Cardinale Lojudice: “Il Vangelo mi chiama a partire dai poveri”

Nella festa di Ognissanti l'intervista a Interris.it del neo-cardinale Augusto Paolo Lojudice. La sorpresa all'annuncio del concistoro, i progetti futuri e la carità come missione evangelizzatrice

Lojudice
Fonte: arcidiocesi di Siena-Colle di Val d'Elsa-Montalcino

Non è una Festa di Ognissanti come le altre per l’Arcivescovo Metropolita di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, Monsignor Augusto Paolo Lojudice. Da quando è scoppiata la pandemia la Caritas diocesana non è stata chiusa un solo giorno. “I poveri non vanno in vacanza, quindi non ci va neppure la carità”, afferma a Interris.it il neo-cardinale. Nel suo programma di avvicinare i pastori al gregge, papa Francesco ne farà al concistoro di fine mese il quarto cardinale più giovane del Sacro Collegio.

Lojudice, il Vangelo come programma

Con la porpora all’ex Ausiliare di Roma, quella toscana diventa l’unica regione ecclesiastica con due diocesi guidate da un cardinale. A Siena l’ultima berretta rossa era arrivata due secoli fa, con Antonio Felice Zondanari, senese. Arcivescovo durante la temperie napoleonica dal 1795 al 1823, fu creato Cardinale da Pio VII nel 1801. Ma il presule degli ultimi non è nuovo ai primati. Nel 2015 il Vicario di Roma, Camillo Ruini chiamò il parroco Lojudice dalla “periferia geografica” di Tor Bella Monaca alla “centralità pastorale” della direzione spirituale del Seminario Romano. Era da vari decenni che a un parroco non veniva richiesto quel ruolo. L’ultimo fu il Cardinal Giovanni Canestri, che nell’agosto 1959, dopo esser stato parroco a Casalbertone, divenne Direttore Spirituale del Pontificio Seminario Romano Maggiore. L’8 luglio 1961, Giovanni XXIII eleggeva Monsignor Canestri Vescovo Titolare di Tenedo, nominandolo Ausiliare del Cardinale Vicario di Roma, incaricato della cura pastorale del settore Est. Il 28 novembre, alla vigilia della prima domenica d’Avvento, a ricevere la berretta cardinalizia sarà Monsignor Lojudice. Era mezzo secolo, che in conclave Roma non era rappresentata con due suoi cittadini (l’altro è l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi). Solo tre cardinali sono più giovani del 56enne Lojudice. E cioè il centrafricano Dieudonné Nzapalainga, 53 anni, e il portoghese José Tolentino de Mendonca, 55 anni e il  francescano Mauro Gambetti, 55 anni.Cardinale Lojudice, qual è stata la sua reazione alla notizia della porpora in arrivo?

“Sono rimasto quasi impietrito quando ho sentito all’Angelus questa notizia improvvisa e inattesa. Non avevo minimamente pensato alla possibilità di diventare cardinale. Il Santo Padre ci ha abituato a superare l’idea delle sedi cosiddette cardinalizie con la sua capacità di stravolgere qualunque piano”.Cosa significa celebrare la ricorrenza di tutti i Santi in piena emergenza sanitaria? 

“E ’utile guardare la storia della Chiesa in genere e la vita di alcuni santi in particolare. Ci aiuta a capire che la vita di fede non è mai stata una passeggiata, ma sempre un impegno grande. Il momento difficile che stiamo vivendo per la pandemia ci può far ripensare a quante fatiche, privazioni e difficoltà hanno dovuto affrontare nel passato tanti santi. E’ un’opportunità per riconsiderare in una situazione così particolare la vita dei santi nel disagio e nella povertà dei tempi passati”.Qual è l’idea di santità che ne emerge? 

“E’ l’occasione per vivere una santità che è dono di Dio e non solo conquista delle nostre forze. Perché Dio non agisce mai forzandoci. Una condizione particolare come una pandemia può diventare, anche per chi non ne è colpito direttamente, un’occasione di crescita nella fede e nella santità. Può aiutare a guardare verso un orizzonte più ampio, come ribadisce papa Francesco nell’ultima enciclica ‘Fratelli tutti’”.Uno sguardo in quale direzione? 

“Nella direzione di una presa di coscienza sul fatto che non si può più agire diversamente, se non insieme. Senza essere catastrofisti, c’è il rischio reale della ‘distruzione dell’umanità’. Siamo chiamati a sentirci della stessa parte. La sollecitazione del Papa è rivolta a tutti, soprattutto a noi credenti, che dobbiamo confrontarci con il Vangelo e interiorizzarlo. La pandemia, nonostante sia un male oggettivo, può rivelarsi una grande occasione che l’umanità ha a disposizione. Chi crede può trarne la chiara consapevolezza di una straordinaria opportunità per compiere un salto di qualità nella propria fede”.Quali progetti ha dopo la creazione cardinalizia? 

“Continuerò il percorso che ho iniziato con il sacerdozio. Spero di restare sempre quello che sono. Papa Francesco vuole riportare la Chiesa alla radicalità del Vangelo. Tra l’altro, per me, il suo pontificato e il suo magistero, sono la logica conseguenza di quello di papa Benedetto. Tutto il programma di Francesco è nella sua prima enciclica, ‘Evangelii Gaudium’. E’ chiarissima la continuità con quel grande inno alla carità che è la ‘Deus caritas est’, la prima enciclica di papa Ratzinger”. La prima parte, è quella teologica; la seconda è una applicazione pratica della carità. Tante volte l’ho presentata alle caritas parrocchiali e diocesane: è un vero e proprio trattato di organizzazione pratica della carità. Quello di Benedetto non è un pensiero astratto, ma incarnato. E dopo un grande uomo di studio e di cultura, è arrivato  Francesco con la continuità di un’esperienza incarnata che viene dal mondo e dal contesto in cui si è formato ed  stato sacerdote e vescovo”.Quale esempio ne trae nella sua missione?  

“Quando nel settembre 2005 mi fu affidato l’incarico di direttore spirituale del Seminario Romano, ero parroco nella periferia di Tor Bella Monaca. Mi sembrava strano questo passaggio ma intuii che dovevo portare la mia esperienza e la mia storia la dove ero stato chiamato. Francesco stesso non si è proclamato Papa da solo. E’ stato ‘chiamato’ a portare la sua storia nelle vene della Chiesa. Alla fine degli anni ottanta nella parrocchia di Santa Maria del Buon Consiglio, nella zona chiamata ‘Quadraro vecchio’, c’erano ancora le baracche abitate dagli italiani”.Poi?

“Poi fui chiamato in un quartiere borghese dell’Eur. E anche li questa attenzione alle marginalità sono diventate occasioni di esperienza e di evangelizzazione. Portavo i giovani dell’Eur ad assistere i clochard alla stazione Termini, nelle carceri, nelle case famiglia per minori in difficoltà. Si viveva nello spirito delle parole di Gesù nella sinagoga di Nazareth: ‘Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato’. Allo stesso modo, da direttore spirituale, ho portato i seminaristi nei campi rom, sulle strade a incontrare le ragazze sfruttate…”.Cosa cambierà nella sua vita ora che è cardinale? 

“Non so ora cosa cambierà. Il cardinalato comporta una vicinanza più stretta al Papa e uno sguardo che vada oltre la chiesa particolare verso quella universale. Ciò che so è che il Vangelo mi ha chiamato e mi chiama sempre a partire dai poveri. Papa Francesco ci insegna a non confondere mai il servizio con il prestigio, anzi a non dare al prestigio alcuno spazio”.In che modo la pandemia viene affrontata nella sua diocesi? 

“Ci sono state continue manifestazioni di solidarietà. In tutti i mesi del lockdown non abbiamo mai chiuso nemmeno un giorno la Caritas diocesana. La mensa e i pacchi alimentari non si sono mai fermati nell’emergenza sanitaria. E’ stata una situazione che ha spostato energie di giovani e adulti. Durante la messa del Corpus Domini, il 7 giugno scorso, avevo lanciato un appello alla fine della messa, chiedendo a ciascuno un paio d’ore settimanali da mettere a disposizione dei più bisognosi. Hanno risposto un centinaio di persone, che insieme ai volontari più stabili, hanno portato avanti tutte le iniziative di solidarietà”.Può farci un esempio?

“Gli aiuti ai poveri non si sono fermati neppure il giorno dell’Assunta, perché i più vulnerabili non vanno in vacanza e così non va in vacanza neanche la carità. Domenica 27 settembre, giorno della festa di san Vincenzo de Paoli, patrono delle suore Vincenziane presso le quali è situata la mensa, dopo aver inaugurato le nuove docce a disposizione dei senza fissa dimora, abbiamo condiviso con tutti i volontari, storie e testimonianze di questa esperienza svolta durante i mesi della pandemia, per condividere cosa è significato e significa per ciascuno aiutare gli altri. Il titolo dell’incontro era proprio una frase di San Vincenzo: ‘non mi basta amare Dio se il mio prossimo non lo ama’. Filo conduttore è stata l’idea di mettere a disposizione quel poco che c’è, per accorgerti, ad un certo punto, che non è poco, anzi: è tanto”.