Cheat meal e cheat day: è tutto un imbroglio?

L’unica dieta che funziona è quella che parte innanzitutto dalla testa, nella piena convinzione e in una fermezza mentale prima ancora che alimentare

Il “cheat meal” (pasto dell’imbroglio) costituisce lo “sgarro” alla dieta, piaga del mondo occidentale, per alleggerire il peso di prescrizioni alimentari severe e ardue da seguire ogni giorno. Il “cheat day” (giorno dell’imbroglio) si riferisce, invece, ai pasti dell’intera giornata. Non si tratta di una semplice concessione del dietologo poiché possiede delle funzioni a livello psicologico (concedendo il piacere di trasgredire) e supporta il giusto metabolismo del corpo. In un’epoca di gravi squilibri alimentari e dietetici, sembra rappresentare una giusta combinazione che non esaspera né la mente né il fisico e permette di raggiungere gli obiettivi, senza seguire, pedissequamente, il noioso quantitativo dei grammi di cibo da introdurre nel corpo.

Mangiare per ansia

Il mangiare, spesso, corrisponde soltanto a un “risarcimento” per uno stato ansioso e di stress a cui non si trova soluzione (fame emotiva), più che a necessità nutritive. In considerazione, quindi, dello strettissimo legame tra la situazione psicologica e i comportamenti alimentari scorretti, occorre rendere tale rapporto il più sereno possibile, senza pericolose alterazioni e disturbi. In tal senso, si comprende quanto sia fondamentale elevare il morale di un soggetto alle prese con restrizioni alimentari, concedendo un’episodica eccezione e non lasciarlo intestardire in diete severe.

Ridurre lo stress

Rilassandosi con questo parziale appagamento, si riduce lo stress e la conseguente produzione di cortisolo, reo di accumulare grasso e di produrre stanchezza. Lo sgarro consente anche di mantenere meglio, nel tempo, i risultati della perdita di peso, concedendo la giusta pausa a un regime ferreo e, formalmente, senza sosta.

La cucina e la dieta in tempo di pandemia

L’esperienza del Covid ha comportato, fra l’altro, una grande voglia generalizzata di cucinare, di cimentarsi su dolci e pizza e sul conseguente piacere di mangiare tali prelibatezze autorealizzate. Il tutto favorito da un settore (quello alimentare) che, nella pandemia, ha conosciuto un’impennata di acquisti da parte della popolazione, gonfiato anche da accaparramenti ingiustificati. La mole enorme di beni alimentari acquistati è stata necessariamente consumata, anche in tempi brevi, con le conseguenze immaginabili.

Coldiretti, la più importante associazione degli imprenditori agricoli italiani, in un articolo del 4 marzo scorso, al link https://www.coldiretti.it/salute-e-sicurezza-alimentare/obesity-day-1-su-3-a-dieta-in-un-anno-di-covid, precisava “1 su 3 a dieta dopo un anno di Covid. La dieta è l’obiettivo di più di un italiano su tre (36%) nel 2021 dopo un anno segnato dal Covid che ha costretto in molti a rinunciare all’attività sportiva e rimanere più tempo in casa, anche a cucinare. È quanto emerge dall’analisi Coldiretti/Ixe divulgata in occasione del World Obesity Day che si celebra in tutto il mondo il 4 marzo […] Per il 44% degli italiani che sono aumentati di peso secondo l’analisi di Coldiretti su dati Crea”.

L’Unione Coltivatori Italiani, il 18 febbraio scorso, al link https://www.uci.it/dettaglionews/Salute/world-obesity-day-2021-un-italiano-su-10-e-obeso#:~:text=World%20Obesity%20Day%202021%2C%20un,obeso%20%2D%20Uci%20%2D%20Unione%20Coltivatori%20Italiani, ammoniva sulla deriva mondiale e italiana “Le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rivelano che sono sovrappeso (oppure obesi) il 50% degli adulti e il 30% dei bambini e adolescenti del Pianeta. In Italia sono 18 milioni gli adulti in sovrappeso (35,5%) e 5 milioni (secondo Italian Obesity Barometer Report) quelli obesi, ovvero una persona su dieci. […] Siamo secondi solamente a Cipro e quasi allo stesso livello di Grecia e Spagna, con una prevalenza di bambini in eccesso di peso al sud. […] Negli ultimi trent’anni l’incidenza del sovrappeso ha visto un aumento del 30 per cento e l’obesità è aumentata del 60%. Se si guarda all’impatto del Covid-19, l’obesità è una delle cause più frequenti di comorbilità nei deceduti per coronavirus, che spesso si accompagna a ipertensione, diabete e a un sistema immunitario meno efficiente. Le proiezioni sono allarmanti: nel 2030 rischiamo, infatti, di assistere al raddoppio della prevalenza di obesità, che sommata al sovrappeso, costituirà circa il 70% della popolazione, con un enorme impatto clinico ed economico, essendo l’obesità responsabile di alcune forme di tumore, del diabete e di malattie cardiovascolari. […] le persone obese che hanno contratto il Coronavirus hanno avuto il 113% in più di probabilità di essere ospedalizzate, il 74% in più di essere ricoverate in terapia intensiva ed il 48% in più di morire, rispetto ai pazienti normopeso”.

Le abitudini alimentari dei bambini

La rivista “Medico e paziente”, fonte autorevole, di pubblicazioni scientifiche dal 1975, per la medicina generale in Italia, al link https://medicoepaziente.it/2021/obesita-infantile-litalia-rimane-ai-primi-posti-in-europa/, il 7 gennaio scorso ha effettuato il punto della situazione sulle abitudini alimentari dei bambini “L’Italia rimane uno dei Paesi d’Europa con il più alto tasso di obesità infantile. Un’indagine su un campione di 50mila bambini di terza elementare rivela che il 20,4% è in sovrappeso, il 9,4% obeso e il 2,4% gravemente obeso, dati che rimangono preoccupanti nonostante il trend in calo nell’ultimo decennio. […] quasi 1 bambino su 2 non fa una colazione adeguata al mattino e 1 su 4 consuma frutta e verdura meno di una volta al giorno. I legumi vengono consumati meno di una volta a settimana dal 38% dei bambini e quasi la metà dei bambini mangia snack dolci più di 3 giorni a settimana. Circa 1 bambino su 4 beve bevande zuccherate ogni giorno, anche se questo errore alimentare sembra essere in diminuzione. […] Gli indicatori riferiti all’attività fisica sono rimasti sostanzialmente stabili negli anni. Secondo gli ultimi dati 1 bambino su 5 non ha svolto alcun esercizio fisico il giorno prima dell’intervista, più del 70% non è andato a scuola a piedi o in bicicletta e quasi la metà trascorre più di 2 ore al giorno davanti a televisione, tablet o telefono cellulare – una tendenza che i dati mostrano in aumento”.

Prescrizioni troppo rigorose potrebbero anche minare la socialità dell’individuo: lo sgarro serve proprio a mantenere quell’abitudine consolidata, con gli amici, di concedersi, per esempio, una pizza nella fine settimana. In una mescolanza unica di orari e abitudini, anche la postazione lavorativa, spesso confusa con la tavola di casa, ha contribuito a sfalsare le buone regole.

In passato, lo sgarro, molto criticato e colpevolizzato poiché ritenuto foriero di successivo abbandono del giusto regime imposto, ora è rivalutato e suggerito, proprio per le suggestioni psicologiche connesse e per i risultati positivi ottenuti nel complesso.

La trasgressione alla dieta, purché non eccessiva e non ripetuta, è consigliata, quindi, dagli stessi nutrizionisti, sia per rallentare lo sforzo mentale e fisico del paziente sia per indurre il metabolismo a non conservare eccessivamente la massa grassa che tiene come scorta (cosiddetto “stallo metabolico”) in considerazione delle mutate abitudini alimentari.

Qual è stata la fortuna dello sgarro alla dieta? Lo sdoganamento operato dai VIP, così tanto seguiti che, con il loro comportamento non ferreo ma efficace (di periodiche trasgressioni), hanno indotto i comuni mortali a imitarli anche in questo, senza sensi di colpa, anzi contenti di essere alla moda e con il beneplacito dei loro beniamini.

La scarsità di gratificazioni che si ritiene ricevere nella vita, abbinata a quelle di un’alimentazione ristretta e vigilata, rende le persone sensibili alla potente gratificazione dello sgarro, visto davvero come un premio allo sforzo profuso, nello studio, nel lavoro, nel mangiare.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di consolidare un regime alimentare: “una corretta alimentazione è per sempre”. Il rischio, infatti, è che, superato il duro periodo di privazioni, si possa ricadere nelle abitudini errate e dar luogo al cosiddetto “effetto yo-yo”.

Si stima che circa il 90% delle persone che hanno praticato una dieta ricada, poi, nella condizione originaria. L’unica dieta che funziona è quella che parte innanzitutto nella testa, nella piena convinzione e in una fermezza mentale prima ancora che alimentare.

La sedentarietà e la comodità conducono a uno stile di vita errato e a un peso elevato. Deve cambiare la prospettiva in cui si osserva ogni singolo sforzo e dargli una valenza positiva (poiché aiuta a bruciare calorie) anziché negativa. Rinunciare all’automobile, al parcheggio vicinissimo all’entrata di un centro commerciale, all’utilizzare l’ascensore anche per pochi piani, non devono essere considerati stolti comportamenti poiché deve subentrare l’idea che ogni piccolo sforzo che si compie è un mattoncino per la propria salute, significa bruciare calorie. A quel punto, alla dieta stretta, subentra la giusta alimentazione e anche lo sgarro non ha più ragion d’essere; non è più necessario che il mondo opulento “inganni” se stesso.