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Buddy system: perché in due è meglio

Il “buddy system” (traducibile in “sistema di amici”) è la locuzione, moderna, della metodologia in cui un team di due persone sviluppa un alto tasso di collaborazione, per lavorare, studiare o socializzare nel migliore dei modi.

Da dove nasce il concetto

Il concetto di buddy system riprende quello della collaborazione stretta fra due persone, per un aiuto reciproco, nei diversi ambiti della vita quotidiana: lo studio, il lavoro, lo sport. L’assistenza preziosa e vera di un “collega” si riscontra soprattutto nelle situazioni più complesse e più rischiose. Ne sono esempi anche le attività belliche del passato, in cui i consigli o le cure del commilitone erano in grado anche di salvare la vita dell’altro. Si produce quasi un’osmosi fra i due soggetti, in cui ognuno conosce bene l’altro, lo protegge dal burnout, lo rassicura, non erigendosi a moralizzatore, senza giudicare o intervenire, in una posizione simmetrica ed egualitaria. È una dinamica auspicabile in ogni ambiente lavorativo, scolastico e sociale.

Alcuni esempi

Un esempio molto evidente è quello del mondo sanitario negli ultimi due anni, durante la pandemia. Infermieri e medici già esperti hanno sopportato turni di lavoro stremanti e l’aiuto del collega amico ha permesso di superare momenti di vero sconforto. La relazione di buddy si è avvertita anche nella fattispecie del gran numero di infermieri e medici tirocinanti e neolaureati assunti, immessi direttamente in servizio, a confronto diretto con il Coronavirus e i malati. I rischi per la salute, mentale e fisica, degli operatori sanitari sono stati compensati da quest’applicazione attuale, improvvisa e inimmaginabile del buddy system, come poche altre situazioni storiche hanno posto in atto. L’OMS stesso ha incoraggiato l’applicazione di questa pratica di aiuto di coppia. Si è sperimentata nell’emergenza e ha dimostrato un potente, ora irrinunciabile, collante.

Una sorta di angelo custode

In una relazione di buddy system, il collega/amico diviene una sorta di angelo custode dell’altro, cercando di sostenere e proteggere il suo operato, stimolandolo nei momenti di difficoltà. Questo alto livello di empatia che si sviluppa in un team di sole due persone, si fonda su una conoscenza adeguata del prossimo e si mantiene entro dei limiti di opportunità senza tracimare in giudizi, rimproveri o abusi del proprio ruolo. Nelle situazioni di difficoltà, il collega/amico interviene rassicurando ed evitando forme di stress, non ergendosi a medico o psicoterapeuta. Attraverso un atteggiamento genuino di disponibilità all’ascolto, pone a servizio dell’altro la sua esperienza, la sua parola, in un dialogo costruttivo, formativo e tonico.

Nel mondo studentesco

In un ampio progetto di inclusione scolastica, gli abbinamenti fra studenti delle classi elementari permettono di ottenere risultati dal punto di vista didattico e comportamentale, contribuendo anche a sconfiggere le forme embrionali di bullismo. A livello universitario, l’assistenza fornita dagli studenti risulta determinante per il prosieguo degli studi e per un miglior adattamento logistico durante l’Erasmus. Essere buddy di un altro “studente Erasmus” significa porre a proprio agio il nuovo arrivato nella sua fase di “incoming”, presentare le caratteristiche della città e tutti i consigli pratici per districarsi nel quotidiano e nello studio. Le Università incoraggiano questi progetti così importanti e di prova per una possibile replica nel mondo del lavoro.

Nel mondo del lavoro

Il buddy aziendale è una figura essenziale che, specie per i nuovi assunti, offre un’assistenza fondamentale, riduce e qualifica i tempi di inserimento con guadagni tangibili anche in un’ottica di produttività. Nelle strategie aziendali, quindi, dotarsi di figure così profonde e capaci, in grado di motivare e stimolare, è fondamentale e non deve essere sottovalutato o considerato una spesa a fondo perduto.

Cosa ci dice la letteratura e il web

Il volume “Strumenti ad alto impatto per il lavoro in team” di Stefano Mastrogiacomo e Alexander Osterwalder (consulenti ed esperti del settore), pubblicato da Edizioni LSWR il 23 luglio scorso offre diversi consigli per rendere più costruttivo il lavoro di gruppo, ottimizzando le capacità specifiche dei soggetti coinvolti.

Affde, sito di marketing professionale, il 24 luglio scorso ha pubblicato un articolo, sul link https://www.affde.com/it/51-productivity-statistics-to-improve-your-teams-performance.html, dal titolo “51 Statistiche sulla produttività per migliorare le prestazioni del tuo team”. Nell’elenco, sono raccolte molte ricerche interessanti riguardo l’impostazione, la gestione e le risultanze del lavoro in team. Fra queste Le persone sovrastimano costantemente la propria produttività dell’11%. […] Il professionista medio riceve circa 88 e-mail al giorno e invia circa 33 e-mail al giorno. […] Il 96% dei dipendenti ritiene che le e-mail non necessarie siano una perdita di tempo. […] Le aziende trascorrono più di 17 ore a settimana per chiarire la comunicazione. […] I dipendenti connessi offrono alle organizzazioni un aumento della produttività del 20-25%. […] Il coinvolgimento porta a una produttività molto più elevata (38 %). […] I dipendenti più produttivi hanno 10 anni di esperienza in azienda. […] Le riunioni richiedono troppo tempo: un’ora per dipendente al giorno. […] Uno studio Gallup conferma che le aziende in cui i dipendenti possono dare e ricevere feedback regolarmente hanno un tasso di turnover (di ricambio del personale ndr) inferiore del 14,9%. Dare feedback ai dipendenti fornisce loro consigli significativi che possono utilizzare per migliorare le loro competenze e le prestazioni lavorative complessive e quando i dipendenti sentono che stanno migliorando, si sentono più coinvolti nel loro lavoro. […] Il multitasking ti rende il 40% meno produttivo. […] Le persone che fanno il telelavoro sono più produttive (del 14 %). […] Il 61% dei dipendenti cita i colleghi rumorosi come la loro più grande distrazione. […] Le piante in ufficio possono aumentare la produttività del 15%. […] La musica può aumentare l’umore e la concentrazione nel 63% dei dipendenti”.

I benefici

Il filosofo tedesco Immanuel Kant affermava “La solidarietà del genere umano non è solo un segno bello e nobile ma una necessità pressante, un ‘essere o non essere’, una questione di vita o di morte”. Il beneficio che un buddy pone nei confronti dell’altro è di una potenza immensa, tale da alleviare delle difficoltà notevoli che, a volte, un occhio distratto potrebbe non cogliere. La stessa “vittima” può trovar difficoltà a far emergere e comprendere il proprio disagio e la propria richiesta d’aiuto; un buon buddy è in grado di cogliere tale necessità.

Nella sua essenza, tale pratica contiene anche un antidoto contro la solitudine poiché entrambi i buddies sanno di poter contare sempre su qualcuno. Il binomio che si costituisce in questo rapporto così fraterno e utile, per entrambi, in un arricchimento reciproco, dovrebbe costituire la struttura portante della società nei vari ambiti. L’ossatura maligna, competitiva e cinica che si nutre dell’altro per guadagnare posizioni è effimera e si ritorce, prima o poi, in un boomerang. Il “tutti contro tutti” non solo è sterile ma è anche dannoso e trascina con sé tutti gli adepti. Il team in coppia è una sorta di cellula di un nuovo organismo sano e unico a poter rimanere in piedi, scalzando qualsiasi effimera illusione di leadership. Aiutare il prossimo affiancandolo, in modo diretto, senza giudicare. In questo c’è tutto.

Marco Managò

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