Adornato: “Servono ulteriori passi avanti nella costruzione unitaria”

In occasione della Festa dell’Europa, 72 anni dopo la Dichiarazione di Robert Schuman, l’intervista al presidente della fondazione Liberal Ferdinando Adornato

Dalla Comunità del carbone e dell’acciaio al Next Generation Eu. In sette decenni, l’Europa uscita dal Secondo conflitto mondiale ha intrapreso un cammino contrassegnato da un sempre più elevato tasso di unità, coesione e solidarietà, seppure i passi falsi non siano mancati, molto è rimasto incompiuto e il tratto di strada ancora da percorrere fino alla meta, gli Stati uniti d’Europa, è lungo e accidentato. Un progresso che, comunque, si può ben sintetizzare nell’immagine del passaggio dall’industria pesante e dalle fonti fossili di settant’anni fa all’attuale fondo per (anche) gli investimenti nella transizione ecologica e digitale. Un progresso che deve esser difeso dai contraccolpi, esterni e interni, della guerra che da oltre due mesi perdura nell’est europeo, in Ucraina.

Il primo passo di questo cammino è stato mosso il 9 maggio di settantadue anni fa, con una dichiarazione rilasciata da uno dei “padri fondatori” della casa comune europea. In questa data infatti, nel 1950, l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman pronunciava un discorso che gettava le basi per la nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, la prima istituzione sovranazionale europea che prevedeva la messa in comune della produzione di carbone e di acciaio di Francia e Germania, sotto una comune alta autorità “nel quadro di un’organizzazione al quale possono aderire gli altri paesi europei”. La Ceca è stata poi istituita il 18 aprile del 1951 con il trattato di Parigi, firmato da sei paesi, il Belgio, la Repubblica federale di Germania, l’Italia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi, fino al 23 luglio 2002, in conformità al termine previsto nel suo trattato istitutivo.

Le tappe

Il progetto ideato dal politico francese puntava a unire gli sforzi produttivi per gettare le basi comuni per lo sviluppo economico e per garantire un futuro di pace al continente. Lo stesso Schuman era però consapevole che si sarebbe dovuto passare attraverso diverse tappe per arrivare a quella che chiamava “Federazione europea”, che oggi è l’Unione europea a 27 Stati membri. Queste tappe furono la Comunità economica europea e la Comunità europea dell’energia atomica, istituita con i trattati di Roma del 25 marzo 1957. L’anno seguente, il 19 marzo 1958, si teneva a Strasburgo la prima riunione dell’Assemblea parlamentare europea, presieduta dallo stesso Schuman. Dal 30 marzo 1962 l’organo si chiamerà Parlamento europeo. Gli anni Sessanta sono stati attraversati da eventi storici che hanno lasciato impresso il loro segno sul Vecchio Continente, come il boom economico e le contestazioni del Sessantotto. In questa cornice, da un lato nel 1961 il governo comunista della Germania est costruisce il muro che divide Berlino, dall’altro nel 1962 la Comunità economica europea  vara la prima politica agricola comune e l’anno successivo firma a Yaoundé, in Camerun, il suo primo accordo internazionale. Negli anni Settanta comincia il primo allargamento della comunità europea, con i Paesi membri che passano da sei a nove in seguito all’ingresso di Danimarca, Irlanda e Regno Unito e alla fine del decennio si tiene la prima elezione diretta, da parte dei cittadini, dei membri dell’Europarlamento. Negli anni Ottanta altri Paesi fanno il loro ingresso nella comunità europea, la Grecia, la Spagna e il Portogallo, e si gettano le basi – con l’Atto unico europeo – per il mercato unico. Gli anni Novanta imprimono un’accelerazione importante e decisiva al processo di unificazione del continente, che pure viene attraversato dalla guerre balcaniche scoppiate in seguito alla dissoluzione della Yugoslavia. Nel 1992 a Maastricht, nei Paesi Bassi, viene firmato il trattato da cui nasce l’Unione europea e ne vengono definiti i pilastri, cioè l’unione economica e monetaria, la politica estera e di sicurezza comune, la cooperazione in materia di giustizia. L’anno successivo viene istituito il mercato unico, che prevede la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali. Sulla scia di questa libertà di movimento, nel 1995 “cadono” le frontiere interne. In sette Paesi (diventati poi 26) entra infatti in vigore l’accordo di Schengen, che permette a chi viaggia di spostarsi tra questi senza più il controllo del passaporto. Gli anni Duemila sono caratterizzati da una serie di eventi spartiacque, come l’introduzione dell’euro in forma di banconota e di moneta (1° gennaio 2002), gli effetti della crisi finanziaria scoppiata nel 2008 negli Stati Uniti, la vittoria della Brexit al referendum del 23 giugno 2016 per l’uscita del Regno Unito dall’Ue, in ultimo l’emergenza sanitaria, sociale ed economica scatenata dalla pandemia di Coronavirus che porta nel luglio 2020 al varo del fondo NextGenEu per aiutare la ripresa delle economie dei Pesi membri, e la guerra alle porte dell’Unione.

Federalismo pragmatico e federalismo ideale

Dallo scoppio della guerra, l’Unione europea ha dato più di una dimostrazione di coesione approvando cinque pacchetti di sanzioni, sia rivolte alla cerchia di oligarchi russi vicini a Putin che alle imprese della Federazione russa. Ma quando il discorso si sposta sulle fonti energetiche, qualche crepa comincia a correre sul muro dell’unità. L’Ungheria si è infatti opposta a misure come l’embargo sul gas e sul petrolio russi. Per capire come superare le divisioni, pochi giorni fa, sempre a Strasburgo, il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha tracciato su quali binari deve viaggiare l’Unione europea per superare, nell’immediato, la crisi pandemica e la guerra, e, successivamente, di essere “capace di prendere il futuro nelle proprie mani”. “Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso – dall’economia, all’energia, alla sicurezza”, ha detto il capo dell’esecutivo italiano. “Ma devo aggiungere che mai come ora i nostri valori europei di pace, di solidarietà, di umanità, hanno bisogno di essere difesi. E mai come ora questa difesa è per i singoli stati difficile, sempre più difficile. Abbiamo bisogno non solo di un federalismo pragmatico ma anche di un federalismo ideale. Se ciò richiede l’inizio di un percorso di revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia”, ha spiegato Draghi. Tra le regole che da più tempo da più parti si afferma di voler riformare, ci sono il meccanismo dell’unanimità e il diritto di veto, e il Patto di stabilità e crescita, che limita il deficit pubblico degli Stati membri al 3% del prodotto interno lordo e il debito al 60%.

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, interviene alla discussione dello stato dell’Unione e il suo futuro nel dibattito “Questa è l’Europa © presidenza del Consiglio dei ministri

L’intervista

In occasione della giornata della Festa dell’Europa, Interris.it ha intervistato l’ex parlamentare, giornalista e presidente della fondazione Liberal Ferdinando Adornato.

Che significato assume questo 9 maggio, alla luce del contesto attuale?

“Quello delle parole di Draghi a Strasburgo, la necessità cioè di un ‘salto’ nella costruzione unitaria per colmare i ritardi e per realizzare la transizione ecologica e digitale. Si fanno passi in avanti quando si agisce sentendosi una unione: l’Ue sa reagire agli eventi avversi, come la pandemia e la guerra, ma non ha ancora messo in progetti per il futuro. Le questioni aperte oggi sono due, quella istituzionale e quella dell’‘anima’ dell’Unione”.

Ce le può illustrare?

“La prima è risolutiva se  davvero si vuole gestire insieme l’autosufficienza energetica, l’accoglienza dei migranti, la politica estera e di difesa, l’esercito comune europeo e il cambiamento climatico. Occorre passare dall’obbligo dell’approvazione all’unanimità alla maggioranza qualificate. Serve poi dare lo ‘scettro’ cittadini europei: devono votare il presidente dell’Europarlamento”.

E riguardo quella che ha definito l’‘anima’ dell’Unione?

“Non possono esistere gli Stati uniti d’Europa senza una comune visione del mondo. Su questo, paghiamo l’errore dell’allora presidente della Convenzione europea Valery Giscard d’Estaing che nel 2003 rifiutò d’inserire nella Costituzione europea (testo mai adottato dopo le bocciature ai referendum francese e olandese, ndR) il riferimento alla radici cristiane dell’Europa. Eppure, quando dici Europa dici contemporaneamente san Francesco e Albert Einstein, il Cristianesimo l’Illuminismo sono  i motori dello sviluppo dell’identità culturale europea. Occorre trovare una sede e degli strumenti idonei a riprendere questo discorso, altrimenti senza gli Stati uniti d’Europa i nazionalismi possono tornare a devastare il continente – mentre la Ceca veniva fondata sul sogno di eliminare per sempre la guerra”.

Quali ritiene siano fino qui i principali successi e vantaggi per i popoli, in questo percorso di unificazione europea?

“Al di là dell’unione economica e della moneta unica, i passaggi migliori sono state le reazioni alla pandemia e alla guerra. Il fondo Next Generation Eu è una sorta di ‘mutualizzazione’ del debito e una condivisione di strumenti finanziari. L’altro è il parlare con una sola voce in politica estera. Le crisi, se ben interpretate, possono trasformarsi in opportunità noi siamo pronti proprio per quello che abbiamo passato con la pandemia. Il mondo che ci troveremo davanti nei prossimi decenni richiederà sforzi importanti, capacità di comprensione e livelli di cultura politica elevati, e dovremo essere attenti a muoverci”.

Il tema della gestione dei flussi migratori risulta divisivo all’interno dell’Ue. Quali sforzi deve fare l’Ue arrivare a definire una politica migratoria comune?

“Il nostro rapporto almeno con i Paesi rivieraschi del Mediterraneo è fallimentare, basti pensare alla Libia o al gas, per il quale siamo legati ai russi. La cooperazione non è stata così forte e non ci si è dedicata tutta l’attenzione possibile. Occorre rivedere il trattato di Dublino, perché non è possibile che l’Ue non pensi che l’Italia, la Grecia e la Spagna come suoi confini”.

Emmanuel Macron elezioni Francia

Che segnale è per l’Ue la conferma Macron in alle elezioni presidenziali francesi, dove per la seconda volta si era trovato di fronte Marine LePen?

“Non può essere che ogni scadenza elettorale fa salire la tensione nell’Ue, anzi le vere elezioni che dovrebbero contare dovrebbero essere quelle europee. Per questo, o l’Europa si dota di strumenti che la fanno essere un’unica grande potenza politica, economica e strategica, o correrà sempre il rischio di essere messa in discussione da quello che succede nei singoli stati.”

“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”, diceva Schuman in apertura della sua dichiarazione. Quali potrebbero essere questi “sforzi creativi” oggi?

“Vincere questa guerra è decisivo per la costruzione della pace. Più in generale, serve un impianto razionale di discussione sugli organismi internazionali. Le Nazioni unite sono figlie del Secondo dopoguerra e non sembrano più adeguate: singoli Stati in grado col potere di veto sono in grado di limitare l’Organizzazione sulla discussione sul mondo e sui rapporti internazionali. Si dovrebbero trovare nuovi strumenti per risolvere le controversie tra gli stati”.