Dopo l’attentato a monsignor Carlassare è tempo di affrontare la questione Sud Sudan

Intervista di Interris.it a Paolo Impagliazzo, Segretario generale della Comunità di Sant’Egidio direttamente impegnato nel negoziato di pace

Sudan

L’amore sterminato per l’Africa e per la missione sacerdotale, questo emerge dalle parole pronunciate dal missionario e vescovo italiano, padre Christian Carlassareferito con colpi di kalashnikov alle gambe nella notte tra il 25 e il 26 aprile, nella sua diocesi di Rumbek in Sud Sudan.

Il comboniano ha immediatamente perdonato i suoi aggressori e ha voluto sottolineare tutto il buono che è presente in Sud Sudan, il più giovane Stato africano, che lo scorso gennaio ha festeggiato il decimo anniversario della consultazione elettorale che portò alla sua indipendenza dal Sudan.

Mentre proseguono le indagini sugli aggressori, il giovane presule continua a inviare segnali rassicuranti dall’ospedale di Nairobi, in Kenya, dove è stato operato. “Non smetterò di inseguire il sogno di un Paese pacificato: questo è il desiderio di tutta la Chiesa. L’Africa non è solo questo incidente”, dice in un messaggio audio postato dai Comboniani sul loro portale, con voce squillante nonostante gli interventi subiti, “tornerò a camminare e continuerò il mio servizio missionario come prima”.

D’altra parte la Chiesa cattolica è da sempre in prima linea nel processo di pacificazione del Sud Sadan. Si è speso in prima persona Papa Francesco convocando, nell’aprile del 2019, ad un ritiro spirituale in Vaticano i capi delle principali fazioni etniche del Paese, il presidente della Repubblica, Salva Kiir Mayardit, e i vice presidenti designati Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabio, davanti ai quali il Santo Padre si inginocchiò esortando alla concordia.

Il Papa si inginocchiò per implorare la pace per il Sud Sudan – immagine Vatican News

A livello diplomatico poi svolge un ruolo fondamentale la mediazione esercitata tra le fazioni in lotta dalla Comunità di Sant’Egidio. Al momento “l’Onu di Trastevere” sta facilitando il dialogo politico tra le forze che hanno firmato nel 2018 “l’Accordo Rivitalizzato sulla Risoluzione del Conflitto in Sud Sudan” e quelle che ne sono rimaste volutamente fuori, per fare in modo che l’intesa sia sempre più inclusiva e il Paese più stabilizzato.

Vale la pena ricordare infatti che stando alle stime delle Nazioni Unite, sono ancora 2 milioni e mezzo i rifugiati interni sud-sudanesi e 2 milioni quelli che hanno trovato riparo all’estero.

Per conoscere meglio questo complesso percorso di pacificazione InTerris ha intervistato Paolo Impagliazzo, Segretario generale della Comunità di Sant’Egidio direttamente impegnato nel negoziato.

In quale contesto va letto l’attentato al mons. Carlassare?

“Il Sud Sudan è una società difficile, percorsa dalla violenza, perché vive in guerra da tanti anni. Adesso inizia a circolare l’ipotesi del coinvolgimento di alcuni del luogo, ma la violenza è la matrice a cui imputare questo attentato. Ricordiamo che dopo una lunga  guerra per l’indipendenza e iniziata la guerra civile interna, resta quindi una forte instabilità”.

Tutti gli osservatori puntano infatti il dito contro le armi che sono circolate in maniera indiscriminata tra la popolazione…

“Che circolano ancora! L’Onu stima che su una popolazione di 11 milioni di abitanti nelle mani dei civili ci siano almeno 700mila armi leggere, questo per dire quanto sia una società abituata a combattere, a difendersi e anche ad utilizzare queste armi come eredità delle guerre passate. E’ un paese che deve costruirsi non c’è ancora la struttura dello Stato, non c’è controllo del territorio. Mancando un sistema statale vero forte ecco che la violenza prende il sopravvento”.

Come sta procedendo il negoziato per allargare l’accordo di pace del 2018?

“La trattativa sta andando bene, a marzo abbiamo fatto un incontro con questi gruppi e abbiamo raggiunto una dichiarazione di principi per discutere in maniera reale le cause del conflitto. Presto faremo una tornata di incontri a Roma e siamo fiduciosi di gettare le basi perché diminuisca la violenza nel Paese, parliamo con i gruppi armati perché ci sia un accordo militare vero, un cessate il fuoco. Un obiettivo importate è far rientrare le milizie ribelli nelle fila dell’esercito”.

Quali sono gli altri punti al centro delle trattative?

“C’è tutta la volontà di superare le divisioni etniche e di discutere di cose reali: che tipo di stato volere, il federalismo, la riforma della sicurezza e della giustizia, insomma costruire un Paese che garantisca tutti i cittadini, le minoranze e le maggioranze”.

caritas
La popolazione del Sud Sudan in fila presso la Caritas per ricevere aiuti

Il Sud Sudan oggi che paese è a livello sociale?

“Un Paese che quest’anno ha compiuto 10 anni, ancora tutto da strutturare. C’è tanta sofferenza, ci sono 2 e mezzo di sudsudanesi che vivono fuori dai confini e 2 milioni di sfollati interni. Le Nazioni Unite sostengono con aiuti alimentati tra i 6 e i 7 milioni di persone. C’è molto da fare, dall’istruzione al lavoro. La risorsa più importante sono i sudsudanesi, che sono un popolo di lavoratori che si impegna in quello che fa, chi studia raggiunge livelli di istruzione molto alti, ma dall’altra parte di sono divisioni etniche che vanno sanate”.

Lavoratori nel Sud Sudan

L’impegno della Chiesa cattolica per la pace in Sud Sudan è noto in tutto il mondo. Come è visto questo sforzo nel Paese africano?

“Il gesto da Papa Francesco in Vaticano è stato profetico e noi come comunità di Sant’Egidio abbiamo voluto sostenere questo gesto. La Chiesa in Sud Sudan è molto ascoltata è una voce importantissima, già coinvolta nella guerra d’indipendenza per facilitare soluzioni pacifiche”.

Tanti anche i missionari italiani…

“Si ci sono tanti connazionali, i primi ad arrivare furono i Comboniani. La loro presenza è apprezzatissima, padre Cristian andrà ad ereditare una diocesi che è stata in mano ad un vescovo italiano, mons. Mazzolari, quindi c’è una tradizione. I nomi più diffusi sono cristiani, è facile trovare Giacomo, Barnaba, Michele…il presidente si chiama Salva che sta per Salvatore. Quindi c’è un’impronta dei missionari italiani che si vede a partire dai nomi di battesimo per arriva all’istruzione, a Juba (la capitale ndr) c’è un apprezzata università cattolica guidata da un rettore che ha studiato a Roma. La Chiesa è in prima linea su diversi fronti, compresa la protezione delle donne. Attualmente sono più di 750 i religiosi in Sud Sudan, sono davvero tanti”.

L’attentato al vescovo era quindi inaspettato?

“Sì, un fulmine a ciel sereno, mi hanno colpito le parole di padre Christian che ha pensato subito a consolare i propri fedeli che sono stati anche loro sconvolti da questo atto di violenza. Non a caso nel processo di pace che portiamo avanti mettiamo al centro il rispetto per l’uomo e la dignità della vita umana, c’è una grande urgenza di un dialogo per la riconciliazione. Il processo che chiamiamo ‘Iniziativa di Roma’ ha il sostegno della comunità internazionale perché la comunità di Sant’Egidio non ha alcun tipo di interesse politico-economico se non quello della pace”.