Il Brasile sull’orlo di una guerra civile? L’intervista al prof. Carlo Cauti

L'intervista al prof. Carlo Cauti, docente all'Università Ibmec di San Paolo e corrispondete dal Brasile per Limes, sui fatti accaduti a Brasilia lo scorso 8 gennaio e su quale futuro per il Paese carioca

La popolazione rigetta questo governo che ha già dimostrato di non saper governare il Paese. Il governo arriverà a un punto in cui dovrà scegliere che strada prendere: o moderarsi oppure il rischio di una guerra civile non è così impossibile. Non è uno scherzo. Ma il mondo non se ne rende conto”. A parlare in esclusiva a Interris.it è il professore Carlo Cauti, docente all’Università Ibmec di San Paolo e corrispondete dal Brasile per Limes, che ha commentato i fatti accaduti a Brasilia lo scorso 8 gennaio 2023 e ha fatto un quadro generale della situazione che sta vivendo il Brasile.

L’intervista

Professore, l’assalto a Brasilia è stato paragonato a quello di Washington del 6 gennaio 2021. Quali similitudini e quali differenze fra i due eventi?

“L’unica similitudine che possiamo evidenziare è che c’è stato un assalto ai palazzi del potere da parte di persone che non accettano il risultato delle elezioni che hanno portato al potere l’attuale presidente Luiz Inacio Lula da Silva, di sinistra, sconfiggendo l’ex presidente Jair Bolsonaro. Tutto il resto è diverso”.

In che senso?

“E’ diverso il ruolo delle persone chiamate in causa. Trump era presente al momento dell’attacco e, poco prima, aveva in qualche modo arringato la folla davanti al Congresso. Bolsonaro questo non lo ha fatto: si trovava da circa dieci giorni negli Usa, ha mantenuto un silenzio quasi religioso dal momento del ballottaggio, non ha postato nulla sui social che potesse aizzare i suoi sostenitori e ha condannato immediatamente le violenze. L’altra differenza la riscontriamo nelle persone che hanno assaltato Capitol Hill e quelle che hanno attaccato i palazzi di Brasilia: a Washington c’erano uomini, tutti abbastanza giovani, volto coperto, tenuta quasi militare e ci sono stati scontri violenti con le forze di sicurezza e dei morti. In Brasile, fortunatamente, non sono state registrate vittime, le persone che hanno preso parte all’attacco erano di tutte le età, con la bandiera del Brasile e indossando havaianas. Non si fanno i colpi di stato in havainas. Vorrei aggiungere una cosa”.

Prego

“Questo non vuol dire che giustifico i fatti accaduti, ma è evidente che negli Usa c’è stata una rottura proprio a livello di esponenti politici, mentre in Brasile è stata una massa di persone che ha perso il controllo di sé stessa ed è arrivata ad attaccare i palazzi del potere. Il Brasile non è nuovo a questi avvenimenti, sono già accaduti nel 2006, nel 2013 e nel 2017. In queste occasioni, però, a differenza di domenica 8 gennaio, l’esercito ha reagito bloccando la folla di manifestanti. Quindi, perché questa volta non è successo? E’ questa la grande domanda che tutti oggi si pongono”.

Effettivamente, è da tempo che in Brasile, in molti chiedono l’intervento dell’esercito affinché fosse impedito a Lula di reinsediarsi… 

“L’esercito non ha mostrato volontà golpiste. Un colpo di stato non si può fare senza l’appoggio del potere militare. Questo, nonostante l’esercito abbia dimostrato in passato di non apprezzare molto Lula, sia per i suoi trascorsi di corruzione, sia per la volontà del Partito dei lavoratori di introdurre nei curricula delle accademie militari brasiliane questioni politiche, un’ideologizzazione come è stato fatto in Venezuela, per trasformare l’esercito da un organo di stato a un organo politico. Questo non lo dico io, ma lo ha affermato in una nota pubblica il Partito dei lavoratori nel 2016, dopo l’impeachment dell’ex presidente Dilma Rousseff. Questa cosa in Brasile non è mai stata dimenticata”.

Quindi, perché l’esercito non è intervenuto per bloccare i manifestanti?

“E’ una questione che fa molto riflettere. L’esercito e la polizia militare hanno, in realtà, solidarizzato con i manifestanti. Ci sono delle immagini che mostrano i militari bere acqua di cocco con quanti hanno preso parte all’attacco, mentre i palazzi dietro di loro vengono assaltati. O non hanno ricevuto l’ordine di reagire o lo hanno ricevuto e hanno disobbedito. Se si è verificata la seconda ipotesi vuol dire che il governo non ha presa sull’esercito ed è un problema. Se invece non è arrivato nessun ordine, verrebbe da pensare che dal governo si sia cercato di arrivare all’incidente perché volevano delegittimare tutta una fascia di popolazione che non ha votato Lula e dar così il via a un giro di vite. E’ una questione molto complessa e delicata e sicuramente c’è qualcosa che non va in quello che è accaduto”.

Sembrerebbe che sia stata messa in atto un’operazione per screditare Bolsonaro e per farlo arrivare debole, o non farlo arrivare affatto, alle prossime presidenziali del 2026… 

“Magari l’evento di domenica 8 gennaio non è legato a questo, ma è dall’epoca della pandemia che si cerca di impedire a Bolsonaro di indebolire Bolsonaro accusandolo di genocidio. Un’accusa quanto mai ridicola: nonostante sia stata creata una commissione parlamentare di inchiesta, la stampa abbia fatto una copertura esagerata, si sono organizzate manifestazioni… Ma quando sono arrivati a presentare la richiesta davanti alla Corte penale internazionale per genocidio, la Corte non ha neanche risposto. Il tentativo di screditare Bolsonaro c’è stato sia da parte dell’establishment brasiliano sia da parte della classe politica a lui contraria, e lo hanno fatto in tutti i modi possibili. Processi che poi non sono arrivati a nulla”.

Quindi potremmo dire che Bolsonaro se lo aspettava?

“Sì, si pensava che un attacco del genere si potesse verificare il primo gennaio, invece è arrivato l’otto. Bolsonaro se lo aspettava e se ne è andato molto prima che tutto ciò accadesse. Nonostante ciò si cerca di accusare lui e gli imprenditori a lui vicini, preoccupati per la disastrosa politica economica di Lula. E’ iniziata quindi la caccia alle streghe di quelli che sono considerati gli organizzatori e i promotori di questa manifestazione. Non tenendo conto che quanti hanno partecipato all’attacco si sono autorganizzati, come tutte le manifestazioni che dal 30 ottobre si verificano in Brasile contro Lula”.

Perché questa ostilità contro Lula?

“Considerano il risultato elettorale illegittimo, in quanto Lula non avrebbe potuto neanche candidarsi dal punto di visto giuridico e perché hanno paura che il Brasile in 6 mesi diventi come l’Argentina e in 2-3 anni come il Venezuela. E’ un timore atavico di milioni di persone che spontaneamente si organizzano in manifestazioni e proteste. E’ l’espressione di un malessere che coinvolge più della metà dell’elettorato brasiliano. Lula non ha vinto con un plebiscito e ha perso anche le elezioni al Congresso: il 70% è contro di lui”.

Qual è la situazione in Brasile ora?

“C’è un cortocircuito politico, mediatico e di establishment provocato da questa polarizzazione estrema e da questo tentativo di una classe dirigente ormai delegittimatata di aggrapparsi al potere cercando di eliminare quello che loro considerano un nemico pubblico, ossia Bolsonaro, ma non capiscono che lui è espressione di un malessere popolare che non vogliono più politici che hanno già fallito nella loro missione e che sono lì soltanto per manovre politico-giudiziarie che gli hanno permesso di vincere chissà come”.

Che quadriennio si prospetta per il Brasile?

“Per il Brasile si prospetta un quadriennio di sangue, sudore e lacrime, volendo parafrasare Winston Churchill. Dal punto di vista della politica economica sappiamo già cosa Lula vorrà fare perché lo ha dichiarato durante la campagna elettorale: aumento della spesa pubblica, chiusura del Brasile al commercio estero. C’è un cambiamento radicale della politica brasiliana che si prospetta sarà un disastro. Quello che preoccupa di più è quello che ci aspetta dal punto di vista quotidiano. Le manifestazioni in Brasile continueranno, come è accaduto nei mesi scorsi, le persone continueranno a guardare Lula con ostilità. La popolazione rigetta questo governo che ha già dimostrato di non saper governare il Paese. Il governo arriverà a un punto in cui dovrà scegliere che strada prendere: o moderarsi oppure il rischio di una guerra civile non è così impossibile. Non è uno scherzo. Ma il mondo non se ne rende conto”.