Brigading. Il nuovo terrorismo digitale

Una forma contemporanea e internazionale di intimidazione. Ecco di cosa si tratta e su quali piattaforme social si verifica più spesso questo fenomeno

Il “brigading” è la forma contemporanea e internazionale di intimidazione, che si svolge nel web, per costringere al silenzio alcune fonti, testate giornalistiche o post di privati. L’attacco e la molestia del brigading sono effettuati in maniera veemente per far tacere la voce ritenuta fastidiosa. Anziché cercare la via del confronto, del dialogo ed, eventualmente, della smentita, con argomenti inoppugnabili, alcune affermazioni, si tende a silenziare. In una fase storica, come quella attuale, di grande contrapposizione, soprattutto nel mondo del web e dei social, questa “tecnica” trova larga applicazione.

Rientra, a pieno titolo, in quella che viene definita “violenza psicologica”: porre in atto le azioni, le parole e le minacce per condizionare l’operato e il pensiero altrui, senza utilizzare la forza fisica. L’intento è quello di manipolare la vittima, cercando di renderla inconsapevole, nella noncuranza, oltretutto, delle conseguenze, fisiche e mentali, che si possono arrecare.

Il termine brigading, di nuova etimologia, è stato utilizzato nei mesi scorsi, soprattutto in relazione alla forte divisione tra i sostenitori del ricorso al vaccino anti Covid e coloro che si sono professati contrari. La diatriba, nata inizialmente sui social come sfida tra punti di vista, ha conosciuto, poi, una deriva sempre più accesa, nel momento in cui, la moltitudine degli iscritti, si è scoperta competente su questioni mediche ed etiche.

In questa specifica lotta, i bersagli dell’intimidazione sono diventati i giornalisti, le testate (nonché i virologi) rei di sostenere la necessità del vaccino. Altri, posti su posizioni contrarie, hanno lamentato un atteggiamento persecutorio. Più di una volta, i responsabili di Meta (Facebook) sono intervenuti per rimuovere pagine incitanti all’odio e alla divisione. Le piattaforme più utilizzate, in tal senso, sono quelle di Telegram, Facebook, Twitter e Youtube.

Le pagine social contenenti odio e intimidazione, a livello ideologico, politico e religioso, nascono quotidianamente e i responsabili delle piattaforme le rincorrono rimuovendole, in considerazione di quelli che definiscono “comportamenti non autentici coordinati” (coordinated inauthentic behavior o CIB).

In relazione alla chiusura di una rete contraria alla vaccinazione, la dichiarazione dei responsabili di Meta (l’impresa che detiene Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger) è stata “Le persone dietro questa attività hanno fatto affidamento su una combinazione di account autentici, duplicati e falsi per commentare in massa i post di pagine, realtà editoriali e individui, per intimidirli e metterli a tacere. Prenderemo provvedimenti qualora trovassimo ulteriori violazioni”.

Gruppi di pressione vorrebbero indirizzare l’informazione, di ogni tipo, verso delle derive prefissate, per illuminare i fruitori o influenzarne le scelte e i comportamenti, sia quelli di natura digitale sia quelli del reale. Utilizzando falsi profili e account di comodo, le reti di brigading cercano di zittire in primis le realtà editoriali e mediatiche, ritenute le prime fonti di quel sapere ingannevole che, poi, si riverserebbe sulla massa dei lettori, per condizionarne il pensiero. Nell’era delle fake news, ove si assiste al rimpallo delle accuse di veicolare falsità, considerandosi, al tempo stesso, depositari di verità (o di interessi), in ballo c’è il controllo dei media, il bavaglio dei siti informativi, la denigrazione assoluta, sino alla minaccia di non pubblicare o di silenziare sull’argomento.

Il volume dal titolo “Criminalità e criminologia nella società digitale”, scritto da Andrea di Nicola, professore universitario ed esperto nel settore, pubblicato da “Franco Angeli” il 10 gennaio scorso, affronta le moderne frontiere della criticità del web. Individua la natura della cyber-criminalità e i risultati, piuttosto articolati, a cui è giunta profittando degli spazi virtuali concessi.

Il 28 dicembre scorso, la Federazione Nazionale Stampa Italiana, al link https://www.fnsi.it/minacce-ai-giornalisti-156-casi-in-9-mesi-i-nuovi-dati-del-viminale ha riassunto i dati del fenomeno. Si legge “Sempre più cronisti finiscono nel mirino. A certificarlo sono, ancora una volta, i dati dell’Osservatorio del ministero dell’Interno sugli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti. Sono 156 gli episodi censiti al 30 settembre 2021, in crescita del 21 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando i casi erano stati 129. Una tendenza all’aumento che viene confermata, dopo un 2020 nel quale i casi censiti sono stati 163 (+87% rispetto agli 87 eventi rilevati nel 2019). Quasi una minaccia su due (74 casi: il 47 per cento del totale) arriva tramite web e social network. Lazio, Toscana, Lombardia e Sicilia le regioni più pericolose, quelle dove si sono verificati il 59 per cento del totale degli atti intimidatori consumati nel periodo in riferimento. La provincia che ha fatto registrare il numero maggiore di episodi nei primi nove mesi del 2021 è stata Roma con 36 eventi, seguita da Milano con 11 e da Firenze con 8. Circa un caso su otto (13%) è riconducibile alla matrice della criminalità organizzata; la gran parte delle minacce rivolte ai giornalisti è invece riconducibile a contesti socio/politici (43%) e agli altri contesti (44%). Il 25 per cento del totale degli episodi (41) è avvenuto nei confronti di giornaliste, il 70 per cento nei confronti di uomini (115). Il restante 5 per cento riguarda episodi avvenuti nei confronti di sedi o immobili appartenenti a redazioni giornalistiche o nei confronti di troupe non meglio specificate”.

Le “molestie di massa” del brigading costituiscono una nuova forma di bullismo sul web che infanga, minaccia e disinforma. Ne fanno le spese i singoli utenti e i media, bersagliati se posti su posizioni contrarie a quelle del bullo digitale. Il tranello in cui si può cadere, riguardante i singoli utenti, è di rispondere all’odio con altrettanto livore, alimentando un inutile crescendo, in considerazione di un confronto impossibile, sia per l’incapacità di dialogo della parte contrapposta sia per la natura anonima, vuota e falsa del profilo con cui si dibatte. Chi si ritiene un paladino della verità, del libero pensiero e del dialogo, contro un’informazione considerata “dittatoriale”, pericolosa e opprimente, non può tracimare in un comportamento che sarebbe identico e parimenti violento.

Il dissenso è sempre un ingrediente necessario in una comunità, per evitare che il pensiero si appiattisca su posizioni omologate e non più critiche né aperte al riesame o al diverso punto di vista. Il parere contrario e l’anticonformismo sono, spesso, il “sale” che dovrebbe stimolare il confronto e il dialogo, per pervenire a delle soluzioni sempre più volontariamente condivisibili.

Una società sana sa lasciar esprimere le diverse opinioni, riservando alle varie prospettive la possibilità di confutare, civilmente, quelle ritenute contrarie. San Giovanni Bosco diceva “Quando non si minaccia, ma si ragiona; quando non si ha paura ma ci si vuole bene; quando Dio è il padrone di casa, allora nasce la famiglia”. La stortura nasce nel momento in cui la critica diviene imposizione delle proprie idee, ricorrendo a tutti i mezzi possibili, soprattutto quelli più moderni e seguiti da tutti. L’intimidazione violenta e fisica che caratterizzava il passato, ha conosciuto una nuova forma di applicazione, ricorrendo decisamente al digitale, nei social, lì dove, ormai, si forma la coscienza individuale e collettiva.

L’intimidazione si nutre anche della cosiddetta “distorsione della conferma”, la tendenza per la quale si è portati solo a cercare prove che supportino la propria ipotesi anziché trovare (e pensare che esistano) quelle che la possano confutare. Si tratta di eccessiva fiducia nel personale convincimento che non tiene conto, a prescindere, del parere diverso.

Il DNA del brigading è quello di un atteggiamento di insofferenza e di una crescente indisponibilità ad accettare il pensiero altrui, l’opinione diversa. La società muove verso una polarizzazione concettuale sempre più esasperata e sempre dicotomica: o con me o contro di me. In questa spaccatura e divisione sempre più accesa, su ogni tema del giorno o del momento, la collettività mostra di non saper accettare l’opinione contraria e, le forme più estreme, arrivano sino all’intimidazione nel web, a minacciare i media e a tentare di deviare l’informazione. Sono, queste, le fondamenta della conflittualità, l’humus propedeutico agli step della violenza, sino al primo atto di guerra e all’escalation militare.