Le ferite lasciate dal Coronavirus: la “brain fog”

Un effetto a lungo termine del Covid-19 ma, più in generale, del modus operandi adottato in pandemia: faccia a faccia con la Brain fog

Brain fog

La “nebbia mentale” (brain fog) è uno stato di confusione cognitiva e di appannamento, tipica del mondo occidentale moderno. È molto temuta perché comporta difficoltà nel concentrarsi e nell’essere pienamente coscienti.

Questo “stato confusionale” era già conosciuto da tempo e attribuibile a diversi fattori, tra i quali malattie pregresse, insonnia, stili di vita errati, uso esagerato di farmaci, consumo di droghe e alcol. Ora c’è un nuovo elemento da considerare. Infatti, l’incidenza di questo disturbo è stata fortemente alimentata dal Coronavirus, dai danni che ha lasciato sui malati. La proteina Spike del virus, appunto, arriva nei tessuti cerebrali e provoca conseguenze anche a livello cognitivo: difficoltà di concentrazione, di memorizzazione, scarsa lucidità mentale.

L’analisi del fenomeno

Gli studiosi stanno cercando di capire le cause e i rimedi; hanno precisato, a fronte di allarmismi pronti a scatenarsi, come questo malessere sia dovuto all’infezione in atto (il cervello risponde attivandosi a livello immunitario) e che, superato il disagio limitato nel tempo (non più di qualche mese), il Coronavirus non lasci danni permanenti al cervello. Prima della “variante” Covid-19 a cui si legano gli effetti di stanchezza cognitiva, la nebbia mentale era considerata e paventata come un campanello d’allarme relativo a patologie senili, del morbo di Alzheimer o di sfasamenti a livello ormonale.

I neurologi, tuttavia, al netto dei casi accertati di demenza precoce (i cosiddetti “giovani anziani fragili”), raccomandavano uno stile di vita più sobrio, ricordando quanto la cura dell’alimentazione fosse fondamentale, in virtù dello stretto legame tra intestino e cervello. Abusare di alcol, di farmaci, di cibi nocivi, di sedentarietà, esposizione ai contaminanti nell’aria, alterazione dei ritmi circadiani di veglia e di sonno conduce, inevitabilmente, a disorientamento cerebrale e scarsa lucidità. Le infiammazioni croniche dovute a queste esposizioni sono più deleterie, a livello cerebrale, degli esiti, al momento giudicati transitori, generati dal Coronavirus. Nel pensiero contemporaneo, sono diversi gli autori che hanno sdrammatizzato i possibili stati di offuscamento mentale dovuto a stress e impegni (riabilitando anche chi fosse affetto), tra questi il giornalista Roberto Gervaso che scrisse “C’è chi non ha in testa nemmeno una gran confusione”.

Cos’è la Brain fog

Uno studio della rivista “Annals of clinical and translational neurology”, pubblicato lo scorso 23 marzo, offre moltissimi dati, estremamente dettagliati, relativi al fenomeno “brain fog”. È opportuno riprendere alcuni brevi estratti “Questo è uno studio prospettico dei primi 100 pazienti consecutivi (50 individui SARS-CoV-2 positivi di laboratorio (SARS-CoV-2 +) e 50 negativi di laboratorio (SARS-CoV-2) che si sono presentati al nostro Neuro-Covid-19 tra maggio e novembre 2020 […] L’età media era 43,2 ± 11,3 anni, il 70% era di sesso femminile […] Le principali manifestazioni neurologiche sono state: ‘nebbia cerebrale’ (81%), cefalea (68%), intorpidimento/formicolio (60%), disgeusia (59%), anosmia (55%) e mialgie (55%) […] I pazienti si sono comportati peggio nei compiti cognitivi dell’attenzione e della memoria di lavoro rispetto a una popolazione degli Stati Uniti di pari livello demografico […] I ‘trasportatori a lungo raggio’ non ospedalizzati Covid-19 sperimentano una ‘nebbia cerebrale’ e una stanchezza prominenti e persistenti che influenzano la loro cognizione e la qualità della vita”.

Una sottolineatura della stessa rivista, molto importante ma trattata poco dai nostri media, è la seguente: “Sebbene SARS-CoV-2 si manifesti principalmente con infezioni del tratto respiratorio e sintomi simil-influenzali, il Covid-19 è ora riconosciuto come una malattia multiorgano che spesso coinvolge il sistema nervoso”. Conclude: “L’impatto a lungo termine del ‘lungo Covid’ sulla qualità della vita e il potenziale ritorno alla normalità, attraverso la perdita di produttività e la persistente disfunzione cognitiva, può essere sostanziale mentre la pandemia continua a crescere”.

Uno studio pertinente

Il sito www.2duerighe.com, il 29 novembre scorso scriveva: “Il fenomeno appartiene, come per il Long Covid, a quella cerchia di ‘effetti collaterali’ da Coronavirus che pian piano si palesano tra chi riesce a superare la positività al virus. Diversi studi sono in corso sulla nebbia mentale. In Francia, ad esempio, in uno studio pubblicato alla fine di agosto e intitolato ‘Sintomi persistenti post-dimissione e qualità della vita correlata alla salute dopo il ricovero per COVID-19’ è stato studiato un campione di 120 pazienti dopo un ricovero di 110 giorni. L’osservazione condotta è stata affidata ad una equipe di specialisti mirata ad evidenziare eventuali disturbi mentali. I comportamenti più frequenti tra i pazienti osservati sono stati fatica nel 55% dei casi, il 34% ha mostrato una chiara perdita di memoria, un 28% si è mostrato disturbato in concentrazione e forte perdita del sonno”.

Il “Long Covid”

Con l’espressione “Long Covid” si intende lo strascico dei disturbi lasciati in eredità dalla pandemia ai soggetti colpiti. Tra questi disagi fisici, a cui si legano le ripercussioni di tipo psicologico, è presente la nebbia mentale. L’argomento è poco dibattuto a livello televisivo (più presente nel web) ma l’incidenza, abbastanza rilevante, necessita di richiami e di studi. A tal proposito, gli esperti hanno notato come questo offuscamento non sia sempre correlato all’intensità con la quale si è stati colpiti dal virus. Gli studi effettuati riscontrano anche dei casi nei giovani, sebbene i soggetti più esposti siano quelli più anziani e in sovrappeso.

Effetti deleteri

Gli effetti del Long Covid, oscillano tra uno scarso approfondimento mediatico e una paura che attanaglia coloro che ne sono vittime poiché temono di non uscire, definitivamente, dalla disgrazia originata dal virus. Occorre valutare con raziocinio ed effettuare delle conclusioni. Non si tratta di insorgere di gravi demenze senili, poiché ne sono coinvolti anche i giovani. Gli studi, inoltre, confermano la transitorietà del disturbo, dal quale si guarisce e si torna allo stato precedente dell’infezione. Nessun allarmismo, quindi, è giustificato, purché non si associ, al periodo di lenta ripresa, uno stile di vita insano (eccessi e movida) e lo si giustifichi attribuendo le conseguenze al perdurare dell’effetto del virus.

Un dazio da pagare

Molte persone guarite sono state costrette a riprendere con sollecitudine e a pieno ritmo le proprie attività lavorative, alcune per non far fallire l’azienda di famiglia, altre per ambizioni carrieristiche poste a rischio. In questi casi, la mancanza del riposo consigliato, non ha favorito la cessazione degli strascichi. In ultima analisi, superata la malattia e anche gli strascichi, si torna generalmente a un regime pre-Covid e alla vita forsennata di sempre. Pensare di padroneggiare tutto e i diversi appuntamenti quotidiani, senza pagare dazio in termini di stress e perdita di concentrazione nelle nebbie della mente, è pura illusione. Il Coronavirus, in tal caso, non è più la scusa a cui attribuire la causa del brain fog.