oreste Benzi, oggi Servo di Dio?

“Fondamentale. Abbiamo conosciuto don Oreste Benzi nel 1996, un paio d’anni dopo il matrimonio, in un incontro con delle case famiglia della zona. L’avevamo cercato per avere una conferma del nostro desiderio di fare casa famiglia. Don Oreste era un sacerdote santo e profetico. Ci invitò a leggere il brano biblico ‘Ebrei 13,2’ perché, disse, ‘era proprio per noi’. Il verso recitava: ‘Non dimenticate l’ospitalità; perché alcuni praticandola, senza saperlo, hanno ospitato angeli’. In questi 24 anni di accoglienza, è esattamente quello che è successo a noi: abbiamo incontrato e accolto tanti ‘angeli’ in casa famiglia. Marianna Bergoglio, la ‘figlia di Papa Francesco’, è una di questi!“.

“A proposito di paternità (oggi è la festa dei papà, anche spirituali!) ci fu un secondo momento centrale con don Oreste Benzi. Successe qualche anno fa, quando venne ad un incontro delle case famiglia di Catania. Entrò in casa e tutti noi presenti ci cingemmo intorno a lui per salutarlo. In quel momento, avevo in braccio uno dei miei figli. Quando mi vide con in braccio il bimbo, mi disse, con quel suo sorriso grande: ‘sei bellissimo!’. Non si riferiva all’estetica ovviamente, ma alla figura di padre con un figlio in braccio. In quell’occasione sperimentai come don Oreste fosse per me anche un padre e non solo un sacerdote o il responsabile della Comunità. Fu il padre amorevole che mi dice: ‘sei al posto giusto, stai facendo la cosa che Dio vuole da te’. Insomma, nonostante ci siano stati anche momenti difficili e faticosi, grazie a lui ho capito di aver fatto la scelta giusta nella vita. E non è cosa da poco”.

Come è composta oggi la tua famiglia?

“E’ una famiglia molto ampia, come è normale per le case famiglia. Al momento sotto il tetto siamo in 11: io e mia moglie Nuccia e nove tra figli naturali (quattro dai 12 ai 26 anni) e figli accolti. Molti dei figli accolti in casa hanno una disabilità”.

Cosa significa per te essere padre sia di figli naturali sia di figli accolti?

“Io non faccio distinzione tra il ruolo di padre di una famiglia classica o il ruolo di padre di una casa famiglia. Sempre padre sono. La paternità in casa famiglia, rispetto a quella ‘classica’, è molto sollecitata: perché non segui i tuoi figli dalla nascita, non tutti almeno. Alcuni arrivano che sono già ‘grandicelli’. Non sai neppure se quel figlio accolto resterà con te per sempre o se dovrai accompagnarlo solo per un tratto della sua esistenza. Devi dunque fare uno sforzo per conoscerli e comprenderli affinché si sentano accolti. Devi entrare nella loro storia e nel loro cuore per sapere chi siano davvero. Non è facile ma è bellissimo. Ho studiato da geologo, ma ho scelto di essere padre di casa famiglia al 100%. E a fine giornata spesso penso che la cosa che più mi sia riuscita nella vita è la mia famiglia!”.

Qual è il ruolo del padre nella società contemporanea, dove la figura paterna sembrerebbe sempre più sbiadire in una figura amicale?

“Credo che il ruolo del padre sia ancora fondamentale nella società. Ed è quello di dire al proprio figlio e figlia ‘io ti riconosco’. Non solo nel senso del cognome. Ma aiutare i nostri figli a capire qual è la loro unicità come persona e qual è il loro ruolo nella vita, accompagnarlo verso la loro realizzazione e sostenerli nelle loro scelte. Anche quando sono totalmente diverse dalle nostre aspettative: noi genitori le abbiamo sempre… Questa cosa ce l’ha insegnata don Oreste Benzi. Lui tirava fuori il meglio di te, vedeva sempre il bene e ti rassicurava dicendoti: ‘su questa tua cosa buona puoi fondare la tua vita’. Come la casa costruita sulla roccia e non sulla sabbia. Lui era molto paterno. La sua paternità consisteva nel vedere e tirare fuori il meglio dalle persone, anche quelle considerate irrecuperabili”.

Qual è la cosa più difficile dell’essere padre oggi?

“La cosa più difficile è sapere quando fermarsi in una situazione in cui devi essere normativo. Lo sperimento ogni giorno, specie con i figli un po’ più grandi. Trovare il giusto equilibrio tra i ‘No’ e i ‘Sì’. Evitare di essere troppo invadente, ma al contempo non essere assente. Trovare la giusta via di mezzo è la cosa più difficile. L’obiettivo è essere una presenza discreta che mantiene la relazione. Molto difficile, inoltre, è accettare fino in fondo che i nostri figli non sono una nostra proprietà. E che dunque sono diversi da noi. Noi pensiamo costantemente al loro futuro, ma in realtà sono loro che devono riuscire a trovare la propria strada nella vita. Ci vuole dunque tanta capacità di ascolto, pazienza, rispetto della diversità di ciascuno. Bisogna lasciarli liberi di sbagliare ed è difficilissimo”.

Liberi di sbagliare: non è esattamente ciò che fa Dio con noi?

“Sì, è quello che contraddistingue la paternità di Dio verso l’uomo. Nella paternità umana c’è una scheggia della paternità di Dio”.